~ la lingua e la poesia ~
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Giggi Zanazzo

Usi, Costumi e Pregiudizi del popolo di Roma

(1907)



MEDICINA POPOLARE

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Contro li ggelóni.

Bagnateveli bbene bbene cor piscio callo prima de ficcavve in de' lletto. Fatelo pe' quattro o ccinque sere de seguito, e vvederete che vve se passeranno.
*
Pe' guarì li geloni fa puro bene un impiastrino de marva cotta, o dde sarvia, oppuramente d'ajo pisto, o de mele cotte, de fravole mature o de farina de céci.
Puro a ontalli cor ségo ce se prova rifriggerio.
*
Si ppoi ve volete fa' ppassà quer rosore che ddà tanto tormento speciarmente a le crature, la sera prima d'annà a lletto, mettete a scallà un po' d'acqua, e poi mettetece li piedi a mmòllo per una diecina de minuti.
Vederete che mmanosanta!
Contro i geloni.

Bagnateveli per bene con l'urina calda prima di infilarvi nel letto. Fatelo per quattro o cinque sere di seguito, e vedrete che vi guariranno.
*
Per guarire i geloni fa anche bene un impiastrino di malva cotta, o di salvia, oppure d'aglio pestato, o di mele cotte, o di fragole mature o di farina di ceci. Anche ungendoli col sego si prova refrigerio.
*
Se poi volete mandar via quel rossore che dà tanto fastidio specialmente ai bambini, la sera prima di andare a letto, mettete a scaldare un po' d'acqua, e poi mettetevi i piedi a bagno per una decina di minuti.
Vedrete che rimedio efficace!

Contro li dolor de réni.

Comprate un sordo o dua de lardo de pòrco maschio, strufinàtevelo bbene e pper un ber pezzetto su la parte che vve dôle, e vvederete che doppo un po' dde tempo ve sentirete arifiatato.
Va con sé, che avete d'avé ccura de coprivve li reni co' 'na pezza de lana ariscallata.

Contro la lombalgia.

Comprate un soldo o due di lardo di maiale maschio, strofinatevelo bene e per un bel po' sulla parte che vi duole, e vedrete che dopo qualche tempo vi sentirete assai meglio.
Naturalmente dovete aver cura d coprirvi i lombi con una pezza di lana riscaldata.

Contro li Pòrri.

Pe' llevasse l'incommido de li pòrri nun ce vô gnente.
Annate dar pizzicarôlo, comprate un ber pézzétto de códica, e strufinàtevece bbene bbene tutti li pòrri che cciavéte sìì pe' la vita che pp'er viso.
Fatta 'sta funzione pijate quela medema códica e annatela a buttà in d'un sito, indove, doppo che ce l'avete buttata, nun ciavete da passà ppiù in tutto er tempo de la vita vostra; perché si cce passate li porri v'aritorneranno e nun ve passeranno ppiù.
Quanno poi quela códica medema che v'ha sservito se sarà seccata der tutto, allora li porri che ciavete ve se ne cascheranno da sé.
*
Si nnò strufinàteve sopra a li porri un cécio o un faciolo che dev'esse rubbato, si nnò nun vale; eppoi bbuttatelo in der gèsso.
*
C'è puro chi li lega cor un'accia de filo de seta crèmisi (attenta bbene ch'er colore sia cremisi!) infinenta che nu' jé sé seccheno e ppoi jé cascheno da loro.
*
Un antro arimedio pe' ffa' sparì li porri è quello de daje un'abbagnatina pe' ddue o tre vvorte co' quer sangue de quanno la donna cià le cose sue.
*
Oppuramente comprate un mazzetto de radicétte e strufinatevele bbene su li porri diverse vorte e ppe' ddiversi ggiorni. Quanno ve sete servìto de quer mazzetto, mettetelo a seccallo ar sóle. Una vorta seccate le radicétte, puro li porri se séccheno e vve càscheno.

Contro i porri.

Per togliersi l'incomodo dei porri non ci vuole nulla.
Andate dal pizzicagnolo, comprate un bel pezzetto di cotenna, e con esso strofinatevi ben bene tutti i porri che avete, tanto sul corpo che sul viso.
Compiuta questa operazione, prendete quella stessa cotenna e andatela a gettare via in un luogo dove, una volta gettatala, non abbiate a passare più per tutto il resto della vostra vita, perché se vi transitate di nuovo i porri vi ritorneranno e non se ne andranno più.
Quando poi quella stessa cotenna che vi è servita si sarà seccata del tutto, allora i porri che avete cadranno da soli.
*
In alternativa strofinatevi sopra un cece o un fagiolo che sia stato rubato, altrimenti non vale; e poi gettatelo via nel gabinetto.
*
C'è anche chi li lega con un'accia di filo di seta rosso (si faccia bene attenzione che il colore sia rosso!) finché non si seccano e quindi cadono da sé.
*
Un altro rimedio per far sparire i porri è quello di bagnarli un poco per due o tre volte con il sangue di quando la donna ha le sue cose.
*
Oppure comprate un bel mazzetto di ravanelli e strofinateli bene sui porri per diverse volte e per diversi giorni. Quando vi siete serviti di quel mazzetto, mettetelo a seccare al sole. Una volta seccati i ravanelli anche i porri si seccano e cadono.

Contro l'aridropisia.

Fateve dà ddar sempricista quela ràdica (che nun so ccome se chiama) che ccià ll'occhi, er naso, la bbocca, le bbraccia e le gamme come un cristiano 1 , fatela bbulle in d'un puzzonetto de còccio, pieno d'acqua, bbevetevela pe' 'na ventina de ggiorni, la mmatina a ddiggiuno, e gguarirete.

1. - La pianta che ha la radice a forma umana è la Mandragora.
(nota originale di Zanazzo)


Contro l'idropisia.

Fatevi dare dall'erborista quella radice (di cui non so il nome) che ha gli occhi, il naso, la bocca, le braccia e le gambe come un essere umano 1 , fatela bollire in un vasetto di coccio, pieno d'acqua, bevetela per una ventina di giorni, la mattina a digiuno, e guarirete.

Contro li gonfiori, li bbòzzi e le ferite.

Ammalapena una persona riceve una bbastonata, un pugno o anche una ferita, llì ppe' llì, je fa subbito bbene a mmettecce una bbrava chiarata d'ovo sbattuto, oppuramente un po' d'amido fatto a impiastro, o un po' de strutto sopra un pezzo de cartastraccia.
Jé fa ppuro 'na mano santa a appricacce er cerume de l'orecchia, o anche un impiastrino fatto co' la porvere da sparo e ll'acquavita.
Anzi giacché v'ho smentuvato la porvere da sparo, bbisogna che v'avverti che u' rimedio mejo pe' guarì ortre a li bòzzi, li gonfiori, ecc. puro li sfoghi de la pelle e tanti antri malanni, nun se trova.

Contro i gonfiori, le tumefazioni e le ferite.

Non appena una persona riceve una bastonata, un pugno o anche una ferita, lì per lì fa subito bene mettervi una bella chiara d'uovo sbattuta, oppure un po' d'amido preparato a impiastro, o un po' di strutto su un pezzo di carta straccia.
Fa anche molto bene applicarvi il cerume dell'orecchia, o anche un impiastrino fatto con la polvere da sparo e l'acquavite.
Anzi, avendo menzionato la polvere da sparo, debbo avvisarvi che non esiste un rimedio migliore per guarire oltre alle tumefazioni, i gonfiori, ecc. anche gli sfoghi della pelle e tanti altri malanni.

Pe' stagnà er sangue ch'esce dar naso.

Ce so' un sacco d'arimedi uno mejo de ll'antro.
Se fa una croce cór un zéppo e sé mette in testa a la persona che j'èsce er sangue dar naso.
*
Oppuramente co' la féde je se ségna una croce in testa.
*
O anche se fa mmette la persona che ccià er sangue che je cola dar naso, su le punte de li piedi, e cco' le du' mano arzate e arampicate ppiù cche pô ssu p'er muro, insino a ttanto che nu' je sparisce er sangue.
*
Certe vorte er sangue se stagna arzanno su le du' bbraccia.
Presempio: si er sangue ve viè ggiù dda la fròcia dritta s'arza er braccio dritto; s'invece ve cóla da la fròcia mancina allora arzate er braccio mancino.
*
Fa ppuro bbene a chi je cóla er sangue a bbuttaje a ll'improviso un po' dd'acqua fredda de dietro ar collo.
Quell'impressione je lo stagna in sur subbito.

Per arrestare il sangue che esce dal naso.

Esistono molti rimedi, uno migliore dell'altro.
Si fa una croce con un ramoscello e si pone sul capo alla persona a cui esce il sangue dal naso.
*
Oppure con la fede gli si segna una croce sul capo.
*
O si fa anche mettere la persona a cui cola il sangue dal naso in punta di piedi, e con le due mani alzate e sollevate più in alto che può lungo il muro, finché non cessa il sanguinamento.
*
A volte il sangue si ferma alzando in alto le due braccia.
Per esempio: se il sangue vi scende dalla narice destra si solleva il braccio destro; se invece vi cola dalla narice sinistra in quel caso alzate il braccio sinistro.
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A chi cola il sangue fa anche bene gettargli all'improvviso un po' d'acqua fredda dietro al collo.
Quella sensazione glielo arresta immediatamente.

Contro la' moraggìa moroidale.

Bevete le bulliture de radiche d'ellera.
State però bene attenta a procuravve quele radiche che ffanno drento a le mura; perché ssi fùssino de quelle che nàscheno in de la tèra, nun ve farebbeno propio gnente affatto.

Contro l'emorragia emorroidale.

Bevete gli infusi di radici d'edera.
Fate però bene attenzione a procurarvi le radici che crescono dentro le mura; perché se fossero quelle che nascono nella terra, non vi farebbero proprio alcun effetto.

Una cura pe' smagrisse.

S'incomincia cor beve la mmatina, a ddiggiuno, un deto d'acéto, ma de quello bbòno; poi a mmano a mmano, invece d'un deto, du' deta, poi mèzzo bicchiere, e si uno l'arègge, anche un bicchiere sano. Ma bbisogna annacce piano; perché si cchi fa 'sta cura nun è ppiù cche sincero, po' insecchìsse ar punto da stennéce bbello che le gamme.

Una cura per dimagrire.

Si comincia col bere la mattina, a digiuno, un dito di aceto, ma di quello buono; poi a mano a mano, anziché un dito, due dita, poi mezzo bicchiere, e se uno ce la fa anche un bicchiere sano. Ma bisogna andarci cauti; perché se chi fa questa cura non è più che sincero, può dimagrire al punto di rimetterci addirittura la vita.

In che pposizzione se deve dormì.

Quanno a Ddio piacènno ve corcate in de' lletto, la mejo posizzione, p'ariposà propio paciosamente, è quella de mettese da la parte de man dritta.
C'è cchi sse mette a ppanza per aria; ma a ppanza per aria nun se dorme accusì ariposati come se dorme da la parte de man dritta.
State poi bene attenta mentre dormite a nun posavve le bbraccia o le mane su la testa o ssur core; si nnò l'insogni bbrutti che nun ve fate, se sprégheno.
E si vvolete arisvejavve de sicuro la mmatina appresso, nun v'addormite mai, per carità, da la parte der core; si nnò un stravaso, sarvognòne, de sangue o un antro diànciche qualunque, ve pò ffa' arimane freddo sur fatto.

In che posizione si deve dormire.

Quando finalmente vi coricate nel letto, la miglior posizione, per riposare proprio saporitamente, consiste nell'adagiarsi sul lato destro.
C'è chi si sdraia supino; ma a pancia in su non si riposa altrettanto bene come dormendo sul lato destro.
Fate poi bene attenzione mentre dormite a non poggiarvi le braccia o le mani sul capo o sul cuore; altrimenti i brutti sogni che farete saranno innumerevoli.
E se volete avere la certezza di risvegliarvi la mattina successiva, non addormentatevi mai, per carità, sul lato del cuore; altrimenti uno stravaso di sangue, Dio ne scampi, o un altro accidente qualunque vi può uccidere sul colpo.


USI, COSTUMI, CREDENZE, LEGGENDE E PREGIUDIZI


E' lletto.

E' lletto, in cammera, nun se deve mai mette in d'una posizzione che li piedi de chi sta a lletto guardino la porta; si nnò pô èsse che in quela medema posizzione (che, ssarvognone, vorebbe intenne morto) uno presto presto se ne pô annà.
Il letto.

In camera, il letto non si deve mai collocare in una posizione tale che i piedi di chi si corica siano rivolti alla porta; altrimenti potrebbe accadere che in quella medesima posizione (che, Dio ne guardi, vorrebbe dire morto) uno potrebbe andarsene assai presto.

Pe' conosce u' lladro che v'ha rubbato.

Quanno v'hanno arubbato quarche oggetto, e vvolete conosce chi è stato e' lladro o la ladra, ecco com'avete da fa'.
Annate in Ghetto, cercate de conosce quarche strega ggiudìa, perché ssortanto le streghe ggiudìe so' bbone a ffavve la ccusì ddetta Caraffa.
Consiste in d'una bottija, che la strega ggiudìa, facenno un sacco de scongiuri, ve la prepara, ve la mette su la tavola, e vvoi a quanto drento a 'sta Caraffa ce vedete comparì e' llombetto o la ladra che vv'ha rubbato.

Per conoscere un ladro che vi ha derubato.

Quando vi hanno rubato qualche oggetto, e volete sapere chi è stato il ladro o la ladra, ecco come dovete fare.
Andate in Ghetto, cercate di conoscere qualche strega ebrea, perché soltanto le streghe ebree sono in grado di farvi la cosiddetta Caraffa.
Consiste in una bottiglia, che la strega ebrea, facendo molti scongiuri, vi prepara, vi mette sulla tavola, e voi in ciò che è all'interno di questa Caraffa vedete comparire il mariuolo o la ladra che vi ha derubato.

Pe' scongiurà le streghe.
Quanno e ccome er Papa le mmalediva.

(. . .)
A ppreposito de le streghe, anticamente, tutte le vorte ch'er Papa pontificava in Ssan Pietro o in quarc'un'antra de le sette bbasiliche, mannava una maledizzione speciale contro le streghe, li stregoni e li fattucchieri.
'Sta maledizzione er Papa la tieneva scritta sopra un fojo de carta; e quanno l'aveva letta, stracciava er fojo e lo bbuttava in chiesa in mezzo a la folla.
Che, pper impossessasse de queli pezzi de carta, manco si ffussi stata pe' strada, faceva a spinte, a ppugni, a ttuzze e a sganassóni.

Per esorcizzare le streghe.
Quando e come il Papa le malediva.

(. . .)
A proposito delle streghe, anticamente tutte le volte che il papa pontificava in San Pietro o in qualcun'altra delle sette basiliche 1, lanciava una maledizione speciale contro le streghe, gli stregoni e i fattucchieri.
Questa maledizione il papa la teneva scritta su un foglio di carta; e dopo averla letta, stracciava il foglio e lo gettava in chiesa in mezzo alla folla.
Quest'ultima, per impossessarsi di quei frammenti di carta, si dava spinte, pugni, percosse e sberle, come neppure per strada avrebbero mai fatto.
1. - Le sette basiliche sono S.Pietro, S.Giovanni in Laterano, S.Maria Maggiore, S.Croce in Gerusalemme, S.Paolo Fuori le Mura, S.Lorenzo Fuori le Mura, S.Sebastiano.

Pe' vvede si una
ne ll'anno nôvo che vviè, sposerà.

Regazze mie, er primo ggiorno de ll'anno nôvo, annate su la porta de casa, pijate una ciavatta, e bbutattela o su' ripiano der primo capo de le scale, oppuramente de fôra der portone.
Si la punta de la scarpa o dde la ciavatta, in der cascà che ffà pper ttèra, arimane arivortata verso la porta o er portone de casa che ssia, allora è segno che puro drento l'anno nôvo nu' sposate; ma ssi la punta de la ciavatta arimane vortata verso l'uscita, allora è ssegno che ddrento l'anno ve maritate certamente.

Per sapere se una ragazza
nell'anno nuovo che viene, si sposerà.

Ragazze mie, il primo giorno dell'anno nuovo, andate sulla porta di casa, prendete una pantofola, e gettatela sul pianerottolo della prima rampa di scale, oppure fuori del portone.
Se la punta della scarpa o della pantofola, nel cadere per terra, resta rivolta verso la porta o il portone di casa, quale che sia, ciò è segno che non sposerete neppure entro l'anno nuovo; ma se la punta della pantofola resta rivolta verso l'uscita, ciò è segno che entro l'anno vi sposerete certamente.

La prova de le tre ffava.

Er primo de ll'anno, pe' vvedé si ddrento l'anno nôvo le regazze se mariteno, hanno da fa' st'antra prova.
Hanno da pijà tre ffava secche; a una je deveno levà ttutta la còccia, a una mezza còccia, e a la terza gnente. 'Ste tre ffave poi l'incarteno in tre ppezzetti de carta, e se le deveno mette sotto ar cuscino prima d'addormisse.
La mmatina, ammalapena sveje, ne deveno pijà una a l'inzecca. Si la fava ch'hanno pijata cià tutta la còccia, è ssegno che drento l'anno sposeranno un partito ricco; si pijeno quella co' la mezza còccia un partito moscétto; e ssi je capita quella senza la còccia, uno spóso migragnóso migragnóso.

La prova delle tre fave.

Per conoscere se entro l'anno nuovo si mariteranno, il primo dell'anno le ragazze devono fare quest'altra prova.
Devono prendere tre fave secche; a una devono togliere tutta la buccia, a una mezza buccia, e alla terza non devono toglierla. Queste tre fave poi le incartano in tre pezzetti di carta, e se le devono mettere sotto al cuscino prima di addormentarsi.
La mattina, non appena sveglie, devono prenderne una a caso. Se la fava che hanno preso ha la buccia per intero, è segno che entro l'anno sposeranno un partito ricco; se pescano quella con metà buccia un partito mediocre; e se capita loro quella senza buccia, un marito assai povero.

Quanto regna un papa.

Er papa ha dda regnà ppochi anni.
So' stati pochi quelli che so' arivati a ppassà la ventina; e gnisuno de loro è stato bbono a ppassà li 25 anni che ha regnato San Pietro.
Perché si un papa, nun sia mai detto, arrivasse a ppassà ll'anni de San Pietro, Roma se subbisserebbe ar punto tale, da nu' restacce in piede manco una colonna.
(Tutti s'erimio cresi accussì, insinenta a Pio IX e a Leone XIII che li 25 anni de San Pietro l'hanno passati e strapassati, senza ch'a Roma je sii volata 'na penna; va bbè che ttutto questo è ssuccesso pe' promissione der Cèlo!).

Quanto regna un papa.

Il papa deve regnare pochi anni.
Sono stati pochi quelli che sono arrivati a superare il ventennio; e nessuno di essi è stato in grado di superare i 25 anni che ha regnato San Pietro.
Perché se un papa, non sia mai detto, riuscisse a superare gli anni di San Pietro, Roma sprofonderebbe tanto che non resterebbe in piedi neppure una colonna.
(Avevamo tutti creduto a ciò, fino a Pio IX e Leone XIII, che i 25 anni di San Pietro li hanno superati di gran lunga senza che a Roma fosse torto un capello; tutto questo, comunque, è avvenuto per intercessione divina!).

Li Tesori.

Ce ne so' ttanti de tesori, speciarmente drento Roma e in de la campagna romana, che a ppotelli scoprì ttutti ce sarebbe da diventà mmijonari.
La maggior parte de 'sti tesori da scoprì stanno scritti in certi libbri antichi antichi. Infatti, tanto tempo fa, un ingrese lesse in uno de 'sti libbri:

« Tra la vacca e 'r toro
Troverai un gran tesoro »

Lui se messe a ccercà ppe' tutta Roma, e ddefatti in d'una scurtura che sta ssotto a quel'archetto appoggiato a la cchiesa de San Giorgio in Velabbro, ce trovò scorpito, tra ll'antre cose, una vacca e un toro.
Fece fa un ber bucio tra quele du' bbestie, e cce trovò una pila tutta piena de monete d'oro. Difatti, si l'annate a vvede er bucio incora ce se trova.
*
Una vorta me ne insegnorno uno a mme che stava in d'una grotta fôr de Porta Portese. Sopre, pe' ssegnale, ce stava una pietra bbianca. Dice, che pprima d'arzà quela pietra, bbisognava magnà li fegatèlli còtti co' le fronne d'un lavuro che l'arbero stava fôra de quela grotta, e ppoi bbisognava (gnentedemeno!) ammazzà su quela medema pietra u' regazzino de cinque anni (!). Fatta 'sta prodezza, s'aveva da scavà, e ppoi a una certa profonnità, cce se trovava er tesoro.
*
Un'antra vorta un mago me disse, che cc'era un tesoro da scoprì.
Ècchete che se n'annamo assieme a llui da 'na sonnambula, che cce disse infatti ch'er tesoro stava pe' la strada de Frascati sotto a un cavarcavìa.
Pe' trovallo però ss'avemio da portà una regazza vergine e gnente antro. Ce disse puro che nun se fussimo intimoriti, si avessimo inteso urli de bbôvi e rumori de catene.
Abbasta: annassimo ar sito che cce fu insegnato, e ttrovassimo tutto come ciaveva detto er mago.
Incominciassimo a scavà ddiversi parmi sotto tera.
Quanto, tutto in d'un botto, ècchete che cce sartò dda la bbucia, un canone, nero, nero, da pecoraro, che un antro po' cce se sbramava!
Abbasta: scavamo, scavamo, a' llume de 'na lenterna, finché ttrovamo una pietra bbianca.
Era er tesoro!
Uno de quelli che scavava, ar vedé la pietra, invece de dì, come annava detto: Evviva Maria!, nun disse Porca M...?
Detta quela bbiastima, si nun facemio a ttempo a ffugge se sprofonnamio tutti sotto tera. E accusì addio, tesoro!

I Tesori.

Vi sono così tanti tesori, specialmente in Roma e nella campagna romana, che a poterli scoprire tutti si potrebbe diventare milionari.
La maggior parte di questi tesori da scoprire sono descritti in certi libri assai antichi.
Infatti, molto tempo fa un inglese lesse in uno di questi libri:

« Tra la vacca e il toro
Troverai un gran tesoro »

Egli si mise a cercare per tutta Roma, e difatti in una scultura situata sotto al piccolo arco che poggia contro la chiesa di San Giorgio in Velabro, trovò scolpiti, fra le altre cose, una vacca e un toro.
Fece scavare un bel buco fra quei due animali, e vi trovò una pentola piena di monete d'oro. Difatti, se l'andate a vedere, il buco si trova ancora lì.
*
Una volta a me ne indicarono uno che si trovava in una grotta fuori Porta Portese. Sopra, come segnale, vi era una pietra bianca. Si diceva che prima di sollevare quella pietra fosse necessario mangiare i fegatelli cotti con le foglie d'un alloro il cui albero sorgeva fuori della grotta, e poi si sarebbe dovuto uccidere su quella stessa pietra nientemeno che un bambino di cinque anni (!). Compiuta questa bella impresa, si doveva scavare, e quindi ad una certa profondità si sarebbe trovato il tesoro.
*
Un'altra volta un mago mi disse che c'era un tesoro da scoprire.
Eccoci andare insieme da una sonnambula, la quale infatti ci disse che il tesoro si trovava lungo la strada per Frascati, sotto a un cavalcavia.
Per trovarlo, però, ci saremmo dovuti portare dietro una ragazza vergine, e null'altro. Ci disse anche di non intimorirci nel caso avessimo udito muggiti di bue e rumore di catene.
In breve, andammo sul luogo che ci fu indicato, e trovammo tutto come ci aveva detto il mago.
Cominciammo a scavare diversi palmi sottoterra.
Quando ecco all'improvviso balzò fuori dalla fossa un enorme cane nero, da pastore, che poco mancò ci sbranasse!
Per farla corta, scavammo e scavammo alla luce di una lanterna, finché trovammo una pietra bianca.
Era il tesoro!
Uno degli uomini che scavavano, nel vedere la pietra, anziché dire, com'era giusto, Evviva Maria!, non esclamò Porca M...?
Una volta pronunciata quella bestemmia, se non avessimo fatto in tempo a fuggire saremmo sprofondati tutti sottoterra. E così, addio tesoro!

L'ammazzati de la Domenica.

Era tanta e accusì intartarita, a Roma, l'usanza de scannasse come ccrapetti, che, speciarmente la festa, in ogni Uriòne, ce scappàveno diversi ammazzati, sei, sette, otto, ecc.
Tant'è vvero che se metteveno in un locale de la parocchia che sse chiamava lo sfréddo, e ttutti ppe' curiosità se l'annaveno a ggustà.
Me ricordo che infinenta li regazzini diceveno ar padre: « A Tata, me porti a vvede quanti so' stati oggi l'ammazzati? »
(. . .)

Gli ammazzati della Domenica.

A Roma l'abitudine di scannarsi come capretti era tale e così inveterata che, specialmente nei giorni festivi, in ogni Rione diverse persone finivano ammazzate, all'incirca sei, sette, otto.
Tant'è vero che venivano posti in un locale della parrocchia chiamato lo sfréddo [ = la refrigerazione], e tutti andavano a goderseli per curiosità.
Mi ricordo che persino i bambini chiedevano al padre: « Papà, mi porti a vedere quanti sono stati oggi gli ammazzati? »
(. . .)

Li Francesi a Roma.

A Roma li Francesi ereno odiati a mmorte; e dda certi vecchi Regolanti, de vennétte contro li Francesi de Napoleone I e de Napoleone III n'ho intese ariccontà ttante da fa' orore.
Fra ll'antre, la notte, certi giuvinotti se vestiveno da donna, ciovettavano co' li sordati francesi, se li metteveno sotto er braccio, e ccor un sacco de smorfie, se li portaveno sotto fiume.
Arivati llì, je daveno una cortellatona in de la panza, j'attaccaveno un sasso ar collo e ll'affogaveno in der Tevere.
Cert'antre vorte li squartaveno, e ppoi ccusì a quarti, ce metteveno sopra un cartello cor un 3 o un 4, e ppoi l'attaccaveno fora de le porte de li macelli. Li Francesi, da parte loro, erano prepotenti; infastidiveno tutte le donne, magara quelle che staveno sotto ar braccio de li mariti; quanno s'imbriacàveno, nun voleveno pagà er conto a ll'osti, e intimoriveno tutti cor fa' li garganti e li ammazzasette.
Spesso veniveno a quistione co' ll'antri sordati der papa, speciarmente co' li dragoni, ch'ereno tutti romani, e cce pijaveno tante de quele méla, che nun ve ne dico.
Ogni tanto vedevio un sordato francese imbriaco, co' la sciabbola sfoderata, ggirà ppe' le strade de Roma, bbaccajanno e insurtanno chiunque incontrava.
Io me l'aricordo che accusì ffaceveno l'urtimi francesi arimasti a Roma fino guasi ar 1870.

I Francesi a Roma.

A Roma i Francesi erano odiati a morte; e di vendette contro i Francesi di Napoleone I e Napoleone III ne ho udite raccontare da alcuni vecchi abitanti della Regola [ = VII Rione di Roma] tante da fare orrore.
Fra le altre, di notte certi ragazzi si vestivano da donna, civettavano con i soldati francesi, se li prendevano sottobraccio, e con molte moine li conducevano presso la riva del fiume.
Una volta lì, davano loro una gran coltellata nel ventre, legavano loro un masso al collo e li affogavano nel Tevere. Altre volte li squartavano, e poi così in quarti, vi ponevano sopra un cartello con un 3 o un 4, e quindi li appendevano fuori delle porte dei macelli.
I Francesi, da parte loro, erano prepotenti; davano fastidio a tutte le donne, magari quelle che erano sottobraccio ai mariti; quando si ubriacavano non volevano pagare il conto agli osti, e intimorivano tutti col fare i bulli e gli spacconi.
Spesso litigavano con gli altri soldati del papa, specialmente con i dragoni, che erano tutti romani, e ne ricevevano tante percosse che non vi dico.
Ogni tanto vedevate un soldato francese ubriaco girare per le strade di Roma, con la sciabola sguainata, sbraitando e insultando chiunque avesse incontrato.
Io mi ricordo che si comportavano così gli ultimi francesi rimasti a Roma quasi fino al 1870.

E' Romano de Roma.

Er vero romano de Roma è strafottentissimo, e se ne... sgrulla artissimamente fino (e ppuro un po' ppiù ssu), de li sette cèli!
Nun pò ssoffrì la lègge: tutto quello che sà d'ubbidienza nu' lo pò ignotte.
Chi jé la fa jé la scónta: quanno ariceve quarch'affronto, sé vô aripagà dda sé: nun vô impiccioni de mezzo: ni cherubbigneri, ni tribbunali: a la ggiustizia (e ha millanta raggione!) nun ce crede.
(. . .)
Er vero romano de Roma, puro adesso come ar tempo der papa, indificirmente diventa quarche capo sia in der Guverno sia in de l'uffici.
Vedete un po' si vv'ariesce a ttrovà in d'un Ministerio, u' romano diventato un pezzo grosso. Manco pe' gnente!
E ssi cc'è è raro come le mosche bbianche, e è segno che quer tale, si cc'è arivato, nun è proprio romano de Roma de venti generazzione, nun è ccome semo noi, sangue d'Enea!

Il Romano di Roma.

Il vero romano di Roma è molto strafottente, e se ne... infischia altamente, fino ai sette cieli (ed anche un po' oltre)!
Non può soffrire la legge: tutto ciò che sa di ubbidienza non lo può mandar giù.
Chi gliela fa, gliela paga: quando riceve qualche affronto, vuole rivalersi da sé: non vuole tirare in ballo impiccioni: ne carabinieri, ne tribunali: alla giustizia non crede (e ha ragione da vendere!).
(. . .)
Il vero romano di Roma, oggi come pure ai tempi dei papi, difficilmente giunge a ricoprire ruoli di comando, tanto nel Governo quanto negli uffici.
Provate un po' se vi riesce di trovare in un Ministero un romano che sia diventato un pezzo grosso. Nemmeno per idea!
E qualora vi fosse, sarebbe raro come le mosche bianche, ed è segno che quel tale, se è arrivato fin lì, non è proprio romano di Roma da venti generazioni, non è come siamo noi, sangue d'Enea!



GIUOCHI FANCIULLESCHI, DIVERTIMENTI, PASSATEMPI, ESERCIZI

Le tradizioni romane comprendono anche un gran numero di giochi e passatempi, tanto per l'infanzia quanto per gli adulti; molti di questi non vengono più praticati dalle nuove generazioni, una tendenza in linea col resto del mondo.
Per compilare questa lista di giochi Zanazzo si servì dell'italiano ufficiale, lasciando però in dialetto i termini originali pronunciati o talora cantati dai giocatori.
Un intero capitolo dell'opera è dedicato al famoso gioco da osteria chiamato
Passatella; la dettagliata descrizione, scritta nuovamente in dialetto, viene riproposta per intero a
pagina 3.

Alcuni dei passatempi descritti nel saggio non sono esclusivamente romani, essendo giocati, o essendo stati giocati, anche in altre parti d'Italia, e qualcuno di essi è noto in tutto il mondo (ad esempio
campana, nascondino, cavalluccio, ed altri). Gli esempi che seguono sono una piccola selezione di quelli più particolari, che probabilmente appartengono alla sola tradizione locale.


A semmolèlla cor naso.

È un giuoco antichissimo, uso a farsi, anche dagli adulti, nella notte di Natale o nelle lunghe serate d'inverno.
Tutti coloro che vi prendono parte, e possono essere molti, pagano la quota stabilita: un quatrinello (centesimo), un soldo, due, ecc. Colui il quale dirige il giuoco conta il danaro; ne fa tre, quattro, cinque parti, maggiori o minori, a piacimento; e senza farsi vedere dai giocatori, nasconde quelle piccole somme sotto a qualcuno de' parecchi mucchi di semmolella o semola, già preparati sul tavolo attorno al quale si giuoca.
I giuocatori, uno alla volta, secondo si è stabilito prima del giuoco, fiutando i diversi mucchi, devono indovinare sotto quale di essi si nasconde il danaro. A chi riesce d'indovinare va la somma nascosta sotto il mucchio scoperto.
Il divertimento di questo giuoco sta nel vedere gli atteggiamenti di coloro i quali nell'annusare i mucchi ne aspirano la semmola, sternutando maledettamente.
Lo stesso giuoco, ora caduto affatto in disuso, sta fa anche indicando semplicemente il mucchio sotto il quale si crede celato il danaro.

Maróncino.

È un giuoco che si fa da due o più ragazzi con un ciotoletto o un altro pezzo di sasso rotondo detto maróne, tirandolo ad una certa distanza, e procurando di tirarvi vicini de' soldi.
Prima si fa la cónta; e a colui al quale tocca il punto al conto, getta il ciotoletto, detto bòccia o maróne, e poi vi tira appresso il suo soldo.
Destinato il posto da cui ciascuno scaglierà la sua moneta vicino al ciottolo, si fa l'ordine di successione al tirare.
L'ultimo, cioè colui che mandò la sua moneta più distante dal maróne, raccoglie le monete, e fattone un mucchio, le situa dove vuole, affinché il primo vi batta su col maróne, lanciandovelo sopra in modo sì netto e vibrato, che muova tutte le sottoposte monete 1 .
Se il colpo non riesce, passa il diritto di colpire al secondo, e poi al terzo, e così via via.

1. - L'intera frase è praticamente copiata da una delle note che Belli lasciò in calce al suo sonetto Er gioco der marroncino, datato 22 agosto 1830.
Stranamente, ciò che entrambe le descrizioni omettono di puntualizzare è che il giocatore che lancia il maróne vince solo le monete che riesce a capovolgere; a tale scopo le monete dovrebbero essere impilate tutte con la stessa faccia verso l'alto, così da identificare facilmente quelle che sono state rivoltate dal lancio del giocatore. Se quest'ultimo riesce a vincere almeno una moneta, ha diritto a lanciare di nuovo il maróne, fino a che non sbagli.
Poiché maróne si riferisce alla nota varietà di castagne, è probabile che il gioco fosse inizialmente praticato usando una castagna, o un sasso dalla forma simile.

Er Cucuzzaro o er Cocommeraro.

Uno fa da venditore di cocuzze o di cocommeri, i quali sono rappresentati da un certo numero di giocatori.
Viene un compratore e cerca d'una buona zucca a prova.
Egli stringe tra le due mani uno dopo l'altro il capo dei giocatori; e quella cocuzza che gli pare buona da comperare, pattuisce.
Venditore e compratore litigano; e ci va naturalmente di mezzo la cocuzza, rappresentata dalla testa del povero giocatore preferito, che si busca scosse in quantità e parecchi scapaccioni.

Scoccétto.

Giuoco che si fa con le uova lesse.
Uno de' giocatori stringe in pugno l'uovo, e l'altro vi batte sopra con una delle estremità del proprio uovo.
Se uno dei due uovi si rompe, diviene proprietà di colui al quale è rimasto sano il suo uovo.
Il Belli, in una nota del sonetto: Er madrimonio sconcruso, così lo descrive:
« Si giuoca a Roma dalla plebe, percuotendo colla parte più acuta d'un uovo allessato (ôvo tosto) sulla stessa parte d'un uovo simile che tiene in mano l'avversario. Colui, il cui uovo si frange all'urto, perde il giuoco; e ciò dicesi fare a scoccétto

Li colori.

Dei quattro giocatori più grandi, uno fa da capo-giuoco, un altro da Madonna, il terzo da Angelo e il quarto da Diavolo.
Il capo-giuoco dà a ciascuno degli altri giocatori, in segreto, il nome di un colore: verde, rosso, turchino, giallo, avana, ecc.
Viene la Madonna.
- Bussa, bussa.

Il capo-giuoco le domanda:
- Chi è?
- Vojo un colore.
- Che ccolore?

(Per esempio) - Turchino.
Il giocatore che ha il nome di tal colore si presenta, e la Madonna se lo conduce in Paradiso. Se però il colore richiesto manca, allora il richiedente (la Madonna, o l'Angelo, o il Diavolo) se ne ritorna con le mani vuote.
Si presenta, p.e., l'Angelo, chiede un altro colore, che, trovatolo, se lo conduce con sé.
Terzo viene il Diavolo, e si conduce seco colui che rappresenta il colore richiesto.
Il giuoco segue così fino alla fine; e la difficoltà sta nel trovare tra i componenti di esso, i colori desiderati dalla Madonna, dall'Angelo e dal Diavolo, e che difficilmente si trovan tutti tra coloro che giocano.
Finito il giuoco, i giocatori che stanno in paradiso deridono i compagni che sono condannati all'inferno, loro dicendo: Tappo de cacatore, o altre parole di scherno.

Nonno cé porti a mmessa?

Il fanciullo designato dalla conta è il nonno. Cammina curvo, facendosi sostegno del bastone, come se veramente fosse un vecchio cadente.
Gli altri giocatori si fingono suoi nepoti, e lo vanno importunando gridandogli dietro:
- Nonno cé porti a mmessa?
Ed egli, poco decentemente, risponde loro:
- No: nun vé cé porto; perché ssete un sacco de scorre...
- Nun è vvero, nonno, nun è vvero. Nonno, ce porti a mmessa?

E le ripulse del nonno e le insistenze dei nepoti durano parecchio; finché quello si piega a condurli a messa. Fingono allora di entrare tutti in chiesa, s'inginocchiano, e mentre il nonno finge di pregare essi (parlando con poco rispetto) fanno dei peti a tutto andare. Allora il nonno, esasperato, alza il bastone per picchiarli, ma essi fuggono inseguiti da lui che, per i suoi acciacchi, non giunge ad arrivarli. I suoi nepoti intanto si sono sparsi di qua e di là, sulla strada che il nonno percorre; ed alcuni si fingono muratori, altri giocatori di morra, od altro. Intanto, p.e., che i giocatori di morra gridano: - Cinque la morra, la viscioletta! ecc., il nonno chiede loro: - Avete visto certi vassalletti, scorre...? E quelli: No, nun avemo visto gnisuno. E non appena il nonno si è allontanato, essi dietro gli fanno un coro di pernacchie.
E il giuoco, sudicietto e puerile, seguita di questo passo a volontà dei giocatori.


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G.Berneri
BERNERI
G.G.Belli
BELLI
C.Pascarella
PASCARELLA
Trilussa
TRILUSSA
A.Fabrizi
FABRIZI

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