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Sono i motivi più noti, che artisti anche famosi (a cominciare da Ettore Petrolini) hanno reso
popolari almeno per qualche stagione, e non solo a Roma. In base ai temi trattati possiamo dividerli in tre filoni principali.
Il primo gruppo (titoli nella colonna di sinistra) è quello dei motivi conviviali, nei quali predomina un'atmosfera solare ed amabile, che li rende adatti a qualsiasi circostanza, e che infatti ha permesso loro di sopravvivere più a lungo delle altre canzoni. In essi si esalta soprattutto lo spirito epicureo e tutto sommato godereccio del vero romano, il carpe diem di antica memoria ('Na gita a li castelli, La società dei magnaccioni), ovvero le immortali bellezze della Città Eterna che incantano i forestieri tanto quanto i romani stessi (Stornellata romana, Canta si la vòi cantà). L'ultimo brano del gruppo, L'aricciarola, magnifica non le bellezze della Città Eterna bensì quelle di una piacente vinaia di Ariccia (località dei Castelli Romani).
Il secondo gruppo (Casetta de Trastevere, Barcarolo romano) si muove in direzione diametralmente opposta: è quello delle canzoni "strappacòre", con testi sorprendentemente drammatici e lacrimevoli, dei piccoli feuilleton in versi. È in realtà una finestra sui sentimenti più profondi del romano che, notoriamente guascone e scanzonato, di fronte agli affetti più cari si cala la rude maschera di Rugantino per rivelarsi un insospettabile tenerone.
La terza tematica (Pupo biondo, Ho scritto ar duce) riguarda le canzoni di guerra. È un gruppo molto esiguo, forse perché la guerra stessa non fa parte della mentalità romana - volémose bbene - e dunque per molti autori locali non rappresentò un terreno fertile. Infatti dai due esempi riportati si evince come tali canzoni quasi sempre potessero essere riclassificate nel gruppo precedente, e in alcuni casi mirassero più alla propaganda di regime (essendo state scritte durante il ventennio) che ad una vera esaltazione delle attività belliche, anzi talora, come in Pupo biondo, sottolineandone anche le nefaste conseguenze.
Chiudono la serie tre pezzi sul tema del difficile rapporto tra i romani e la legge. Il primo è Gira e fai la rota, una tipica canzone della malavita, dei primi anni del XX secolo, nota soprattutto per la celebre strofa che parla dello "scalino" del carcere di Regina Coeli; nel testo si menziona anche il Macellaretto, al secolo Domenico Marcellini, un famoso poliziotto vissuto a cavallo del 1900, assai temuto dai fuorilegge dell'epoca. Il secondo, A tocchi a tocchi, è un canto tradizionale di carcerato, che esprime sentimenti di amore e vendetta. Il terzo brano, invece, è un vivace resoconto di una disavventura notturna occorsa a un malcapitato, reo di aver espletato in strada un ...bisogno fisiologico: data la cronica carenza di bagni pubblici a Roma, il testo conserva a tutt'oggi una certa attualità!
Per molti dei testi esistono delle varianti (riportate, quando conosciute): ciò conferma il loro carattere estremamente popolare.
Il primo gruppo (titoli nella colonna di sinistra) è quello dei motivi conviviali, nei quali predomina un'atmosfera solare ed amabile, che li rende adatti a qualsiasi circostanza, e che infatti ha permesso loro di sopravvivere più a lungo delle altre canzoni. In essi si esalta soprattutto lo spirito epicureo e tutto sommato godereccio del vero romano, il carpe diem di antica memoria ('Na gita a li castelli, La società dei magnaccioni), ovvero le immortali bellezze della Città Eterna che incantano i forestieri tanto quanto i romani stessi (Stornellata romana, Canta si la vòi cantà). L'ultimo brano del gruppo, L'aricciarola, magnifica non le bellezze della Città Eterna bensì quelle di una piacente vinaia di Ariccia (località dei Castelli Romani).
Il secondo gruppo (Casetta de Trastevere, Barcarolo romano) si muove in direzione diametralmente opposta: è quello delle canzoni "strappacòre", con testi sorprendentemente drammatici e lacrimevoli, dei piccoli feuilleton in versi. È in realtà una finestra sui sentimenti più profondi del romano che, notoriamente guascone e scanzonato, di fronte agli affetti più cari si cala la rude maschera di Rugantino per rivelarsi un insospettabile tenerone.
La terza tematica (Pupo biondo, Ho scritto ar duce) riguarda le canzoni di guerra. È un gruppo molto esiguo, forse perché la guerra stessa non fa parte della mentalità romana - volémose bbene - e dunque per molti autori locali non rappresentò un terreno fertile. Infatti dai due esempi riportati si evince come tali canzoni quasi sempre potessero essere riclassificate nel gruppo precedente, e in alcuni casi mirassero più alla propaganda di regime (essendo state scritte durante il ventennio) che ad una vera esaltazione delle attività belliche, anzi talora, come in Pupo biondo, sottolineandone anche le nefaste conseguenze.
Chiudono la serie tre pezzi sul tema del difficile rapporto tra i romani e la legge. Il primo è Gira e fai la rota, una tipica canzone della malavita, dei primi anni del XX secolo, nota soprattutto per la celebre strofa che parla dello "scalino" del carcere di Regina Coeli; nel testo si menziona anche il Macellaretto, al secolo Domenico Marcellini, un famoso poliziotto vissuto a cavallo del 1900, assai temuto dai fuorilegge dell'epoca. Il secondo, A tocchi a tocchi, è un canto tradizionale di carcerato, che esprime sentimenti di amore e vendetta. Il terzo brano, invece, è un vivace resoconto di una disavventura notturna occorsa a un malcapitato, reo di aver espletato in strada un ...bisogno fisiologico: data la cronica carenza di bagni pubblici a Roma, il testo conserva a tutt'oggi una certa attualità!
Per molti dei testi esistono delle varianti (riportate, quando conosciute): ciò conferma il loro carattere estremamente popolare.
alias LO VEDI, ECCO MARINO
alias NANNÌ
Franco Silvestri, 1926
versione di Alvaro Amici, grande interprete di canzoni romane |
due sole strofe in un filmato del 1926 del celebre Ettore Petrolini |
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Guarda che sole Ch'è sortito Nannì, Che profumo de rose, de garofoli e panzè; Com'è tutto un paradiso, Li Castelli so' accusì. Guarda Frascati, Ch'è tutta 'n soriso, 'Na delizzia, 'n'amore, 'na bellezza da incantà. Lo vedi, ecco Marino, La sagra c'è dell'uva, Fontane che danno vino, Quant'abbondanza c'è. Appresso viè Genzano Cor pittoresco Arbano: Su, viètte a divertì 1 Nannì, Nannì. Là c'è l'Ariccia, Più giù c'è Castello, Ch'è davero 'n giojello co' quel lago da incantà, E de fravole 'n profumo Solo a Nemi pòi sentì; Sott'a quel lago Un mistero ce sta, De Tibberio le navi sò l'antica civirtà. So' mejo de la sciampagna Li vini de 'ste vigne, Ce fanno la cuccagna Dar tempo de Noè; Li prati a tutto spiano So frutta, vign'e grano: S'annamo a mette lì Nannì, Nannì. È sera e già le stelle 2 Te fanno un manto d'oro, E le velletranelle se metteno a cantà; Si canta 'no stornello 3 Risponne un ritornello: Che coro, viè a sentì, Nannì, Nannì. |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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LA SOCIETÀ DE LI MAGNACCIONI
alias MA CHE CE FREGA, MA CHE CE 'MPORTA
alias FATECE LARGO CHE PASSAMO NOI
versione breve di Lando Fiorini (strofe I e III)
Fatece largo che passamo noi, 'Sti giovenotti de 'sta Roma bella, Semo regazzi fatti cor pennello 1 E le regazze famo innammorà, E le regazze famo innammorà. Ma che ce frega, ma che ce 'mporta Si l'oste ar vino cià messo l'acqua; E noi je dimo, e noi je famo: 2 "Ciai messo l'acqua e nun te pagamo". Ma però noi semo quelli Che j'arisponnemo in coro: È mejo er vino de li Castelli Che questa zozza società. 3 Ce piaciono li polli, L'abbacchi e le galline, Perché sò senza spine, nun sò com'er baccalà. 4 La società dei magnaccioni, La società de la gioventù, A noi ce piace da magna e beve E nun ce piace da lavorà. E si pe' caso la sòcera mòre Se famo du' spaghetti matriciani, Appresso quattro litri velletrani 5 Se 'mbrïacamo e 'n ce penzamo più, Se 'mbrïacamo e 'n ce penzamo più. Ma che ce frega, ma che ce 'mporta 6 Si l'oste ar vino cià messo l'acqua; E noi je dimo, e noi je famo: "Ciai messo l'acqua e nun te pagamo". Ma però noi semo quelli Che j'arisponnemo in coro: Evviva er vino de li Castelli E de 'sta zozza società. Ce piaciono li polli, 7 L'abbacchi e le galline, (ecc. ecc.) E si pe' caso viè er padron de casa, De botto lui te chiede la piggione, Ma noi j'arisponnémo: "A sor fregnone, 8 T'àmo pagato e 'n te pagamo più. T'àmo pagato e 'n te pagamo più". Che ciarifrega, che ciarimporta Si l'oste ar vino cià messo l'acqua; (ecc. ecc.) Ce piaciono li polli, L'abbacchi e le galline, (ecc. ecc.) (Oste!) Pòrtece 'n'antro litro, Che noi se lo bevemo, E poi j'arisponnemo:9 "Embè? Embé? Che c'è?" E quanno er vino - 'mbè - Ciariva ar gozzo - 'mbé - Ar gargarozzo - 'mbé - Ce fa 'n ficozzo - 'mbé - Pe' falla corta, pe' falla breve, Chiamamo l'oste: 10 "pòrtece da beve!... da beve!... da beve!" |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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TANTO PE' CANTÀ
Simeoni - Petrolini, 1932
una rara versione originale del coautore Ettore Petrolini (1932) |
la versione più conosciuta: quella di Nino Manfredi (1970) |
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~ recitativo ~
È 'na canzone senza titolo, tanto pe' cantà, pe' fà quarche cosa, nun è gnente de straordinario, è robba der paese nostro, che se pò cantà pure senza voce, basta 'a salute.
Quanno c'è 'a salute c'è tutto. Basta 'a salute e 'n par de scarpe nòve, pòi girà tutt'er monno.
E m'accompagno da me.
Pe' fa la vita meno amara Me so comprato 'sta chitara, E quann'er sole scende e more Me sento 'n còre cantatore; La voce è poca ma intonata, Nun serve a fà la serenata, Ma solamente a fà in maniera De famme 'n sogno a prima sera. Tanto pe' cantà, Perché me sento 'n friccico ner còre, Tanto pe' sognà, Perché ner petto me ce naschi un fiore. Fiore de lillà Che m'ariporti verso er primo amore, Che sospiravi le canzone mie 1 E m'arintontonivi de bucìe. Canzone belle e appassionate Che Roma mia m'ha ricordate, Cantate solo pe' dispetto, Ma co 'na smania drent'ar petto; Io nun ve canto a voce piena, Ma tutta l'anima è serena; E quanno er cèlo se scolora De me nessuna se 'nnamora. Tanto pe' cantà, Perché me sento 'n friccico ner còre, Tanto pe' sognà, Perché ner petto me ce naschi 'n fiore. Fiore de lillà Che m'ariporti verso er primo amore, Che sospiravi le canzone mie E m'arintontonivi de bucìe. |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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STORNELLATA ROMANA
Innocenzi - Rivi, 1947
versione classica di Rino Salviati |
versione di Claudio Villa con strofe alternative |
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Gira, gira e fai la ròta, Nun te devi mai stancà. Gira, gira e fai la ròta, E nun falla mai fermà! Quanno ar mattino Roma s'è svejata Pare un pavone quanno fa la ròta, Sembra 'na pennellata Fatta d'arcobbaleno Pure si piove pare che è sereno. Roma la primavera tua è n'incanto È innammorato tuo persino er vento, De fiori porti un manto So' viole e so' mimose Che li regazzi danno all'amorose. Poi quanno a sera Roma s'addormenta, La ninna nanna er Tevere je canta La musica va lenta E 'n sòno de campane De tutte le basiliche romane. Te vojo bene ancora, nu' lo sai? Ma guarda pure dentro a l'occhi miei Dentro ce troverai 'Na lettera d'amore Che ho scritto e siggillato in fonno ar core. Gira, gira e fai la ròta, nun te devi mai stancà. Gira, gira e fai la ròta, e nun falla mai fermà! |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
Te vojo bene e ancora nun lo sai, ma guarda bene dentro a l'occhi mii così ce leggerai 'na lettera d'amore che ho scritto e siggillata in fonno ar core. Gira, gira e fai la ròta,... (ecc.) Io ciò n'amore che nun ha mai fine, nun è geloso e nun me dà le pene cià tère e cià colline è ricco de tesori è Roma mia er più granne dell'amori. Gira, gira e fai la ròta,... (ecc.) |
CANTA SI LA VÒI CANTÀ
Bixio - Bonagura - De Torres, 1934
una versione di Lando Fiorini
Quanto sei bella Roma quanto sei bella Roma a prima sera er Tevere te serve er Tevere te serve da cintura, San Pietro e er Campidojo da lettiera... Quanto sei bella Roma quanto sei bella Roma a prima sera. Gira si la vòi girà, Canta si la vòi cantà. Trastevere da quanno Trastevere da quanno t'ho lasciato, ciavevo in petto er core ciavevo in petto er core e l'ho perduto; Mo' ritornanno a te l'ho ritrovato...1 Trastevere da quanno Trastevere da quanno t'ho lasciato. Gira si la vòi girà canta si la vòi cantà. De qua e de là dar fiume de qua e de là dar fiume c'è 'na stella, e tu nun pòi guardalla e tu nun pòi guardalla tanto brilla, e questa è Roma mia, Roma mia bella... De qua e de là dar fiume, de qua e de là dar fiume c'è 'na stella. Gira si la vòi girà canta si la vòi cantà. Bella casetta mia bella casetta mia trasteverina, te gira intorno er fiume te gira intorno er fiume e te'ncorona, e tutta l'arberata te se'nchina... Bella casetta mia bella casetta mia trasteverina. Gira si la vòi girà canta si la vòi cantà. Roma che la più bella Roma che la più bella sei der monno, io penso sto stornello io penso sto stornello e te lo manno, tu me parli d'amore, io t'arisponno... Roma che la più bella Roma che la più bella sei der monno. Gira si la vòi girà canta si la vòi cantà. |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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COM'È BELLO FA' L'AMORE QUANNO È SERA
Martelli - Neri - Simi, 1939
una versione di Claudio Villa
Chi pe' fa' l'amore vo' er salotto o er separè, chi se sceje l'ombra profumata d'un caffè, mentre - c'ho da ditte? - a me me piace amoreggià pe' le strade in libbertà. Quanno poi tramonta er sole so' più dorci le parole a tu per tu... Com'è bello fa' l'amore quanno è sera core a core co' 'na pupa ch'è sincera. Quelle stelle che ce guardeno lassù nun so' belle come l'occhi che ciai tu! Luce bianca, dormiveja d'un lampione, Che te'nsegna dove tu te poi bacià, speciarmente fra le rose a primavera com'è bello fa' l'amore quanno è sera! Sperza ne l'erbetta fra le rose e le panzè io ciò 'na casetta che me fabbrico da me; cià pe' tetto er cèlo, cià la luna p'abbasciù 1 ner tramonto è tutta blu! Nun ce pago mai piggione e ce porto 'gni maschietta che me va... Com'è bello fa' l'amore quanno è sera core a core co' 'na pupa ch'è sincera. E se 'n viggile me chiede: "Lei che fa?" J'arisponno: "È casa mia, che nun lo sa?" L'ho innarzata co' li sogni 'sta casetta e se qui la pupa mia me via' a trovà speciarmente fra le rose a primavera com'è bello fa' l'amore quanno è sera! |
1. - Abat-jour |
L'ARICCIAROLA
(Vittorio Alescio?), 19??
una versione di Renzo Renzetti (la didascalia è errata!)
Vicino a casa mia ce sta 'na bottegola Co' 'n certo vino ch'e' 'na sciccheria, 'Na bella aricciarola lo venne a chicchessia Ma fa l'occhietto solamente a me. Ariccia ariccia ariccia aricciarola, Bellezza come te ce n'è una sola T'aricci e me scapricci Me metti tra l'impicci Ma come te la spicci nun lo so. Ariccia ariccia ariccia aricciarola, Me devi di' sortanto 'na parola: Me devi di' de sì Sinnò chissà che fo, Ariccia ariccia ariccia aricciaro'. Er vino piu' frizzante è proprio come lei Che frizza frizza frizza e fa ppe' ssei, Cià l'occhio scintillante, la bocca è 'no spumante E a tutti la capoccia fa gira'. Ariccia ariccia ariccia aricciarola,... (ecc.) Se dice che a Ffrascati so' ttutte carinelle, Marino e Arbano cianno sole e stelle, Ma l'angeli incantati, le belle fra le belle, Sortanto qui ad Ariccia pòi trova'. Ariccia ariccia ariccia aricciarola,... (ecc.) |
CASETTA DE TRASTEVERE
Del Pelo - Simeoni - De Torres, 1930 circa
(un'interpretazione di Claudio Villa del 1954) |
un'interpretazione di Alvaro Amici |
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No, nun è gnente, è 'n po' de carcinaccio, aspettate, me tiro 'n po' piu' 'n qua. Me metto bono bono, e che ve faccio? Sfasciate puro, ch'io ve sto a guarda'. E sotto quer piccone traditore come quer muro me se sfascia er core... Casetta de Trastevere, casa de mamma mia, tu me te porti via 1 la vita appress'a te. 2 Tutti li sogni cascheno, mattone pe' mattone, e in mezzo ar porverone io non te vedo più. Fà piano murato' co' quer piccone, nun lo vedi, c'è mamma ancora lì; appiccicato proprio a quer cantone ce stava er letto indove ce morì... E c'è rimasta; piano co' le pale, nun lo vedete che je fate male? Casetta de Trastevere, casa de mamma mia pare ch'er monno stia cascanno appresso a te. Tutti li sogni crolleno tra er muro e quella porta; mo' che mi' madre è morta io nun te vedo più. 3 Fà piano murato' co' quer piccone, nun lo vedi, c'è mamma ancora lì... 4 |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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BARCAROLO ROMANO
P. Pizzicaria - R. Balzani, 1926
una versione dal vivo di Lando Fiorini (con strofa aggiuntiva) |
una versione di Claudio Villa mancante della terza strofa |
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Quanta pena stasera c'è sur fiume che fiotta così; disgrazziato chi soggna e chi spera tutti ar monno dovemo soffrì. Ma ssi n'anima cerca la pace 1 pò trovalla sortanto che qui... Er barcarolo va controcorente, e quanno canta l'eco s'arisente si è vvero fiume che tu dai la pace, 2 fiume affatato, nun me la negà. 3 Piu' d'un mese è passato che 'na sera je dissi: "A Nine'...4 quest'amore è ormai tramontato. lei rispose: "Lo vedo da me". 5 Sospirò, poi me disse: "Addio amore... 6 io però nun me scordo de te!" 7 Je corzi appresso, ma nun l'arivai; 8 la cerco ancora, e nun la trovo mai. Si è vvero fiume che tu dai la pace, Me so' ppentito, fammela trovà. Proprio incontro ar battello, 9 vedo n'ombra sull'acqua, vie' in qua... 10 S'ariggira - "Che d'è?" - Un mulinello, 11 poi va ssotto e riaffora più in là. "Fate presto, è 'na donna affogata! 12 Poveraccia, penava, chissà!" La luna da lassù fa capoccella, rischiara er viso de Ninetta bella; me chiese pace e io je l'ho negata... 13 Fiume boiaccia, je l'hai data tu! 14 Me vojo sperde solo giù ppe' fiume, Così chi tt'ama mòre assieme a te. |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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PUPO BIONDO
Fagiolo - Lay, 1927
una versione dell'immortale Claudio Villa, del 1958
Ciànno forse tutt’e due l’istessa età, je fiorisce drento ar core 'n’illusione e ‘gni vicolo anniscosto ce la sa tutta quanta la passione. Lui je cerca la boccuccia ch’è un biggiù, * e in un bacio je sussura a tu per tu: Noi ciavremo ‘na loggetta cor geranio e le pansè, tu sarai la regginetta io me'mpegno a fa’ da re. Regneremo in tutt’er monno e a l’erede pensa te: vojo un pupo, un pupo bionno, p’anninnallo in braccio a me. * - Bijoux Va a la guera la più bella gioventù, ‘gni fanfara s’arisveja e squilla ardita, e lui puro canta alegro e va lassù. Lei cià in seno 'n'antra vita; e si pensa ar pupo bionno che verà, se l’insoggna e ce se mette a raggionà: Quanno arivi pupo bello mamma tua te fa trovà l’abbituccio turchinello tutto pieno de volà. Mentre un passero cinguetta e er geranio fiorirà, aspettamo alla loggetta er ritorno de papà. Mamma cuce, er pupo compita “papà” E guidato da quer trillo vie' un zordato a tastoni, come un cieco, chi sarà? È papà, ch’è aritornato! Se confonneno in un bacio tutt’e tre, poi papà se strigne er pupo e vo’ sapé: Pupo, ciài er visetto tonno, er visetto ch’è un biggiù; come sei, moretto o bionno, ciài l’occhioni neri o blu? Te lo chiedo 'n’antra vorta, pupo mio, dimmelo tu, perché mamma nun s’è accorta che papà nun vede più. |
HO SCRITTO AR DUCE
alias GUARDA, I BALILLA PASSENO
Simeoni - Del Pelo - De Torres, 1925 circa
storica versione di Romolo Balzani del 1931
J'ho detto: "Core mio, fatte capace che mamma te vo' bene e te farebbe un trono de bambace: nun je le dà 'ste pene". Madonna che destino, avecce solamente un regazzino! Vedello ciuco e debole accosì... nun piagne fijo, che me fai morì! Guarda, i Balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagne più così... Guarda i Balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagne più così! M'ha detto: "Mamma, mamma bella d'oro, vorrebbe anna' pur'io co' la camicia nera immezzo a loro nun me ce mandi, addio, infonno che je'mporta si m'aritrovo 'na cianchetta storta Senteme mamma, nun me di' de no, che quann'è lì pur'io camminerò Guarda, i Balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagne più così... Guarda i Balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagne più così! Ho scritto ar Duce: Voi che lo potete e siete pure un padre voglio spera' che "no" nun je direte ar core de stà madre, sta madre che in preghiera chiede p'er fijo una camicia nera. E si sto ciuco non je la farà in braccio mamma sua lo porterà! Guarda, i balilla passeno, saluta la bandiera, che la camicia nera la porti pure tu! Guarda i balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagnere più! Guarda i balilla passeno co' la camicia nera; saluta la bandiera e nun piagne più così! |
GIRA E FAI LA ROTA
alias CANTO DELLA MALAVITA
(autore ignoto) 1910-15 circa
ancora un'eccellente versione di Claudio Villa del 1974
Amore, amore, manname 'na pagnotta che er vitto der Coeli nun m'abbasta. Che er vitto der Coeli nun m'abbasta. Se nun te sbrighi me ce trovi l'ossa. E gira e fai la rota Qui dentro rinserato, Si nun me viè' l'aiuto, Rimano senza fiato. Giovenottini de la malavita, Nun lo cantate più gira la rota. Nun lo cantate più gira la rota, Perché er governo ve l'ha proibita. E gira e fai la rota, La rota del caretto, Allegri giovinotti, Hanno ammazzato er Macellaretto. Drento Reggina Cèli c'è 'no scalino, Chi nun salisce quello nun è romano. Chi nun salisce quello nun è romano, Nun è romano, né tresteverino. E gira e fai la rota, La rota e la rotella, Davanti a Reggina Cèli Cianno messo la sentinella. E lo mio amore sta a Reggina Cèli, Portateje da pranzo borzaroli. Portateje da pranzo borzaroli, Che quanno sorte lui lo porta a voi. E gira e fai la rota, La rota der 31, Quanno stai carcerato Nun te cerca più gnisuno. Amore mio, leggeteve 'sta nota, Io nun la vojo fa' la malavita. Io nun la vojo fa' la malavita, La malavita è proprio scellerata. E gira e fai la rota, La rota de li Castelli, Lassali quelli bulli E butta li cortelli. Er bene che te vojo nun te lo dico, a Ponte te vorei vedé' impiccato. A Ponte te vorei vedé' impiccato, La testa rivortata pe' Panico. E gira e fai la rota, La rota der tranvai, Si a Ponte ciaritorni Nun ce ritorni mai. Trastevere co' Ponte e Porta Pia Fecero l'alleanza co' la galera. Fecero l'alleanza co' la galera, Trastevere svagò, fece la spia. E gira e fai la rota, La rota de li puliziotti, Co' le vostre castagnole Ce faremo li bocconotti. |
A TOCCHI A TOCCHI
(autore ignoto)
versione dal vivo dell'ottimo gruppo folk dei Controcorente |
versione di Alvaro Amici |
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A tocchi a tocchi la campana sona, Li Mori so' arivati a la marina. 1 Chi cià le scarpe rotte l'arisòla, Io già l'ho arisolate stammatina. 2 Come te posso ama'? Come te posso ama'? Si esco da 'sti cancelli quarchiduno l'ha da paga'! Amore, amore, mànneme 'n saluto, Che sto a San Michele carcerato 3 Me paro un poro arbero caduto, 4 Da amichi e da parenti abbandonato. Come te posso ama'?... (ecc.) Si er papa me donasse tutta Roma 5 E er principe Borghese la Mentana E me dicesse: "lassa anna' chi tt'ama", Io je direbbe: "“no, sacra corona!" Come te posso ama'?... (ecc.) A tocchi a tocchi la campana sona, Li Turchi so' arivati a la marina. Viva li monticiani, evviva Roma, Viva la ggioventu’ trasteverina! Come te posso ama'?... (ecc.) |
VARIANTI DEL TESTO CONOSCIUTE:
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PIAZZA BARBERINA
(autore ignoto) 1910-15 circa
una rara versione di Luisella De Santis del 1972 |
ancora i Controcorente dal vivo (versione alternativa) nel 2016 |
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A piazza Barberina, più su der Tiritone, sotto all'ombra de 'n lampione 'na pisciata me metto a fa'. Me s'avvicina 'n tale, vestito a la borghese, cor cappello a la calabbrese, che me se mette a fa': Giovanotto, documenti, via, nun fate lo sfacciato, Che io sono il delegato de le Guardie de Città! Si séte un delegato nun me ne frega gnente, che vve piji 'n accidente, che vve possin'ammazza'! Se mise 'n dito ar culo, e fece un fischio acuto, segnale convenuto de le Guardie de Città. Coreveno, coreveno, pareveno pompieri 'Sti quattro culattieri de le Guardie de Città. In cinque contro uno ve ce sapete mette, me misero le manette, in priggione me fa porta'. Me misero in priggione, tra cimici e pidocchi, che faceveno a cazzotti co' le Guardie de Città. Me diedero 'na pagnotta, mezza cruda e mezza cotta, quei fiji de 'na mignotta de le Guardie de Città. Me diedero 'na banana, mezza marcia e mezza sana, quei fiji de 'na puttana de le Guardie de Città. Ucellini, Ucelletti, nun cacate più su i tetti, ma cacate nell'ermetti de le Guardie de Città. Ragazzini, ragazzetti, nun pisciate più ne i letti, ma pisciate nell'ermetti de le Guardie de Città. |
VERSIONE ALTERNATIVA
A piazza Barberina, più ssu der Tiritone, Sotto l’ombra de 'n lampione un goccio d’acqua me misi a ffa'. De qua de lla', ciavemo la libbertà, De qua de lla', ciavemo la libbertà. Me se presenta uno vestito da borghese Cor cappello a la calabbrese, carcerato me vo' pporta'. De qua de lla',... (ecc.) Attenta, a sor bullaccio, ve sbatto sur serciato: io sono er delegato de le guardie de città! De qua de lla',... (ecc.) Se lo mise un dito in bocca e lo fece un fischio forte Chiamanno er pianoforte de le guardie de città. De qua de lla',... (ecc.) Chi me pija pe 'na mano, chi me pija pe un braccio Ma lassateme pe'r collaccio perche’ a ccasa devo annà! De qua de lla',... (ecc.) E tanti contro uno ve ce sapete mette, Levateme le manette, che in galera nun vojo anna'! De qua de lla',... (ecc.) Coreveno, coreveno, pareveno pompieri 'Sti brutti grugni neri de le guardie de città. De qua de lla',... (ecc.) A mezzanotte in punto me danno 'na banana, 'Sti fiji de 'na puttana de le guardie de città. De qua de lla',... (ecc.) Me danno 'na pagnotta, mezza cruda e mezza cotta, 'Sti fiji de ‘na mignotta de le guardie de città. De qua de lla',... (ecc.) |
GLI STORNELLI |
LE CANZONACCE |
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