~ la canzone romana ~

GLI STORNELLI
DEL SOR CAPANNA

I
CLASSICI

LE
CANZONACCE


Sono strofette a otto versi che prendono il nome da colui che per primo introdusse questo tipo di composizione, il Sor Capanna (cioè "Signor Capanna", al secolo: Pietro Capanna, 1865-1921).


~~~ Biografia ~~~
Pietro Capanna nasce a Roma il 9 aprile 1865, nel popolare rione di Trastevere, in via del Verderame (l'attuale via Luciano Manara), da una famiglia piccolo borghese: padre "pastarellaro" e madre sigaraia nello stabilimento della manifattura tabacchi aperto qualche anno prima nella vicina piazza Mastai.
Il giovane Pietro fa prima il macellaio, poi il manovale, poi altri lavori ancora e contrae una banale congiuntivite che però, mal curata secondo le limitate possibilità dell'epoca, lo porta alla quasi completa cecità: i famosi occhiali scuri diventeranno il suo "segno di riconoscimento".
Perso il lavoro a causa della malattia, per sbarcare il lunario si ricicla come suonatore ambulante di chitarra e cantastorie, formando una piccola compagnia di artisti di avanspettacolo ed arte varia che gli faceva da spalla, che in città si muove servendosi di un pittoresco carrozzone trainato da un cavallo (Pantalone). Nasce così la figura del Sor Capanna, personaggio che gira la città per portare i suoi versi al pubblico all'ingresso delle osterie e dei ristoranti. Le sue strofe hanno grande successo, fanno presa immediata sul pubblico, venendo anche stampate su biglietti e cartoline che vanno a ruba. Nel frattempo si è sposato con Augusta Sabbadini, che diventerà il suo braccio destro, guidandolo negli spostamenti. Pur rimanendo confinato all'ambito di Roma, riscuote un notevole gradimento, al punto che ai due ambulanti si uniscono anche altri
L'apice del successo viene raggiunto nei primi anni del '900, quando importanti tematiche politiche (Guerra di Libia, Prima Guerra Mondiale, ecc.) offrono all'autore nuovi soggetti verso i quali arrotare la sua tagliente vena satirica. Nel 1913 viene portato sul palcoscenico della Sala Umberto da Ettore Petrolini, allora stella nascente, che lo presenta come "il suo maestro". Incorre però sempre più spesso nelle maglie della censura, tanto da essere fermato dalla polizia e subire varie volte il sequestro del suo strumento di lavoro.
Logorato da una vita dura, nell'ottobre 1921 Pietro Capanna è colto da infarto mentre si esibisce. Ricoverato, muore pochi giorni dopo, a soli 56 anni, lasciando dietro di sé non il solo repertorio delle sue strofe, pur cospicuo, ma un vero e proprio solco artistico, di cui in seguito seppero approfittare vari altri autori, alcuni dei quali poi divenuti a loro volta celebri.
Le sue semplici ma pungenti composizioni divennero assai presto una nuova forma di satira politica e di costume: la loro salacità è, per certi versi, paragonabile a quella dei più sapidi sonetti di Belli.
Va precisato che la raccolta originale delle strofe scritte dal Sor Capanna si è andata col tempo dilatando grazie ad aggiunte successive. Per questo motivo, piuttosto che "stornelli del Sor Capanna" è invalso l'uso di definirli "alla maniera del Sor Capanna", intendendo con ciò il rispetto della caratteristica metrica di quelli originali (vedi oltre).
Diversi artisti anche celebri, da Ettore Petrolini a Claudio Villa, hanno incluso nel loro repertorio gli stornelli del Sor Capanna, arricchendone la lista con composizioni proprie, ma anche spesso apportando piccole modifiche a quelli preesistenti.
Molti, ad esempio, ritengono che l'intermezzo di questi stornelli sia il celebre ritornello:

Daje de tacco, daje de punta
quant'è bbòna la sora Assunta,
tira lo spago, spigni la sega,
bbonasera, bbonasera...

In particolare, nelle interpretazioni di Claudio Villa, questi erano presentati come "stornelli del sor Mariano" ed avevano altre versioni di questo refrain dedicate a tale personaggio di fantasia (vedi sotto).
Ma in realtà sono tutte aggiunte successive alla versione originale. Il Sor Capanna, infatti, non usava questo intermezzo, bensì come piccola premessa autoreferenziale spesso inseriva il proprio nome nel primo di una serie più o meno lunga di stornelli aventi un tema comune. Ad esempio, una delle sue prime composizioni, avente per oggetto i cambiamenti al volgere dell'anno 1900, si apriva così:

Sentite che ve dice er Sor Capanna
ch'er millenovecento s'avvicina:
ritorneremo ai tempi de la manna,
a uffa ce daranno la farina.
Ma speramo ar novecento
fenirà questo tormento...
Con bon lavoro
rifiorirà 'sto secolo dell'oro.

Tuttavia il suo repertorio originale forse non sarebbe sopravvissuto senza le composizioni spurie dei suoi eponimi i quali, tra l'altro, trascrissero i versi, cosa che il Sor Capanna, anche per ragioni legate alla sua cecità, non si curò mai di fare.

I suoi stornelli sono ricchi di particolari che rievocano inequivocabilmente l'atmosfera di quegli anni (il gagà in omnibus, il volo dei primi aeroplani, oggetti domestici ormai obsoleti come il lavamani con la brocca o il vaso da notte, ecc.), ma sono anche presenti tematiche che ancora oggi fanno discutere l'opinione pubblica (il caro-vita, le bizzarrie della moda, gli omosessuali, e via dicendo). E nell'ultimo verso giunge puntuale la zampata ironica e graffiante, che strappa al pubblico un sorriso liberatorio.

Quelle rimaste più famose nell'immaginario collettivo sono le rime legate al filone sessual-goliardico, ricche di doppi sensi anche abbastanza audaci per l'epoca; ovviamente occorre tenere a mente la loro collocazione cronologica, nel primo '900, per apprezzarne la vena anticonformistica, rivolta ai protagonisti della nuova classe borghese di allora: la signora al mare che fa la civetta col bagnino, il deputato o il frate che provano ad attaccare bottone con la bella ragazza di turno, la servetta che cerca il pretesto per incontrarsi col garzone, sono tutti antesignani dei personaggi che mezzo secolo dopo, in campo cinematografico, avrebbero dato vita alla cosiddetta commedia all'italiana.


Come si potrà constatare leggendo i versi selezionati in questa pagina, nessuna categoria sociale viene risparmiata dagli strali del Sor Capanna: l'epoca del politically correct era, per fortuna, ancora molto lontana.

Dato il carattere estremamente popolare dell'artista, non ci restano di lui che rarissime immagini fotografiche, ma numerosi sono gli schizzi e vignette che lo ritraggono coi tipici occhiali scuri e l'inseparabile chitarra (quella a destra è firmata nientemeno che da Trilussa).
Come per i maggiori poeti dialettali romani, anche a lui nel 1963 fu dedicata una scultura. Ma essendo priva del permesso comunale, fu subito rimossa dalla sua collocazione originaria - assurdo esempio di idiozia burocratica - per trovare posto all'ingresso di un noto ristorante in Trastevere, quasi a voler ricordare che il Sor Capanna era pur sempre un posteggiatore mbulante.

Dal punto di vista metrico gli stornelli hanno una struttura complessa, essendo formati da:
 - quattro endecasillabi a rime alternate (ABAB) oppure incrociate (ABBA);
 - due ottonari a rima baciata (CC);
 - un quinario e un endecasillabo finale a rima baciata (DD).

In ciò il Sor Capanna si era ispirato alle composizioni di un suo collega cantastorie, attivo qualche decennio prima di lui, tale Peppazzo (di professione facchino). Anche la famosa melodia con cui accompagnava i versi che, scherzando, diceva essere stata composta per lui "da un celebre maestro cacofonico", pare fosse in realtà basata su una composizione di musica sacra risalente al XVII o XVIII secolo.

Anche se la premessa può sembrare quasi inutile, corre lo scrupolo di avvisare il lettore che, causa il linguaggio usato e le "situazioni" affrontate, questi stornelli sono più consoni ad un convivio di sole persone adulte.




NOTA
  • gli stornelli di colore blu sono originali del Sor Capanna;
  • quelli di colore marrone fanno parte del repertorio di Ettore Petrolini;
  • tutti gli altri sono da considerarsi apocrifi.




  • La moda de le donne in oggigiorno
    je fa portà la vesta assai attillata,
    e giù da piedi, poi, tutta legata,
    te pare de vedé un abbacchio ar forno.
    A vedé 'na regazzetta
    co' la vesta accusì stretta,
    sacrificata,
    te viè la voja a ddaje n'allargata.

    La moda delle donne oggigiorno
    fa portare loro l'abito molto attillato,
    e giù verso i piedi tutto legato,
    che sembra di vedere un abacchio al forno.
    A vedere una giovane
    con l'abito così stretto,
    striminzito,
    viene la voglia di dargli un'allargata.



    Passava 'n giorno un frate, e 'na regazza
    j'annette a domannà si cche ora era;
    ma er frate dritto, che capì la guazza,
    de botto j'arispose a 'sta maniera:
    "Si 'sta tunica de pezza
    fusse bronzo, che bellezza:
    a bella mora,
    adesso sentiressi sbatte l'ora!"

    Passava un giorno un frate, e una ragazza
    gli andò a domandare che ore fossero;
    ma l'astuto frate, che capì lo scherzo,
    senza indugio le rispose in questo modo:
    "Se questa tunica di panno
    fosse bronzo, che bellezza:
    oh bella mora,
    adesso sentiresti battere l'ora!"



    Appena cominciò l'inno reale
    la gente ner teatro s'arzò in piede;
    sortanto Giovannino lo spezziale
    perch'era socialista restò a séde.
    Tutti dissero "A la porta!",
    lui rispose "Che me'mporta?
    Io ciò piacere:
    conservo li principi in der sedere".

    Appena cominciò l'inno reale
    la gente nel teatro s'alzò in piedi;
    soltanto Giovannino il droghiere
    essendo un socialista restò seduto.
    Tutti dissero "Alla porta!",
    lui rispose "Che m'importa?
    Mi fa piacere:
    conservo i principi 1 nel sedere".

    1. - doppio senso tra princìpi morali e prìncipi di casa reale



    Mo' chi vo' annà per aria cor pallone
    in arioplano pò ffa' 'na volata.
    L'adotteranno tutte le perzone
    quest'invenzione propio prelibbata.
    Ma va male pe' mi' nonno,
    ch'è 'n'ometto grasso e tónno;
    s'ariconzola:
    da un pezzo cià er pallone, ma nun vola.

    Oggi chi vuole andare per aria col pallone 1
    può fare una volata con l'aeroplano.
    L'adotteranno tutte le persone
    questa invenzione davvero geniale.
    Ma va male per mio nonno,
    che è un ometto grasso e tondo;
    si riconsola:
    da un pezzo ha il "pallone" 2, ma non vola.

    1. - pallone areostatico, mongolfiera
    2. - addome grosso e voluminoso



    Jeri sull'onnibusse assai gremito
    staveno in piedi tre belle signore;
    un giovenotto svérto e mórto ardito
    s'arzò subbito in piedi pe' ffa' onore.
    E je disse in forma urbana:
    "Cedo er posto a la più anziana".
    Nun ce se crede!
    Nessuna de le tre se mise a séde.

    Ieri sull'omnibus assai gremito
    stavano in piedi tre belle signore;
    un giovanotto svelto e molto ardito
    s'alzò subito in piedi per educazione.
    E disse loro con modi urbani:
    "Cedo il posto alla più anziana".
    Non lo si crede!
    Nessuna delle tre si mise seduta.



    L'avete letto tutti er Messaggero:
    du' ommeni a Subiaco hanno sposato.
    Pe' credece si questo era davero
    io co' la donna-maschio ciò parlato.
    Me lo disse: frater caro,
    papà mio fa er campanaro,
    nun cià un baiocco,
    così nun m'ha potuto fa' er patocco.

    L'avete letto tutti il Messaggero:
    due uomini a Subiaco si sono sposati.
    Per credere se questo fosse vero
    io con la donna-maschio ho parlato.
    Me lo disse: fratello caro,
    mio padre fa il campanaro,
    non ha un centesimo,
    quindi non mi ha potuto fare il batacchio.1

    1. - organo genitale maschile, per traslato



    'Na notte me'nzognai che stavo ar mare,
    a ffa' li bagni co' 'na signorina;
    notava insieme a me tra l'onne chiare,
    era 'na regazzetta assai carina.
    Tutt'a 'n botto me svejai,
    for der letto me trovai...
    Poi s'ariseppe
    che stavo co li piedi 'n der zipèppe.

    Una notte sognai di stare al mare,
    a fare i bagni con una signorina;
    nuotava assieme a me tra le onde chiare,
    era una giovane assai carina.
    Tutt'a un tratto mi svegliai,
    fuori dal letto mi trovai...
    Poi si venne a sapere
    che stavo con i piedi nel vaso da notte.



    Ciò un lavamano ch'è 'na sciccheria,
    compagno a quello nun ce sta l'uguale;
    nun ciò la cunculina a casa mia,
    me sciacquo er grugno drent'a l'orinale.
    P'asciuttamme, porca ddina,
    ciò lo straccio de cucina,
    e pe' sapone
    ce tengo un pezzettino de mattone.

    Ho un lavamani che è davvero elegante,
    non ve n'è un'altro uguale;
    non ho il lavabo a casa mia,
    mi sciacquo il viso nel vaso da notte.
    Per aciugarmi, accidenti,
    ho lo straccio di cucina.
    E per sapone
    ci tengo un pezzettino di mattone.



    La robba prima se venneva a chili
    e mo' se venne tutto quanto a etti;
    dice che diventamo più civili
    e che sia mejo pe' noi poveretti.
    L'ha prescritto 'no scenziato:
    tutto a etti sia magnato,
    e non più a chili
    pe' nun fa' allargà troppo li grecìli.

    La merce prima si vendeva a chili,
    e ora si vende tutto quanto a etti;
    si dice che diventiamo più civili
    e che sia meglio per noi poveretti.
    L'ha prescritto uno scienziato:
    tutto a etti sia mangiato,
    e non più a chili
    per non far allargare troppo gli stomaci.



    In oggi si 'na madre de famija
    pasta e facioli la vo' ffa' co'llardo,
    quann'entra drento 'na pizzicheria
    se sente caccià via senza riguardo.
    Ma si entra er pattujone
    pe' ffa' la perquisizzione,
    oh gente amata,
    ne trova sempre quarche tonnellata!

    Oggi se una madre di famiglia
    pasta e fagioli vuole farla col lardo,
    quando entra in una salumeria
    si sente cacciare via senza riguardo.
    Ma se entra il pattuglione
    per fare la perquisizione,
    oh gente amata,
    ne trova sempre qualche tonnellata!



    L'affari de la guera vanno male
    e male assai va pure Cecco Peppe;
    ho letto l'antro giorno sur giornale
    che se tiè in piedi solo co' le zeppe.
    Alla fine der confritto
    lui sarà bello che fritto;
    s'ariccommanna
    che vo' vvenì a cantà cor Sor Capanna.

    Le vicende della guerra vanno male,
    e va assai male anche Francesco Giuseppe; 1
    ho letto l'altro giorno sul giornale
    che si regge in piedi solo con le stampelle.
    Alla fine del conflitto
    sarà proprio conciato male;
    si raccomanda
    che vuol venire a cantare col Sor Capanna.

    1. - Francesco Giuseppe I d'Austria-Ungheria



    Verso le dieci e mezzo de la sera
    mo' le botteghe stanno tutte chiuse.
    Un òmo scappa ar muro, de cariera,
    pe' ffa' lì un goccio d'acqua, senza scuse.
    Se presenta un pizzardone,
    dice: "Sei in contravvenzione!
    Così non s'usa:
    è ora de tené bottega chiusa".

    Verso le dieci e mezzo di sera
    ora le botteghe sono tutte chiuse.
    Un uomo corre verso il muro, in gran fretta,
    per farvi una minzione, senza scrupoli.
    Si presenta un vigile,
    dice: "Sei in contravvenzione!
    Così non si fa:
    è ora di tenere la bottega chiusa".



    Un macellaro sòna er campanello
    e 'na servetta córe co' la sporta;
    se sente un gran silenzio e sur più bello
    se trova la padrona su la porta.
    - Senza scene, me permetta. -
    dice pronta la servetta,
    - Perché vuol farne?
    Si lui me sòna vengo e pijo la carne. -

    Un macellaio suona il campanello,
    e una servetta corre con la sporta;
    si ode un gran silenzio e sul più bello
    si trova la padrona sulla porta.
    - Senza scene, mi permetta. -
    Dice pronta la servetta,
    - Perché vuol farne?
    Se lui mi suona vengo e prendo la carne. -



    M'hanno ordinato tante medicine
    p'er male che ciò drento ne la panza;
    però fra scatolette e boccettine
    c'è più de robba scritta che sostanza.
    C'è un opuscolo stampato
    che m'ha propio entusiasmato:
    adesso ho fame:
    de certo m'ha guarito la réclame.

    M'hanno ordinato tante medicine
    per il male che ho nella pancia;
    però fra scatolette e boccettine
    c'è più testo scritto che sostanza.
    C'è un opuscolo stampato
    che m'ha proprio entusiasmato:
    adesso ho fame:
    di certo mi ha guarito la réclame.



    Le Ferovie appartengheno a lo Stato,
    è bello assai er servizio che te fanno!
    Si monti drento ar treno, dopp'un anno
    si nun mori acciaccato, sei arivato.
    Si vòi fa' quarche viaggetto
    E pijà te vòi er diretto,
    poco ce manca
    che arivi vecchio e co' la barba bianca.

    Le Ferrovie appartengono allo Stato,
    è assai bello il servizio che offrono!
    Se monti sul treno, dopo un anno
    se non muori schiacciato, sei arrivato.
    Se vuoi far qualche viaggetto
    e vuoi prendere il diretto,
    manca poco
    che arrivi vecchio e con la barba bianca.



    Sentite che ve dice er Sor Capanna,
    che la miseria c'è arivata all'osso;
    so debbole e la vista me s'appanna,
    l'uno co l'antro se cascamo addosso.
    Mo' le sorti pò cambialle
    giusto er piano de Marscialle;
    sinnò è destino
    de la fine der conte Ugolino.

    Ascoltate cosa vi dice il Sor Capanna,
    che la miseria ci è arrivata all'osso:
    Sono debole e la vista mi si appanna,
    cadiamo l'uno sull'altro.
    Ora le sorti può cambiarle
    solo il piano di Marshall;
    altrimenti è destino
    di fare la fine del conte Ugolino.



    Vedenno 'na regazza, un deputato
    je s'avvicina con un ber soriso,
    je dice in tono languido e smielato:
    "La Cammera ha bisogno der suo viso."
    Quella tutta inviperita
    j'arisponne risentita:
    "Si cciai ste voje
    in cammera ce vai co ttu moje."

    Vedendo una ragazza, un deputato
    le si avvicina con un bel sorriso,
    le dice in tono languido e mellifluo:
    "La Camera ha bisogno del suo viso."
    Lei tutta inviperita
    Gli risponde risentita:
    "Se hai queste voglie
    in camera ci vai con tua moglie."



    Stanotte me so' fatto un sogno strano,
    me so' svejato co' le man'ar petto:
    pareva che 'na bomba d'areoplano
    m'era cascata propio accant'ar letto.
    Io svejai la mi' consorte:
    "Ma ched'è 'sto botto forte?"
    "Marito mio,
    pòi sta' tranquillo ché sò stata io."

    Stanotte ho fatto un sogno strano,
    mi son destato con le mani al petto:
    sembrava che una bomba d'aeroplano
    fosse caduta proprio accanto al letto.
    Io svegliai la mia consorte:
    "Ma cos'è questo colpo forte?"
    "Marito mio,
    puoi star tranquillo ché son stata io."



    Diceva er sor Mariano a mastro Pietro:
    "Che tempi disgrazziati sò venuti!
    Invece d'annà avanti annamo 'ndietro,
    è pieno de ruffiani e de cornuti.
    Si le corna a 'gni cristiano
    diventasse riso o grano,
    è chiar'e tonno,
    se sazzierebbe tutto quant'er monno.

    Diceva il signor Mariano a mastro Pietro:
    "Che tempi disgraziati son venuti!
    Invece d'andare avanti andiamo indietro,
    è pieno di ruffiani e di cornuti.
    Se le corna ad ogni uomo
    diventassero riso o grano,
    è chiaro e tondo,
    si sazierebbe tutto quanto il mondo.



    Un giuvinotto bionno e affemminato
    salì sur tranve e poi se mise a sede;
    er fattorino je strillò indiggnato:
    "Perché nun fa er bijetto? Chi se crede?"
    Quer ber tipo je sussura:
    "Paga puro la verdura?"
    "Nun fa er pidocchio,
    qui paga tanto l'òmo ch'er finocchio!"

    Un giovanotto biondo ed effeminato
    salì sul tram e poi si mise seduto;
    Il bigliettaio gli strillò indignato:
    "Perché non fa il biglietto? Chi si crede?"
    Quel bel tipo gli sussurra:
    "Paga anche la verdura 1?"
    "Non fare l'avaro,
    qui paga tanto l'uomo che l'omosessuale!"

    1. - riferito a finocchio ("omosessuale")



    Pe' fa pijà un po' d'aria ar regazzino
    un giorno 'na mammetta va pe' prati,
    e védeno attaccati p'er cudino
    un cane e 'na caggnetta innammorati.
    Robbertino vo' sapere
    si che d'è quer ber mestiere;
    e la mammina
    dice ch'er cane nun cià più benzina.

    Per far prendere un po' d'aria al bambino
    un giorno una giovane mamma va per i prati,
    e vedono uniti per il codino
    un cane e una cagnetta innamorati.
    Robertino vuol sapere
    cos'è quella bella pratica;
    e la giovane mamma
    dice che il cane non ha più benzina.




    Er sor Gregorio invita Maddalena
    a dondolasse su la canoffiena;
    je dice co l'astuzzia necessaria:
    "Stà a sede, che te dondolo per aria;
    Te fo vede er paradiso".
    Lei risponne rossa ar viso:
    "Sò persuvasa,
    però ho lassato le mutanne a casa."

    Il signor Gregorio invita Maddalena
    a dondolarsi sull'altalena;
    le dice con l'astuzia necessaria:
    "Sta' seduta, ti dondolo per aria;
    Ti faccio vedere il paradiso".
    Lei risponde rossa in viso:
    "Ne sono convinta,
    però ho lasciato le mutande a casa."



    Una bella signora stava ar mare,
    e prese confidenza co 'n negretto;
    cor sandalino vanno a navigare,
    lei pija er remo in mano e lo tiè stretto.
    Nove mesi a l'ore esatte
    lei fa 'n pupo caffellatte.
    E ancora giura
    ch'è tutta córpa de l'abbronzatura.

    Una bella signora stava al mare,
    ed entrò in confidenza con un negretto;
    col sandolino vanno a navigare,
    lei prende il remo in mano e lo tiene stretto.
    Dopo nove mesi precisi
    lei fa un bambino caffellatte.
    E ancora giura
    che è tutta colpa dell'abbronzatura.



    Si n'omo poveraccio è disperato
    gnisuno mai je presta mille lire.
    La donna invece presto ha arimediato,
    trova quarcuno che la pò nutrire.
    L'òmo becca un liscebbùsso;
    a la donna va de lusso:
    senza fatica
    guadambia cor sudore de la fica.

    Se un uomo poveretto è disperato
    nessuno mai gli presta mille lire.
    La donna invece presto ha rimediato,
    trova qualcuno che la può nutrire.
    All'uomo tocca un duro trattamento;
    alla donna va tutto liscio:
    senza fatica
    guadagna lavorando con la vulva.


    Uno dei maggiori interpreti (ed autori) di questo tipo di composizione è stato il celebre Claudio Villa, che proponeva come protagonista delle sue strofe un immaginario Sor Mariano, per cui venivano detti stornelli del Sor Mariano. Qui lo vediamo attorno alla metà degli anni '60 eseguirne tre, probabilmente scritti da lui. Ad accompagnarlo, alla seconda chitarra, riconoscerete una giovanissima Gabriella Ferri. Da notare che la sua versione del ritornello è un'ennesima variante di quella citata in precedenza e fa:

    Daje de spinta, daje de mano,
    deve curasse er sor Mariano:
    la salute l'abbandona
    co' 'na moje così bbòna.




    Je fanno du' infermiere a n'ammalato:
    "'Sto posto che occupate a l'ospedale
    è un gran signore che ce l'ha donato,
    e forse può guarire il vostro male."
    Lui rispose all'infermiere:
    "Lascio più de quer signore:
    oh mie sorelle,
    a 'st'ospedale lascerò la pelle.

    Due infermiere dicono ad un malato:
    "Questo posto che occupate all'ospedale
    è un gran signore che ce l'ha donato,
    e forse può guarire il vostro male.
    Lui rispose alle infermiere:
    "Lascio più di quel signore:
    oh mie sorelle,
    a quest'ospedale lascerò la pelle.



    Lo Stato sempre bòno m'ha aumentato
    su lo stipendio cinque bijettoni;
    ma io so' furbo e nu' l'ho denunciato
    A marzo sopra ar modulo Vanoni.
    E così m'hanno murtato
    più de quello ch'è aumentato,
    e so' finito
    ar Monte de Pietà e impoverito.

    Lo Stato sempre buono mi ha aumentato
    sullo stipendio cinque bigliettoni;
    ma io sono furbo e non l'ho denunciato
    a marzo sul modulo Vanoni. 1
    E così mi hanno multato
    più di quanto è stato l'aumento,
    e sono finito
    al Monte di Pietà e impoverito.
    1. - la vecchia cartella delle tasse



    Ner mentre che lavora de stecchino
    intorno a un dente e se finisce er vino,
    dice un cliente: "Forse è più carina
    si ner magnà sonasse un'orchestrina."
    Pensa pronto er cammeriere
    mentre quello sta a sedere:
    "Oh quanto è tonto,
    vo' la sonata: mo' je porto er conto".

    Mentre lavora di stecchino
    intorno a un dente e finisce il vino,
    Un cliente dice: "Forse sarebbe più carino
    se mentre si mangia suonasse un'orchestrina."
    Pensa pronto il cameriere
    mentre quello sta a sedere:
    "Oh quanto è tonto,
    vuole la sonata: adesso gli porto il conto".




    I
    CLASSICI

    LE
    CANZONACCE