~ Monografie Romane ~

Fontane
· I parte ·
fontane antiche
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INTRODUZIONE

La monografia Fontane si presenta come il naturale seguito a quella precedente sugli acquedotti. In effetti questa sarebbe dovuta essere una delle prime sezioni pubblicate nel sito. Ma una descrizione dettagliata di un così vasto argomento si scontrava con la modesta quantità di memoria e di traffico messa a disposizione dalla compagnia che in origine ospitava Roma Virtuale in modo gratuito. Perciò sono occorsi anni per pubblicare questo progetto. E sebbene ora sia finalmente qui, c'è una buona possibilità che in futuro venga aggiunta qualche altra pagina.
Compilare un catalogo fotografico di tutte le fontane esistenti a Roma, dalle più minuscole alle più grandi, sarebbe stata una sfida stimolante, ma preferisco descrivere "soltanto" quelle che vale la pena menzionare.

La scelta è stata guidata da diversi criteri, tra cui il valore artistico di ciascuna di esse, il loro interesse storico, l'aneddotica e ciò che di curioso vi si lega ed infine - dettaglio non trascurabile - la reale possibilità di accedere a queste fontane, in quanto il lettore potrebbe volerle visitare in occasione di una sua venuta a Roma.
Per tale ragione qualche fontana minore è stata volutamente omessa.

Anche le fontane di cortile, tipicamente presenti nei palazzi e nelle dimore nobiliari, sono state tralasciate, perché quasi sempre non accessibili al pubblico.

fontana di cortile (1669)
in via della Panetteria 15
Alcune di esse sono opere di scarso o di nessun interesse; altre invece sono creazioni di artisti famosi (come quella mostrata a sinistra, di cui è autore Gianlorenzo Bernini). Ma trattandosi di proprietà privata, a prescindere dal loro valore artistico, non possono essere considerate a pieno titolo "fontane di Roma".

Inoltre, poiché un criterio seguito da questo sito è di non occuparsi del Vaticano, le poche fontane ufficialmente situate nel territorio del minuscolo stato non vengono prese in considerazione (fatta eccezione per le due fontane gemelle in piazza San Pietro): a voler essere fiscali, queste non sono situate a Roma (e neppure in Italia!), ma soprattutto non sono liberamente raggiungibili e fruibili, al contrario di quelle romane, descritte in queste pagine.

fontana di cortile (tardo Seicento)
in via della Scrofa 70

Nonostante i tagli, questa resta una monografia di ben 26 pagine (finora, la più vasta di questo sito!), nella quale circa 200 fontane sono commentate in dettaglio e illustrate con oltre 500 fotografie e disegni.
Muovendo il cursore del mouse sulle immagini appare il nome del luogo dove si trova ciascuna fontana.
La monografia si compone delle seguenti parti (l'indice è cliccabile):

I parte
FONTANE ANTICHE
DALLE ORIGINI AL MEDIOEVO
pagine
1  ·  2
II parte
FONTANELLE
SECOLI  XVI - XX
pagine
1  ·  2  ·  3  ·  4
III parte
FONTANE  MAGGIORI
SECOLI  XV - XX
pagine
1  ·  2  ·  3  ·  4  ·  5  ·  6
7  ·  8  ·  9  ·  10  ·  11  ·  12
13  ·  14  ·  15  ·  16  ·  17
18  ·  19  ·  20  ·  21



...nelle fontane di Roma può accadere anche questo! →




FONTANE ANTICHE

LE ORIGINI

I primi abitanti di Roma, cioè alcune tribù sparse sui mitici sette colli, attingevano l'acqua direttamente dal Tevere. Potevano anche utilizzare piccoli pozzi per raccogliere l'acqua piovana, come quello mostrato a destra, trovato nell'area del Foro di Cesare, databile al VI secolo aC.

Durante l'età repubblicana i Romani sfruttarono le poche sorgenti naturali esistenti nel sottosuolo delle aree abitate per costruire le prime fontane. Molti dei loro nomi, quali Fons Lupercalis, Fons Apollinaris, Fons Pici, Fons Mercurii, e altri ancora, si trovano nelle fonti letterarie e in alcuni casi si conosce con ragionevole approssimazione anche dove erano situate.

pozzetto (VI sec. aC)

Alcune di esse erano sicuramente molto grandi, come la Piscina Publica, situata nella parte meridionale della città, la cui funzione era probabilmente quella di cisterna più che di una vera e propria fontana. Nella prima età imperiale (I secolo) era già scomparsa, ma l'imperatore Ottaviano Augusto diede il suo nome alla XII Regio (cioè rione) dell'area urbana, per cui ne rimase a lungo impresso il ricordo nella memoria degli abitanti locali.


il sito del Lacus Iuturnae
(gentile concessione di Kalervo Koskimies)
Oggi rimane assai poco delle fontane dell'età repubblicana, e i minimi resti ancora visibili conservano a malapena il ricordo del loro originario aspetto. Solo le leggende a cui diedero luogo sono state pienamente tramandate.
Questo è il caso del Lacus Iuturnae, il cui nome deriva dalla dea Iuturna, patrona di coloro il cui lavoro aveva attinenza con l'acqua. La fontana sorgeva nell'area del Foro Romano, presso il tempio sacro ai Dioscuri (Castore e Polluce, figli di Giove e di Leda) perché, secondo la tradizione, nel 499 aC, dopo aver combattuto a fianco dei Romani in una battaglia contro la Lega Latina, si fermarono qui ad abbeverare i loro cavalli.

Non resta molto nemmeno del Lacus Curtius, una sorgente o, secondo altri, una semplice vasca di raccolta dell'acqua piovana, anch'essa nell'area del Foro.
Il punto dov'è situato costituiva l'ultima parte della palude che una volta si estendeva su tutta l'area dove in seguito venne edificato il Foro. Ma secondo la tradizione, la sorgente ebbe origine quando un fulmine spaccò la terra, nel 445 aC, e il console Gaio Curzio fece recintare l'area. Questa era una pratica religiosa: la caduta di un fulmine era considerata presaga di eventi negativi, perciò in tali casi un consiglio di dieci sacerdoti chiamati bidentales presidevano alla recinzione del punto, e alla sepoltura di una pietra come rappresentazione simbolica del fulmine. Seguiva il sacrificio di una pecora, per l'occasione indicata come bidental, e tale nome veniva poi preso anche dal sito stesso.
il sito del Lacus Curtius
(gentile concessione di René Seindal)

Lacus Curtius: il rilievo originale
Una leggenda più avventurosa narra del Lacus Curtius come sede di una voragine senza fondo la quale - aveva predetto l'oracolo - si sarebbe chiusa solo gettandovi dentro ciò che in Roma aveva più valore; così, nel 362 aC, il giovane cavaliere Marco Curzio, armato di tutto punto e a cavallo del destriero, si lanciò egli stesso nella voragine, che si trasformò in un'innocua sorgente. Una terza versione racconta del capo dei Sabini, Mezio Curzio, il quale nella buca sarebbe caduto.

Comunque, il sito oggi appare solo come un'area quadrangolare irregolarmente lastricata, contrassegnata dalla copia di un rilievo raffigurante Marco Curzio a cavallo (l'originale, di età repubblicana, si trova nei vicini Musei Capitolini).

Durante l'età repubblicana il numero di fontane era ancora insufficiente a coprire le necessità della popolazione, specialmente quella che viveva più lontana dall'area del Foro, e in molti continuavano ad attingere acqua dal Tevere. Per tale ragione non era consentito costruire fabbricati entro una certa distanza dalla riva orientale del fiume (sul lato occidentale vivevano per lo più immigrati e mercanti stranieri), e l'area che doveva rimanere libera da qualsiasi proprietà privata era delimitata da pietre, alcune delle quali sono state ritrovate (cfr. illustrazione a destra).

La vera ricchezza d'acqua cominciò con la costruzione dei numerosi acquedotti, fra il I secolo aC e il III secolo dC (cfr. Acquedotti I parte), un periodo durante il quale a Roma il numero di fontane crebbe notevolmente; non erano più alimentate dalle vicine sorgenti naturali, ma dai principali dotti e dalle loro molte diramazioni.

pietra di delimitazione
dell'area pubblica

Una delle più famose era situata di fronte al Colosseo, ed era nota col nome di Meta Sudans. Aveva la forma di un enorme cono, a somiglianza dei piloni usati nei circhi, chiamati metae, che demarcavano le estremità della pista. La sua fama si doveva al fatto che l'acqua non zampillava da una bocchetta, ma filtrava dall'interno attraverso la pietra porosa, dando alla fontana un aspetto lucente ("sudante"), un'assoluta novità per quei tempi.
La Meta Sudans subì consistenti danneggiamenti nel corso del medioevo, poiché appare già come rovina nelle antiche vedute del Colosseo. Nel 1936, in seguito al peggioramento delle sue condizioni e per ragioni di traffico, venne definitivamente rimossa, e sul posto venne collocata una targa commemorativa.

(↑ in alto a sin.) la Meta Sudans in una
stampa del tardo Cinquecento e (in alto a destra)
la stessa, in una fotografia del primo Novecento;


(← a sinistra) il sito nelle sue condizioni attuali

Sul lato opposto del Colosseo si può vedere ciò che di restaurato rimane di una piccola fontana nell'area del Ludus Magnus, la principale caserma dove si allenavano e vivevano i gladiatori. L'imperatore Domiziano (81-96) fece costruire questo complesso sufficientemente vicino al grande anfiteatro da poter essere raggiungibile dalla caserma per mezzo di un passaggio sotterraneo. Nell'ampio cortile del Ludus Magnus si trovava un mini-anfiteatro, per ricreare l'ambientazione dell'arena del Colosseo, e quattro piccole fontane triangolari situate negli angoli, delle quali oggi ne rimane solo una. Oggi la metà meridionale del Ludus Magnus è interrata sotto palazzi privati, e al suo centro passa il primo tratto di via San Giovanni in Laterano (pianta in basso).
la fontana nel Ludus Magnus, a destra raffigurata anche nel frammento Forma Urbis Romae (pianta del III secolo)


fontana del I secolo a forma
di corno (Musei Capitolini)
Anche se non costituiscono oggetto specifico di questa monografia, va ricordato che, così come sorgevano fontane pubbliche, assai più numerose erano quelle private, di forma più svariata, che ornavano le ricche ville del ceto sociale più alto.
Alcune fontane dell'antica Roma erano inserite in un contesto scenografico fatto di nicchie, piccole grotte o persino intere aule, variamente decorate da statue, mosaici, affreschi, vegetazione: erano i cosiddetti ninfei. Le loro dimensioni potevano variare e non erano poche quelle dalle dimensioni davvero ragguardevoli. La maggior parte di essi sorgeva in terreni privati, ma qualcuno era pubblico.
parte sommitale di una piccola fontana
di età imperiale (Musei Vaticani)

Un esempio sono le imponenti rovine del ninfeo di Alessandro Severo, nei giardini di piazza Vittorio Emanuele, note come "Trofei di Mario".

i resti ora conosciuti come "Trofei di Mario"
Il ninfeo costituiva lo sbocco di un ramo secondario che si staccava dall'Aqua Iulia (quest'ultima seguiva l'andamento delle vicine mura orientali della città e viene descritta nella monografia Acquedotti).
Un nicchione centrale era occupato da una scultura; più in alto, sull'attico, svettava una quadriga. Due gruppi marmorei, riproducenti armi e corazze catturate alle popolazioni barbare come trofei di guerra, si trovavano da entrambi i lati sotto due archi. Aveva una base quadrangolare, con una serie di nicchie tutt'intorno, occupate da altre statue; questa era circondata da un'ampia vasca dove si raccoglieva l'acqua, che zampillava da varie bocche situate sui lati.
Purtroppo nessuna delle decorazioni originali del monumento è ancora al suo posto e quale aspetto avesse in origine è noto solo grazie ad alcune monete coeve che lo ritraggono.

Nel Cinquecento i due gruppi dei trofei erano ancora sulle rovine della fontana (illustrazione in basso al centro), ma verso la fine del secolo furono trasferiti a piazza del Campidoglio, dove si trovano ancora oggi. Sono detti comunemente "Trofei di Mario" in quanto si riteneva che celebrassero le vittorie del generale Gaio Mario sui Cimbri e sui Teutoni (popolazioni germaniche, nel 101 aC). In epoche recenti, però, la datazione delle due sculture è stata posticipata di quasi due secoli, venendo infatti riferite alle vittorie dell'imperatore Domiziano sui Catti (un'altra tribù germanica, nell'83 dC), o sui Daci (tribù dell'odierna Romania, nell'89). Tuttavia, sono comunque di oltre un secolo più antichi del ninfeo, perciò i gruppi non furono scolpiti per l'occasione, bensì furono chiaramente rimossi da qualche altro monumento preesistente.
Le rovine della fontana mantennero il nome "Trofei di Mario" anche dopo la rimozione dei due gruppi. Oggi fungono da ricovero per una delle numerose colonie di gatti randagi di Roma.


i due gruppi rimossi dal ninfeo di Alessandro Severo e (al centro) un'incisione del XVI secolo che li ritrae ancora al loro posto


Non lontano da piazza Vittorio è il ninfeo dei Licinii, eretto attorno al IV secolo.

Quelle che ora hanno l'aspetto di rovine originariamente si presentavano come un'aula rotonda a forma di cupola, le cui pareti erano molto probabilmente ricoperte di affreschi e marmi preziosi, mentre nel centro l'acqua zampillava da una o più statue, circondate da fiori e da piante. Sorgeva nei giardini della villa di famiglia dei Licinii, che si estendeva su una vasta superficie ora attraversata dalle linee ferroviarie. È ancora conosciuto col nome popolare di "Tempio di Minerva Medica", da quando una statua della dea, che forse decorava i suddetti giardini, fu rinvenuta lì accanto, fuorviando gli scopritori circa la reale natura dell'aula.
Il ninfeo è menzionato anche nel giro delle Mura Aureliane, con altre illustrazioni di queste notevoli ma alquanto neglette rovine.

i resti conosciuti come "Tempio di Minerva Medica"

Le statue che decoravano le fontane di Roma antica erano spesso allegorie di mari o di fiumi, solitamente raffigurate come personaggi barbuti, in posizione reclinata, se mostrate per intero.
Una di esse, conosciuta col nome di Marforio (ilustrazione sottostante), si trova nel cortile di Palazzo Nuovo, una sezione dei Musei Capitolini.
Per secoli la statua aveva giaciuto nella parte settentrionale del vicino Foro Romano, dove la mostrano piante e disegni precedenti al suo riposizionamento, tra altri resti sparsi. Nel 1588 Sisto V la fece trasferire in Campidoglio, probabilmente allo scopo di riconvertirla in fontana. In un documento di quello stesso anno si legge che sulla statua si trovava l'iscrizione MARE IN FORO, da cui derivava la vecchia teoria secondo cui rappresenterebbe una divinità marina, sebbene gli esperti ora ritengono che si riferisca ad un fiume, probabilmente il Tevere. L'iscrizione non è più visibile, ma il soprannome della statua chiaramente deriva da essa.

← colossale testa di Oceano che decorava
una fontana del II secolo (Musei Vaticani)
La vecchia interpretazione spiega il perché quando il braccio destro mancante gli fu rimpiazzato, gli fu posta in mano una conchiglia marina.
Secondo un'altra versione, alcune fonti medievali fanno riferimento al fatto che presso la fontana sorgeva un tempio nel Foro di Marte, per cui il sito veniva indicato come Marfori oppure Marfoli.
Nei secoli passati Marforio era molto conosciuto dal popolo, in quanto faceva parte del gruppo delle cosiddette "statue parlanti" (cfr. Curiosità Romane).

Marforio probabilmente faceva parte di una fontana dell'antica Roma


Marforio nella sua posizione originale (freccia)
in un disegno del Foro del XVI secolo
Quando Marforio fu trasferito al Campidoglio, fu rinvenuta anche l'enorme vasca rotonda che l'accompagnava. Quest'ultima però venne lasciata nell'area del Foro, dove fu convertita in un abbeveratoio per il bestiame e per i cavalli, dandogli come bocca d'acqua un mascherone scolpito da Giacomo Della Porta, celebre fontaniere della fine del Cinquecento.
Nel 1816, dato che la vasca aveva nuovamente finito col riempirsi parzialmente di terra, Pio VII la fece trasferire in una posizione più dignitosa, cioè sotto le statue dei Dioscuri davanti a Palazzo del Quirinale, mentre il mascherone fu riutilizzato per una fontanella presso la riva del fiume (la prima è descritta nella III parte, il secondo nella II parte).

Per completezza va inclusa tra le fontane antiche anche la tazza di granito grigio di fronte alla Basilica di Massenzio, detta Fontana del Nicchione (da non confondere con quella omonima del Pincio che è descritta nella III parte), sebbene provenga da Portus, l'attuale Ostia, dove fu trovata nel 1696.

Fontana del Nicchione
L'allora papa Innocenzo XII la fece collocare a Palazzo di Montecitorio (a quei tempi Curia Innocenziana), dove rimase per oltre due secoli. Poi, divenuto questo edificio la Camera dei Deputati, nel 1932 la tazza fu trasferita in via dei Fori Imperiali (all'epoca via dell'Impero, appena aperta), collocata su un prisma squadrato di travertino a riempimento di un'alta nicchia lungo il muro che delimita il lato della strada.
una delle maschere
La tazza emette al centro uno zampillo d'acqua, che si raccoglie in una semplicissima vasca alla base, ed è decorata su ciascun lato da una pregevole maschera.

Analogamente, quando nel corso di scavi presso le fondazioni di Palazzo Madama, sede del Senato, venne alla luce un'enorme catino di granito egizio, molto probabilmente appartenuto alle vicine Terme di Nerone (ora scomparse), fu collocato in quello stesso luogo, a via degli Staderari, inserendolo su una semplice base moderna al centro di una vasca a terra ottagonale, quindi utilizzandolo nuovamente come fontana.


Quello di essere trasferita, smontata, rimontata e poi trasferita di nuovo, è stato un destino comune anche ad altre fontane meno antiche, descritte nelle pagine di questa monografia.

il catino romano in via degli Staderari →




I PARTE · pagina 2
IL MEDIOEVO
II PARTE
FONTANELLE
III PARTE
FONTANE MAGGIORI