~ la lingua e la poesia ~
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Cesare Pascarella

LA SCOPERTA DE L'AMERICA
(1894)
A LA MEMORIA DE MI' MATRE


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INDICE

IIIIIIIVV




I

Ma che dichi? Ma leva mano, leva!
Ma prima assai che lui l'avesse trovo,
Ma sai da quanto tempo lo sapeva
Che ar monno c'era pure er monno novo!

E siccome la gente ce rideva,
Lui sai che fece un giorno? Prese un ovo,
E lì in presenza a chi nun ce credeva,
Je fece, dice: - Adesso ve lo provo.

E lì davanti a tutti, zitto zitto,
Prese quell'ovo e senza complimenti,
Pàffete! je lo fece regge dritto.

Eh! Ner vedé quell'ovo dritto in piede,
Pure li più contrari più scontenti,
Eh, sammarco! ce cominciorno a crede.



I

Ma cosa dici? Ma finiscila!
Ma assai prima ch'egli l'avesse scoperto,
Sai da quanto tempo già sapeva
Che al mondo esisteva anche il "mondo nuovo"! 1

E poiché la gente ne rideva,
Sai cosa fece un giorno? Prese un uovo,
E lì, alla presenza di chi non credeva,
Disse loro: 2 - Adesso ve lo provo.

E lì davanti a tutti, con la massima semplicità 3
Prese quell'uovo, e senza complimenti,
Paff! lo fece regger dritto.

Eh! Nel vedere quell'uovo in posizione eretta:
Persino i più contrari e scontenti,
Vi cominciarono a credere per forza. 4

1. - Cioè l'America, contrapposta al vecchio mondo, l'Europa.
2. - Alla tipica interiezione "dico" e "dice", usata per introdurre un discorso diretto, un vero romano non rinuncerà mai, nemmeno quando prima di essa venga usato un'altro verbo analogo (in questo caso, "je fece", cioè "gli fece, gli disse").
3. - L'espressione zitto zitto quasi mai indica il compiere un'azione in perfetto silenzio; piuttosto, in senso metaforico, indica il compierla in modo molto naturale, senza enfasi, oppure compierla di soppiatto, senza essere notati.
4. - L'espressione "sammarco!" (cioè "San Marco!") per i romani corrispondeva a "per forza!", "con le buone o con le cattive". Una leggenda narra che il giorno di San Marco, 25 aprile, un papa capriccioso volle a tutti i costi che i dignitari gli procurassero delle ciliege, impossibili da reperire, donde l'espressione, ora purtroppo caduta in disuso.


II

Ce cominciorno a crede, sissignora;
Ma, ar solito, a 'sto porco de paese
Si vòrse trovà appoggio pe le spese
De la Scoperta, je tocco a annà fôra.

E siccome a quer tempo lì d'allora
Regnava un re de Spagna portoghese,
Agnede in Portogallo e lì je chiese
De poteje parlà p'un quarto d'ora.

Je fece 'na parlata un po' generica,
E poi je disse: - Io avrebbe l'intenzione,
Si lei m'ajuta, de scoprì l'America.

- Eh, fece er re, ched'era un omo esperto,
Sì, v'ajuto... Ma, no pe fa eccezione,
Ma st'America c'è? Ne séte certo?

II

Cominciarono a crederci, sissignore; 1
Ma come al solito, in questo dannato paese
Se volle trovare sostegno per le spese
Della Scoperta, dovette andare all'estero.

E poiché a quel tempo d'allora
Regnava in Spagna un sovrano portoghese
Andò in Portogallo, e lì gli chiese
Di poter parlare con lui per un quarto d'ora.

Gli fece un discorso un po' generico,
E poi gli disse: - Io avrei l'intenzione,
Se lei mi aiuta, di scoprire l'America.

- Eh, disse il re, che era un uomo esperto,
Sì, vi aiuto... Ma, non per obiettare,
Quest'America esiste? Ne siete certo?

1. - In dialetto romano, alcune espressioni esclamative vengono talora usate al femminile anche se riferite a persone di sesso maschile: "sissignora" è una di queste.


III

- Ah! fece lui, me faccio maravija
Ch'un omo come lei pô dubitallo!
Allora lei vôr dì che lei mi pija
Per uno che viè qui per imbrojallo!

Nonsignora, maestà. Lei si consija
Co' qualunque sia ar caso de spiegallo,
E lei vedrà ch'er monno arissomija,
Come lei me l'insegna, a un portogallo.

E basta avecce un filo de capoccia
Pe capì che, dovunque parte taja,
Lei trova tanto sugo e tanta coccia.

E er monno che cos'è? Lo stesso affare.
Lei vadi indove vo', che non si sbaja,
Lei trova tanta terra e tanto mare.

III

- Ah! disse lui, mi meraviglio
Che un uomo come lei possa dubitarne
Allora vuol dire che lei mi prende
Per uno che viene qui ad imbrogliarla!

Nossignore maestà. Lei si consigli
Con chiunque sia in grado di spiegarlo,
E lei vedrà che il mondo assomiglia,
Come lei mi insegna, ad un'arancia. 1

E basta avere un poco di cervello
Per capire che da qualsisi parte tagli,
Lei trova tanto sugo quanta buccia.

E il mondo che cos'è? La stessa cosa.
Lei vada dove vuole, non può sbagliare,
Lei trova tanta terra quanto mare.

1. - Qui Pascarella gioca col fatto che a Roma le arance erano anche dette "portogalli"; lo stesso Belli aveva fatto leva sul medesimo equivoco nel sonetto Er Portogallo, datato 27 novembre 1832.


IV

Je capacita sto ragionamento?
- Sicuro, fece er re, me piace assai
E, vede, je dirò che st'argomento
Ancora nu' l'avevo inteso mai.

Però, dice, riguardo ar compimento
De l'impresa, siccome... casomai...
- Ma 'bbi pazienza, fermete un momento...
Ma ste fregnacce tu come le sai?


Eh, le so perché ci ho bona memoria.
- Già! Te ce sei trovato! - Che significa?
Le so perchè l'ho lette ne la storia.

- Ne la storia romana? - È naturale.
Ne la storia più granne e più magnifica,
Che sarebbe er gran libro universale.

IV

La convince questo ragionamento?
- Sicuro, disse il re, mi piace molto
E, vede, le dirò che questo argomento
Non l'avevo ancora udito mai.

Però, riguardo al compimento
Dell'impresa, poichè... casomai....
- Ma scusa, fermati un momento...
Ma queste panzane tu come le conosci?
1

Eh, le conosco perché ho buona memoria
- Già! Ti ci sei trovato! - E che vuol dire?
Le so perché le ho lette nella storia.

- Nella storia romana? - Certamente.
Nella storia più grande e magnifica,
Vale a dire il gran libro universale. 2

1. - Chi parla è uno degli interlocutori del narratore, il quale contesta la veridicità di quanto egli sta raccontando loro.
2. - Cioè il manuale di storia universale.


V

Ché l'antri libri, no pe dinne male,
Nun contrasto, saranno cose bone,
Ma all'urtimo sò tutti tale e quale:
Legghi, legghi, e che legghi? un'invenzione.

Ma invece co' la storia universale
Nun ci hai da facce manco er paragone,
Ché lì ce trovi scritto er naturale
De li fatti de tutte le persone.

Vedi noi? Mò noi stamo a fà bardoria:
Nun ce se pensa e stamo all'osteria...
Ma invece stamo tutti ne la storia.

E per questo m'ha sempre soddisfatto,
Perché in qualunque storia ch'uno pïa,
Tu nun legghi 'na storia; legghi un fatto.

V

Perché gli atri libri, non per dirne male,
Non discuto, saranno cose buone,
Ma alla fine sono tutti tali e quali:
Leggi, leggi, e cosa leggi? cose inventate.

Invece la storia universale
Non la puoi nemmeno paragonare,
Perché vi trovi scritti al naturale
I fatti di tutte le persone.

Vedi noi? Ora stiamo facendo baldoria:
Non ci si pensa e siamo all'osteria...
Ma invece siamo tutti nella storia.

Per questo mi ha sempre soddisfatto,
Perché qualsiasi evento si scelga,
Tu non leggi una storia; leggi un fatto. 1

1. - Anche in questo caso si gioca sul doppio senso della parola "storia", che viene spesso usata col significato di "fola", "panzana", "cosa non vera".