~ curiosità romane ~
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quando Mastro Titta passava ponte

memorie letterarie sulle esecuzioni a Roma

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un brano da PICTURES OF ITALY
(Charles Dickens, 1846)


Un sabato mattina (l'otto marzo), qui un uomo venne decapitato. Nove o dieci mesi prima, aveva rapinato per strada una contessa bavarese diretta in pellegrinaggio a Roma - da sola e a piedi, ovviamente - mentre compiva quell'atto pietoso, si dice, per la quarta volta. La vide cambiare una moneta d'oro a Viterbo, dove egli viveva; la seguì; le offrì la propria compagnia lungo il viaggio per quaranta miglia o più, con l'infido pretesto di proteggerla; la assalì, portando a compimento il suo inesorabile piano nella campagna, a brevissima distanza da Roma, presso ciò che viene denominata (senza esserlo) la Tomba di Nerone; la derubò; e la percosse a morte con lo stesso suo bastone da pellegrino. Era sposato da poco, e regalò alcuni dei beni della vittima alla moglie: dicendole che li aveva comprati ad una fiera. Ella, tuttavia, che aveva visto la contessa-pellegrina attraversare la loro città, riconobbe alcune chincaglierie che le appartenevano. Suo marito allora le raccontò ciò che aveva commesso. Ella, in confessione, lo riferì ad un sacerdote; e l'uomo fu catturato, entro quattro giorni dopo aver commesso il crimine.

Non vi è un tempo prefissato per amministrare la giustizia, o per eseguirla, in questo incomprensibile paese; e da allora egli era rimasto in prigione. Il venerdì, mentre cenava con gli altri carcerati, vennero a dirgli che sarebbe stato decapitato il giorno seguente, e lo portarono via. È alquanto inusuale che si tengano esecuzioni in tempo di Quaresima; ma essendo questo un crimine molto brutto, si ritenne opportuno in quel periodo farne un esempio, mentre un gran numero di pellegrini stavano giungendo a Roma, da ogni parte, per la Settimana Santa. Venni a conoscenza di ciò il venerdì sera, e vidi i manifesti alle chiese, che invitavano la gente a pregare per l'anima del criminale. Così mi decisi ad andare, ed assistere alla sua esecuzione.

La decapitazione era prevista per le ore quattordici e mezza, ora romana: o un quarto alle nove antimeridiane. Due amici erano con me; e poiché non sapevamo se la folla sarebbe stata molta, ci trovammo sul posto alle sette e mezza. Il luogo dell'esecuzione era presso la chiesa di San Giovanni decollato (un dubbio complimento a San Giovanni Battista) in una delle strade impraticabili senza alcun marciapiede, delle quali Roma è in gran parte formata - una strada di case marcescenti, che non sembrano appartenere a nessuno, e che non sembrano essere mai state abitate, e furono certamente costruite senza alcun progetto, né senza alcuno scopo preciso, e sono prive di infissi, e sembrano un po' delle fabbriche di birra abbandonate, e potrebbero essere magazzini, salvo il fatto di non contenere nulla. Dirimpetto ad una di queste, una casa bianca, si ergeva il patibolo. Sicuramente un qualcosa di disordinato, non verniciato, sgraziato, di aspetto bizzarro: alto all'incirca sette piedi [circa 2,10 metri]: con un'alta intelaiatura a forma di forca che si ergeva al di sopra, nella quale era la lama, appesantita da una massiccia zavorra di ferro, pronta a scendere, e scintillante al sole mattutino, nei momenti in cui usciva, a tratti, da dietro una nuvola.

Non c'erano molte persone in attesa; e queste erano tenute ad una considerevole distanza dal patibolo da drappelli di dragoni del Papa. Due-trecento fanti erano in armi, a riposo, disposti a piccoli gruppi qua e là; e gli ufficiali camminavano su e giù, a due o tre assieme, chiacchierando, e fumando sigari.

In fondo alla strada c'era uno spazio aperto, dove si sarebbe trovato un mondezzaio, e mucchi di cocci di vasellame, e gli scarti delle verdure, ciò che a Roma si getta un po' ovunque, senza particolare predilezione di luogo. Noi entrammo in una lavanderia, appartenente ad un'abitazione del posto; e in piedi su una vecchia carretta, e su un cumulo di ruote da carro impilate contro il muro, vedevamo, attraverso una finestra chiusa da una grata, il patibolo e la strada al di là di esso finché, in conseguenza di una brusca svolta a sinistra, la nostra vista terminava bruscamente, chiudendosi con un corpulento ufficiale dal copricapo a pennacchio.

Batterono le nove, batterono le dieci, e non accadde nulla. Tutte le campane di tutte le chiese suonavano come al solito. Un piccolo drappello di cani si era radunato nello spazio aperto, e si rincorrevano l'un l'altro in mezzo ai soldati. Romani dall'aspetto truce appartenenti all'infima classe, con indosso mantelli blu, ruggine, o vestiti di stracci senza mantello, andavano e venivano, e parlavano fra di loro. Donne e bambini si agitavano, ai margini della rada folla. Un punto fangoso era rimasto alquanto deserto, come una piazza di calvizie sulla testa di un uomo. Un venditore di sigari, con in mano una pentola di terracotta contenente del carbone, andava su e giù, offrendo la sua merce. Un venditore di paste divideva la sua attenzione fra il patibolo e i suoi avventori. Ragazzi tentavano di scalare ai muri, cadendo nuovamente a terra. Preti e monaci si facevano largo fra la gente a gomitate, e si ergevano in punta di piedi per arrivare a vedere la lama: poi se ne andavano. Artisti che portavano incredibili copricapi medioevali, e con barbe che (grazie al Cielo!) non sono mai appartenute a nessuna epoca, dalle loro postazioni in mezzo alla calca lanciavano tutt'intorno pittoreschi sguardi corrucciati. Un signore (che a mio avviso aveva a che fare con le belle arti) andava su e giù calzando un paio di stivaloni, con un barbone rosso che gli pendeva sul petto, e i lunghi capelli rosso acceso, divisi in due code, una su ciascun lato del capo, che gli ricadevano sul davanti oltre le spalle, fin quasi all'altezza della vita, finemente intrecciate!

Batterono le undici e ancora non avvenne nulla. Si sparse la voce, fra la folla, che il criminale non voleva confessarsi; in tal caso, i preti lo avrebbero trattenuto fino all'Ave Maria (al tramonto); poiché è loro pietosa usanza di non allontanare il crocifisso da un uomo in simili frangenti, quali il rifiuto di ricevere l'assoluzione e quindi di abbandonare un peccatore innanzi al Salvatore, fino a tale ora. La gente cominciò a diradarsi. Gli ufficiali si stringevano nelle spalle e sembravano dubbiosi. I dragoni, che ogni tanto passavano cavalcando sotto la nostra finestra per ordinare ad una sfortunata vettura pubblica o ad un carro di allontanarsi, non appena questo si fosse comodamente piazzato là, coprendosi di gente esultante (ma non prima che ciò fosse accaduto), divennero imperiosi e di umore irascibile. La zona deserta non aveva l'ombra di un ospite; e il corpulento ufficiale che chiudeva la prospettiva inalava prese e prese di tabacco.

All'improvviso vi fu un rumore di trombe. I fanti scattarono immediatamente sull'attenti. Vennero fatti marciare fin sotto il patibolo, e disposti tutt'attorno ad esso. Anche i dragoni gallopparono alle postazioni più vicine. La ghigliottina divenne il centro di una selva irta di baionette e risplendenti sciabole. La gente si strinse attorno, ai lati della milizia. Un lungo fiume di uomini e ragazzi in ordine sparso, che avevano accompagnato la processione fin dal carcere, si riversarono nello spazio aperto. L'area prima deserta si distingueva a malapena dalle altre. I venditori di sigari e paste rinunciarono per il momento ad ogni intento lavorativo, e abbandonandosi completamente al piacere si cercarono delle buone posizioni in mezzo alla folla. La prospettiva ora culminava in una truppa di dragoni. E il corpulento ufficiale, spada in pugno, scrutava attentamente verso una chiesa presso di lui, che egli riusciva a vedere, ma non noi, la folla.

Dopo un breve lasso di tempo, alcuni monaci dalla detta chiesa furono visti avvicinarsi al patibolo; e sopra le loro teste, avanzando lentamente e tristemente, l'effige di Cristo in croce, bardato di nero. Questa fu trasportata attorno alla base del patibolo, fin sul davanti, e girata verso il criminale affinché potesse vederla fino all'ultimo. Era a malapena giunta a destinazione, quando costui apparve sulla sommità del patibolo, scalzo; le mani legate; e col collo della camicia tagliati fin quasi alle spalle. Un giovane uomo - circa ventisei anni - di robusta costituzione, e ben proporzionato. Pallido il viso; baffetti scuri; e capelli bruni.

Apparentemente, aveva rifiutato di confessarsi senza prima fargli incontrare la moglie; così era stata inviata una scorta a prenderla, ciò che aveva cagionato il ritardo.

Si inginocchiò subito, sotto la lama. Il collo, posizionato in un foro, realizzato all'uopo in un ceppo orizzontale, fu serrato da un simile ceppo situato superiormente; proprio come in una gogna. Subito sotto di lui era una borsa di cuoio. E in questa la sua testa rotolò all'istante.

Il boia la teneva per i capelli, camminando tutt'intorno al patibolo, mostrandola alla gente, prima ancora di potersi render conto che, con un secco rumore, la lama era pesantemente scesa.

Quando ebbe fatto il giro dei quattro lati del patibolo, fu fissata in cima a un palo sul davanti - una piccola chiazza bianca e nera, che la lunga via poteva scrutare, e su cui le mosche potevano posarsi. Gli occhi erano rivolti in alto, come se avesse distolto lo sguardo della borsa di cuoio, e avesse guardato verso il crocifisso. Ogni colore e sfumatura vitale l'aveva, in quel momento, abbandonato. Era grigia, fredda, livida, cerea. Così era anche il corpo.

C'era una gran quantità di sangue. Quando lasciammo la finestra, e ci avvicinammo al patibolo, era molto sporco; uno dei due uomini che vi stava gettando sopra dell'acqua, girandosi per aiutare l'altro a spostare il corpo in una bara, faceva attenzione a dove metteva i piedi, come in un pantano. Uno strano effetto lo faceva l'apparente scomparsa del collo. Il capo era stato reciso così vicino al tronco, quasi che la lama avesse evitato appena di frantumare la mascella, o di mozzare l'orecchio; e il corpo sembrava non avere più nulla dalle spalle in su.

Nessuno appariva interessato, o comunque toccato. Non vi era alcuna manifestazione di disgusto, o di pietà, o di indignazione, o di mestizia. Le mie tasche vuote furono saggiate, diverse volte, in mezzo alla folla appena sotto il patibolo, mentre il cadavere veniva incassato. Fu uno spettacolo brutto, sporco, ributtante; il cui unico significato non era altro che un'opera di macelleria, al di là del momentaneo interesse, ai danni dell'unico sventurato protagonista. Sì! Una tale vista ha un solo significato e un solo ammonimento. Che io non possa mai dimenticarlo. I giocatori che speculano sul lotto, si posizionano in punti favorevoli per contare i fiotti di sangue che sgorgano, qui e là; e giocano quei numeri. Con essi c'è una bella probabilità di vincere.

Il corpo fu trasportato via a tempo debito, fu ripulita la lama, smontato il patibolo e smantellato l'intero odioso apparato. Il boia: un fuorilegge EX OFFICIO (quale ironia sulla Giustizia!) che per tutta la vita non osa attraversare il Ponte di Sant' Angelo se non per svolgere il proprio lavoro: si ritirò nella sua tana, e lo spettacolo poté dirsi concluso. [...]






sonetti di Giuseppe Gioachino Belli



ER RICORDO

 Er giorno che impiccorno Gammardella
io m'ero propio allora accresimato.
Me pare mó, ch'er zàntolo a mmercato
me pagò un zartapicchio e 'na sciammella.

 Mi' padre pijjò ppoi la carrettella,
ma pprima vorze gode 1b l'impiccato:
e mme tieneva in arto inarberato
discenno: « Va' la forca cuant'è bbella! ».

 Tutt'a un tempo ar paziente Mastro Titta
j'appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene
un schiaffone a la guancia de mandritta.

 « Pijja », me disse, « e aricordete bbene
che sta fine medema sce sta scritta
pe mmill'antri 4 che ssò mmejjo de tene ».

29 settembre 1830

IL RICORDO

 Il giorno che impiccarono Camardella 1
io mi ero appena cresimato.
Mi sembra come se fosse ora che il compare
mi pagò una trottola e una ciambella.

 Mio padre prese poi il carrozzino
ma prima volle godersi l'impiccato:
e mi teneva in alto sollevato
dicendo: « Guarda la forca quant'è bella »!

 Comtemporaneamente al condannato Mastro Titta 2
applicò un calcio nelle terga, e papà a me
uno schiaffone alla guancia destra.

 « Prendi », mi disse, « e ricordati bene
che questa stessa fine è destinata
a mille altri che sono migliori di te ».


1. - Antonio Camardella. Il canonico Donato Morgigni, entrato in affari col Camardella, aveva in seguito mancato di parola; non riuscendo ad ottenere giustizia per vie legali, Camardella lo aveva ucciso, ed era stato per questo condannato alla pena dell'impiccagione, nel 1749.
Fino all'ultimo rifiutò di pentirsi del suo gesto. A Roma, la sua fama era ancora viva a qusi un secolo dall'accaduto.
2. - Il boia; ovviamente, non il "nostro" mastro Titta (G.B.Bugatti), che a quei tempi non era ancora nato!




LA GIUSTIZZIA AR POPOLO

 Disce ch'er monno è bbello perch'è vvario.
Pe sta raggione io vorze una matina
annammene a vvedé la quajjottina
ch'è ssuccessa a la crosce der Carvario.

 Trovai ggià ppronto er boja cor vicario,
e sse stava pe ddà la tajjatina:
quanno ecco un frate co ttanta de schina
che mme viè a rripparà ccome un zipario.

 « Padre », dico, « levateve d'avanti...»
ma in quer frattempo, tzà, sse sente un bòtto
che ffa ddà uno strilletto a ttutti quanti.

 Me slongo, e vvedo ggià ffinito er gioco.
Bbravi! Ma un'antra vorta io me ne fotto
d'annamme a scommidà ppe ttanto poco.

8 dicembre 1834

L'ESECUZIONE AL POPOLO 1

 Si dice che il mondo sia bello perché è vario;
Per questa ragione io volli una mattina
andarmene a vedere la ghigliottina
che è succeduta alla croce del Calvario 2 .

 Trovai già pronto il boia col vicario,
s si stava per dare la tagliatina:
quand'ecco un frate con tanto di schiena
che giunge a coprirmi come un sipario.

 « Padre », dico, « toglietevi da davanti...»
ma in quel frattempo, zac, si ode un colpo
che fa emettere a tutti un gridolino.

 Mi allungo, e vedo lo spettacolo già terminato.
Bravi! Ma un'altra vorta io me ne infischio
d'andarmi a scomodare per così poco.

1. - Piazza del Popolo.
2. - Cioè, la pena capitale che ha sostituito il supplizio della crocifissione.



ER DILETTANTE DE PONTE

 Viengheno: attenti: la funzione è llesta.
Ecco cor collo iggnudo e ttrittichente
er prim'omo dell'opera, er pazziente,
l'asso a ccoppe, er ziggnore de la festa.

 E ecco er professore che sse presta
a sserví da scirúsico a la ggente
pe ttré cquadrini, e a tutti ggentirmente
je cura er male der dolor de testa.

 Ma nnò a mman manca, nò: ll'antro a mman dritta.
Quello ar ziconno posto è ll'ajjutante.
La proscedenza aspetta a Mmastro Titta.

 Volete inzeggnà a mmé cchi ffà la capa?
Io cqua nun manco mai: sò ffreguentante;
e er boia lo conosco com'er Papa.

29 agosto 1835
IL DILETTANTE DI PONTE 1

Vengono: attenti: la funzione è rapida.
Ecco col collo nudo e traballante
il protagonista dello spettacolo, il paziente,
l'asso di coppe, il signore della festa.

Ed ecco il professore che si presta
a servire da chirurgo alla gente
per tre quattrini, e a tutti gentilmente
cura il dolore del mal di testa.

Ma non a sinistra, no: l'altro sulla destra.
Quello al secondo posto è l'aiutante.
La precedenza spetta a mastro Titta.

Volete insegnare a me chi fa la testa? 2
Io qua non manco mai: sono frequentatore;
e il boia lo conosco come il Papa.

1. - Per i romani "Ponte" è solo ponte Sant'Angelo.
2. - Chi effettivamente opera l'esecuzione.