~ curiosità romane ~

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le statue parlanti di Roma


Pasquino, Marforio, Facchino, Madama Lucrezia, Abate Luigi, Babuino... le "statue parlanti" di Roma!
Ai tempi in cui il papa governava la città con pugno di ferro, i potenti tremavano nell'udire i soprannomi di questi eroi di pietra, come se fossero stati paladini in carne ed ossa, ma sopra ogni altra cosa essi temevano le loro lingue taglienti.
Infatti queste statue sono l'arma con la quale Roma si è sempre opposta all'arroganza e alla corruzione delle classi dominanti con grande senso dell'umorismo.
Fin dagli inizi del XVI secolo, cartelli satirici venivano appesi nottetempo presso tali statue, che sorgevano in luoghi ben frequentati della città, così che la mattina seguente chiunque potesse leggerli (o farseli leggere, dato che la stragrande maggioranza della gente era analfabeta!), prima che fossero rimossi dalle guardie. Le sei statue erano anche note col nome collettivo di "il Congresso degli Arguti".
I cartelli a volte recavano poesie, a volte dei dialoghi umoristici; nella maggior parte dei casi bersaglio della satira era il papa. E gli autori, ovviamente, rimanevano ignoti.
A questi sei personaggi, che parlavano per bocca del popolo, furono dati dei soprannomi.

La più famosa di esse era ed è tutt'ora, Pasquino. Dal 1501 questa figura si trova in un piccolo slargo alle spalle di piazza Navona; la stessa piazzetta ora porta il nome della bizzarra statua.

Pasquino in un'incisione del 1550
Si tratta di un torso di figura maschile, probabilmente risalente al III secolo aC. È in uno stato di conservazione così cattivo che è impossibile stabilire con certezza chi rappresenti: sono state fatte diverse ipotesi (un gladiatore, una divinità, un eroe) ma la più probabile è che raffigurasse il re Menelao in un classico gruppo della tradizione scultorea ellenistica di cui sono noti diversi esempi compatibili con Pasquino (cfr. illustrazione in basso a sinistra).
Anche sull'origine del soprannome si sa poco; vuole la leggenda che la statua fosse stata rinvenuta presso una bottega di barbiere (o secondo un'altra versione, un'osteria) il cui proprietario si chiamava per l'appunto Pasquino.
Questa statua parlante mantenne la popolarità attraverso i secoli e le burle contenute nei cartelli lasciati lì accanto o appese al collo del torso presero il nome di "pasquinate".

Pasquino oggi, ancora con alcune "pasquinate"
Una delle più celebri è quella diretta al papa Urbano VIII, della famiglia Barberini, che fece togliere a Bernini le residue parti bronzee del Pantheon per utilizzarle nella realizzazione del grandioso baldacchino nella basilica di San Pietro (1633): «Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini» sentenziò Pasquino.
Rivolto ad Alessandro VIII (il veneto Pietro Ottoboni), papa solo dal 1689 al 1691, ma corrotto e scialacquatore, comparve sulla statua «Allegrezza! Per un papa cattivo abbiamo Otto-Boni».
Viceversa, alla fine del pontificato di Clemente XI (1700-21), che regnò per ben venti anni, all'approssimarsi della morte del pontefice la statua invocò il divino intervento: «Dacci un papa miglior, Spirito Santo, che ci ami, tema Dio, né campi tanto».

Menelao trascina via Patroclo
(Firenze, Loggia dei Lanzi):
in rosso le parti compatibili con Pasquino
Quanto Pasquino fosse odiato e temuto dai papi lo dimostra il fatto che lo scorbutico Adriano VI (1522-23), unico pontefice olandese della storia, diede ordine addirittura di far gettare la statua nel Tevere... Ma la sua precoce morte permise all'eroe popolare di rimanere saldamente al suo posto. E a Santa Maria dell'Anima, chiesa della nazione germanica dove il pontefice fu tumulato, sita a non più di 200 metri dal torso parlante (coincidenza davvero bizzarra!) comparvero questi versi: «Papa Adriano è chiuso qui. Fu un tristo: con tutti ebbe a che far, fuorché con Cristo».

-Povero mutilato dar destino;
come te sei ridotto!-
diceva un cane che passava sotto
ar torso de Pasquino.

-Te n’hanno date de sassate in faccia!
Hai perso l’occhi, er naso… e che te resta?
Un avanzo de testa
Su un torso senza gambe e senza braccia!

Nun te se vede che la bocca sola
Con una smorfia quasi strafottente…-
Pasquino borbottò:- Segno evidente
Che nun ho detto l’urtima parola!

~ Trilussa ~

Un'altra statua conosciuta è Marforio, una lunga figura barbuta distesa su un fianco, che decora il cortile di Palazzo Nuovo, un'ala dei Musei Capitolini.
Forse rappresenta un'allegoria di un fiume (il Tevere?) o forse è Nettuno, il dio dei mari. Il suo luogo originario di provenienza è il Foro Romano (illustrazione in basso), dove a differenza di molti altri resti non finì mai sepolto, rimanendo così visibile per tutto il medioevo. Fu spostato dalla sua sede originaria nel tardo XVI secolo. Per altri particolari su questa statua si veda Fontane, III parte, pagina 8.

Il nome Marforio, variamente interpretato, sembra derivare dall'espressione Marte in Foro, essendo stata la statua rinvenuta presso i resti del Tempio di Vespasiano che nel Rinascimento veniva creduto essere il Tempio di Marte. Un'altra interpretazione è mare in Foro, con riferimento al significato allegorico del personaggio raffigurato.

Marforio, nel cortile di Palazzo Nuovo (Musei Capitolini)

incisione di Marforio nella sua sede originale e prima del restauro, 1550 c.ca
Marforio era considerato la "spalla" di Pasquino, poiché in alcune delle satire le due statue dialogavano fra di loro: in genere, una faceva domande riguardo ai problemi sociali, alla politica, ecc. mentre l'altra rispondeva a tono con una battuta. Ad esempio, quando fu eletto papa Sisto V (1585-1590), di umili origini contadine, sua sorella Camilla cominciò ad assumere arie da gran signora. Marforio domandò: «Ahimé Pasquino, perché sei così sporco? Hai la camicia nera come quella di un carbonaro». E Pasquino rispose: «Che vuoi farci? La mia lavandaia è stata fatta principessa!»

Ma ce n'era per tutti: quando sotto occupazione francese (1808-1814) Napoleone cominciò a razziare i tesori d'arte di Roma, Marforio interrogò come al solito il compagno: «È vero che i Francesi sono tutti ladri?» Risposta di Pasquino: «Tutti no, ma Bona Parte».


Fra le "statue parlanti" minori si ricordano il Facchino, Madama Lucrezia, il cosiddetto Abate Luigi e il Babuino.

Il Facchino è una piccola fontana che rappresenta una figura maschile, il cui viso è andato quasi del tutto perduto, nell'atto di versare acqua da una botte; l'abito indossato dalla figura è il costume tipico della corporazione dei facchini, da cui il nome del personaggio.

la fontana del Facchino
La statua originariamente decorava un palazzetto lungo via del Corso, a un centinaio di metri dall'attuale piazza Venezia, il cui posto, agli inizi del '700, venne preso dall'assai più grande Palazzo De Carolis, oggi noto anche come Palazzo del Banco di Roma, un'architettura di Alessandro Specchi. La fontanella sopravvisse alla demolizione del palazzetto e nel 1874 fu spostata a via Lata, a pochi metri dalla sua collocazione originaria.
Il Facchino risale alla seconda metà del XVI secolo; secondo una tradizione popolare fu ispirato dalla figura di un acquarolo, colui cioè che raccoglieva acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta, a modico prezzo.

due immagini di acquaroli
da stampe dei secoli XVI-XVII

Nessuno sa chi sia l'autore della fontanella; trattandosi di un'opera di buon livello, nonostante le sue condizioni attuali, nella rosa dei possibili artefici era stato fatto (erroneamente) perfino il nome di Michelangelo. È invece assai probabile che sia stato disegnato da Jacopino Del Conte, un valente pittore attivo verso la metà del '500; egli lavorò spesso in coppia con l'architetto e fontaniere Giacomo Della Porta, dipingendo numerosi progetti di fontane ideate da quest'ultimo (cfr. la monografia Fontane, III parte).
Infatti per un certo tempo Jacopino fu proprietario del palazzetto che sorgeva al posto del suddetto Palazzo De Carolis, sulla cui facciata originariamente si trovava il Facchino.

Un'altra statua è conosciuta come Madama Lucrezia e si trova in un angolo di Palazzetto Venezia, in piazza San Marco, adiacente a piazza Venezia.
Questo enorme busto marmoreo, alto circa 3 metri, proviene da un tempio dedicato a Iside e raffigura probabilmente la stessa divinità o una sua sacerdotessa.
Madama Lucrezia prese il nome da Lucrezia d'Alagno, una nobildonna che visse nel XV secolo. Era l'amante del re di Napoli Alfonso V di Aragona, il quale era già sposato; per questo motivo nel 1457 ella venne a Roma e tentò di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma gli fu rifiutata. L'anno seguente il re morì; l'ostilità nei confronti della dama del pretendente al trono, l'unico figlio (illegittimo) maschio di Alfonso, Ferrante, la costrinse a trasferirsi definitivamente a Roma, dove risiedette nelle immediate vicinanze della statua, che così da lei prese il soprannome.

Madama Lucrezia


la statua dell'Abate Luigi

FUI DELL'ANTICA ROMA UN CITTADINO
ORA ABATE LUIGI OGNUN MI CHIAMA
CONQUISTAI CON MARFORIO E CON PASQUINO
NELLE SATIRE URBANE ETERNA FAMA
EBBI OFFESE, DISGRAZIE E SEPOLTURA
MA QUI VITA NOVELLA E ALFIN SICURA

Questo breve epitaffio si legge sulla base che sostiene l'Abate Luigi, in piazza Vidoni, non lontano da piazza Navona, sul muro sinistro della chiesa di Sant'Andrea della Valle.
La statua raffigura un uomo con una toga di foggia tardo-romana; il soprannome fu probabilmente ispirato dal sacrestano della vicina chiesa del Sudario, il quale - secondo la tradizione popolare - rassomigliava molto alla figura scolpita.
La piazza era la collocazione originale dell'Abate, ma nel corso dei secoli la statua cambiò sede diverse volte, tenuta in scarsa considerazione, finché nel 1924 non fu ricollocata nel medesimo spiazzo.


Il Babuino (cioè babbuino) è una figura distesa di sileno, davanti alla chiesa di Sant'Attanasio dei Greci, nella centrale via del Babuino. Funge da elemento decorativo per una fontana semplicissima, una volta usata per abbeverare i cavalli (cfr. Fontane, parte III pagina 2), sul cui bordo il vecchio personaggio sta appollaiato sin dal Rinascimento.
Il soprannome dato alla figura è la conseguenza della faccia ghignante del sileno, ora resa ancora più grottesca dall'usura del tempo.


fino alla fine degli anni '90 il muro alle spalle del Babuino
era perennemente ricoperto da graffiti (foto in basso),
forse in conseguenza della "loquacità" di questa statua,
che oggi sembra aver scelto la meditazione (a destra →)

Oggigiorno la maggior parte delle statue parlanti di Roma sembra aver perso la favella. Solo Pasquino si mantiene fedele alla tradizione: la sua base è sempre ricoperta da una varietà di graffianti satire in versi, tipicamente rivolte a chi detiene il potere. Ovviamente gli autori dei componimenti satirici non rischiano più di finire in carcere, come accadeva una volta, ma vige ancora l'usanza di lasciarli senza firma. Ed è tutt'ora un'usanza per i passanti di ogni età quella di fermarsi a leggere gli ultimi mordaci commenti di Pasquino.