~ c'era una volta a Roma... ~

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il Settizonio




Fino al tardo XVI secolo, chiunque fosse entrato a Roma lungo l'antica via Appia avrebbe certamente notato un alto rudere di forma bizzarra, situato alla biforcazione tra la strada che passa di fronte alla chiesa di San Gregorio Magno e sale verso il Colosseo e quella che corre alla base del colle Palatino costeggiando i terreni fangosi dove un tempo si estendeva il Circo Massimo (cfr. pianta sottostante).
Era comunemente chiamato Settizonio o Settizodio - aveva anche altri nomi, come si dirà più avanti - e si presentava come una struttura dalla sezione a forma di L, con tre piani sovrapposti, ciascuno dei quali contornato da colonne.

il Settizonio, in un'incisione datata 1546 e, visto di spalle, nella pianta di Mario Cartaro (1576), orientata verso est; altri punti di riferimento sono:
il colle Palatino coi palazzi imperiali (a sin.), il Circo Massimo (in basso a destra), la chiesa di San Gregorio (in alto) e l'origine dell'antica via Appia (a destra, )

Era ovviamente solo un frammento della costruzione originaria, assai più grandiosa, che consisteva in un lungo prospetto formato da diversi corpi, alcuni simili a quello superstite, altri con un'alta nicchia nella parte inferiore, disposti in ordine alternato (vedi ricostruzione, in basso): ciò gli dava un senso di maggiore profondità, e faceva risaltare l'effetto di chiaroscuro.
A far costruire il Settizonio all'inizio del III secolo era stato Settimio Severo; durante il suo regno (193-211), l'imperatore aveva ristrutturato il quartiere imperiale sul Palatino, probabilmente includendo quest'opera a coronamento dei lavori.

Tra le costruzioni antico-romane sopravvissute fino ai nostri giorni, due che da un punto di vista architettonico hanno qualche affinità col Settizonio sono il teatro di Merida (in Spagna, 15 aC circa, qui a destra) e la facciata della biblioteca di Efeso (illustrazione in basso a destra, 135 dC circa, attualmente in Turchia); da molti viene ipotizzato che quest'ultima non fosse un unicum nel suo genere, bensì che le numerose biblioteche esistenti in varie città dell'impero si rifacessero a moduli costruttivi sostanzialmente simili a questo.
(↑ in alto) il teatro di Merida e la biblioteca di Efeso (in basso ↓)

ricostruzione ipotetica del Settizonio

La costruzione a Roma aveva la duplice funzione di scenografico ingresso al quartiere imperiale, nonché di maestoso ninfeo, essendo un tempo decorata con statue, affreschi e/o mosaici, fontane, piante, ecc.
Era orientata verso meridione, cioè verso l'antica via Appia, che aveva origine a poca distanza da questo punto, cosicché chi entrava in città proveniente da quella direzione, al suo ingresso in città veniva accolto dalla spettacolare vista del prospetto.

Fin dall'inizio del medioevo il Settizonio dovette risentire dell'incuria e dei terremoti, finendo per diventare una cava di materiale da costruzione prezioso e soprattutto gratuito, ciò che ne provocò la spoliazione delle statue e di tutte le parti in marmo che ancora ne facevano parte.

pianta di Nicolas Beatrizet (1557), orientata ad est: il Settizonio sorge
presso la biforcazione all'origine dell'antica via Appia (contrassegnata )


frammento della Forma Urbis Romae
raffigurante la metà sinistra del Settizonio
Attorno al X secolo il rudere fu anche inglobato in una estesa fortezza della potente famiglia dei Frangipane; qualche tempo dopo passò tra le proprietà della vicina chiesa di San Gregorio.

A differenza di molti altri monumenti scomparsi, il Settizonio è frequentemente menzionato dagli autori antichi, a cominciare dallo stesso biografo di Settimio Severo, Elio Sparziano, il quale però non dice nulla riguardo all'origine di tale denominazione.
Anche la famosa Forma Urbis Romae, l'enorma mappa di Roma incisa nel marmo ed affissa nel Tempio della Pace, la cui realizzazione era stata voluta dallo stesso imperatore, riportava la pianta di questa costruzione (dettaglio a sinistra).

Ne fanno menzione anche diverse guide medievali per pellegrini e viaggiatori, e i nomi che gli vengono attribuiti sono di volta in volta diversi.
Molti sembrano riferirsi al sole o agli astri: Septemsolium (nel Mirabilia Urbis Romae, dei secoli XI-XII), Septasolis (nel Graphia aureae urbis Romae, XI secolo), Septem Solia (nel Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae, più noto come Anonimo Magliabechiano, primo XV secolo). Va detto che nei pressi esisteva anche una chiesa di Santa Lucia in Septa Solis (o in Septisolio), da cui si può ipotizzare che tutti questi nomi facessero riferimento alle sette sfere celesti, cioè i sette pianeti che secondo la concezione tolemaica del cosmo ruotavano attorno alla terra. Si legge infatti nella famosa opera di Mariano Armellini Le chiese di Roma (1891) che ulteriori nomi dati all'edificio furono Septem viae o Septem vias, "a simboleggiare le sette zone o atmosfere del cielo".

il Settizonio, col Palatino e un frammento
di acquedotto sullo sfondo, 1575 c.ca

La referente romana di San Francesco d'Assisi, la beata Giacoma o Jacopa Frangipane (1190-1239 circa), era più nota come Jacopa de' Settesoli proprio dal nome di questo rudere che all'epoca apparteneva alla sua famiglia.


attuale veduta del luogo dove sorgeva il Settizonio,
alle pendici meridionali del colle Palatino
Biondo Flavio (inizi del XV secolo) nel suo Instaurate Romae (Roma restaurata) segnala la costruzione anche come Septodium, mentre l'incisione di Etienne du Perac (qui in alto) reca una didascalia che informa i lettori: "...il vulgo lo chiama la scola di Virgilio".

Altri sostengono che il termine Settizonio potrebbe essere derivato dal nome stesso dell'imperatore, mentre l'ipotesi che fosse dovuto al fatto di avere sette piani (come a volte si legge), appare improbabile per le dimensioni che una tale struttura avrebbe dovuto avere.

Il curioso moncone che rimase in piedi non mancò di attirare l'attenzione degli artisti rinascimentali, i quali ne lasciarono diverse vedute, grazie alle quali abbiamo una seppur lontana idea di quale grandioso aspetto dovesse avere diciotto secoli fa.

Tutto ebbe fine sotto il regno di papa Sisto V, il quale attorno al 1588 non si fece certo scrupolo di abbattere ciò che restava del Settizonio (opera ritenuta pagana) per utilizzare marmo, pietre e colonne nella sua campagna di modernizzazione e "smedievalizzazione" di Roma. Si legge in uno scritto del pontefice datato 23 maggio 1589: "Cavalier Domenico Fontana consignarete a Mutio Matthei o a chi esso ordinarà cinque pezzi di piperino di che si sono levati al Settizonio, quali li doniamo per servirsene alle sue fontane in Strada Felice et Strada Pia", cioè le quattro situate agli angoli delle attuali via Quattro Fontane e via del Quirinale-via XX Settembre (vedi Fontane, parte III pagina 9).
Il celebre archeologo Rodolfo Lanciani stilò una lista di destinazioni d'uso del materiale ricavato dall'abbattimento del rudere, che finì, tra le altre opere, nella facciata del transetto di San Giovanni in Laterano, nella chiesa di San Giacomo degli Schiavoni a Ripetta, nel restauro della colonna di Marco Aurelio (in particolare, la base su cui poggia la statua bronzea di San Paolo alla sommità del monumento), nelle fondazioni dell'obelisco flaminio a piazza del Popolo e, ovviamente, nella tomba dello stesso Sisto V nonché in quella di Pio V, entrambe nella maestosa cappella di famiglia del pontefice, in Santa Maria Maggiore.

una delle Quattro Fontane,
costruita col marmo del Settizonio