~ curiosità romane ~

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il Carnevale Romano

le memorie di un'antica tradizione

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Fino alla fine del XIX secolo il Carnevale Romano ha rappresentato uno dei maggiori eventi pubblici del paese. Sebbene quest'usanza si sia estinta da oltre un secolo, occupa tutt'ora un posto di rilievo tra le antiche tradizioni folkloristiche della città. Consisteva in una colossale festa pubblica della durata di otto giorni, che si chiudeva la notte del Martedì Grasso, con l'avvento della Quaresima. In realtà i festeggiamenti cominciavano undici giorni prima, cioè di sabato, ma il venerdì e la domenica erano vietate le corse e le mascherate, per cui i giorni effettivi dei festeggiamenti si riducevano a otto, secondo il seguente calendario:

SAB DOM LUN MAR MER GIO VEN SAB DOM LUN MARTEDÌ
GRASSO

L'abitudine di indire manifestazioni di svago prima della Quaresima ebbe inizio nel X secolo, anche se in forma di giochi e tornei, solo in seguito tramutati in feste di piazza. Divenne presto uno degli appuntamenti più attesi dell'anno, richiamando gente anche da fuori città. Durante il Rinascimento il Carnevale Romano superò in fama persino quello celeberrimo di Venezia!

L'importanza della festa per i romani veniva accresciuta dal fatto che solo durante questo breve periodo era consentita la trasgressione di alcune rigide disposizioni in materia di ordine pubblico, in gran parte basate su codici religiosi. I tutori dell'ordine erano inflessibili a farle rispettare nel resto dell'anno e in particolare durante l'imminente Quaresima, quando persino le commedie a teatro erano proibite per non turbare lo spirito pasquale.
Insomma, a Carnevale ci si poteva prendere qualche libertà, anche verso la classe dirigente (clero e nobili), che in altri periodi dell'anno sarebbero costate la galera, o peggio. E benché anche il Carnevale fosse strettamente regolamentato, non era raro che qualcuno si lasciasse andare a eccessi di ogni sorta 1. Sotto diversi papi, primo fra tutti Sisto V, a Carnevale il boia dovette fare gli straordinari.

un'immagine del Carnevale Romano in un acquerello di Achille Pinelli (c.1835)

I festeggiamenti però erano tutt'altro che garantiti: ogni anno si doveva attendere che il papa con un editto apposito concedesse la licenza di tenerli. In genere nei Giubilei (o Anni Santi) l'intero programma veniva soppresso e sostituito da celebrazioni liturgiche 2. Anche la morte di un papa poteva far sospendere le feste (ad esempio quella di Leone XII, nel 1829, costò ai romani il Carnevale di quell'anno).

Inoltre durante questi giorni molti papi temevano rivolte, perché la possibilità di circolare col volto coperto da maschere non consentiva il facile riconoscimento di sovversivi e ricercati. Quindi in prossimità di provvedimenti impopolari (nuove tasse, o altro) ogni scusa era buona per abolire le feste in costume. Ad esempio nel 1837 il motivo ufficiale del divieto fu un'epidemia di colera e Belli scrisse:


piazza Navona (il recinto ovale) nel '400
Oggi ar fine per ordine papale
cor protesto e la scusa der collèra,
ma ppe un'antra raggione un po' ppiú vvera
er Governo ha inibbito er carnovale.


(da Er carnovale der '37,  20 gennaio 1837)

Il primo luogo dei festeggiamenti del Carnevale Romano fu piazza Navona, a quei tempi ancora platea in Agone, dove sin dal medioevo si svolgevano tauromachie e tornei di cavalieri consistenti nel colpire un bersaglio rotante (il classico saracino); una variante ne era il gioco dell'anello (infilzare con la lancia un anello collegato a un grosso recipiente pieno d'acqua, che si rovesciava sul cavaliere se non era lesto a evitarlo).

A questa si aggiunse il Monte Testaccio, presso il tratto sud-occidentale delle antiche mura, un'area pressoché disabitata appena all'interno dei confini urbani; qui, oltre ai divertimenti già citati, si praticava una tradizione abbastanza cruenta detta la ruzzica de li porci.
In cima alla collina artificiale venivano allestiti carretti con sopra diversi maiali vivi, che poi venivano fatti rotolare lungo la ripida fiancata; nella corsa i carri si rovesciavano e si fracassavano, mentre a valle si radunava una gran folla che si contendeva gli animali (o quanto ne restava) in una gigantesca e alquanto sanguinolenta ressa.

Monte Testaccio in un'incisione cinquecentesca: è in corso una corrida

Verso la metà del Quattrocento i festeggiamenti cambiarono sede per ordine di papa Paolo II; essendo veneziano, colse questa occasione per valorizzare il suo Palazzo Venezia appena costruito, ovviamente in piazza Venezia (allora di dimensioni assai più modeste dell'attuale).
Come teatro delle feste carnascialesche fu scelta l'adiacente via del Corso, ancora via Lata (era la periferia settentrionale della Roma rinascimentale) e che in tempi ancora più antichi, in epoca romana, aveva rappresentato il primo tratto della via Flaminia.


Il gioco dell'anello (part.), Bartolomeo Pinelli, 1825
Qui la fantasia popolare partorì un'altra competizione quanto mai bizzarra: una corsa lungo il rettifilo di circa 1.km, a cui prendeva parte una varia umanità e diversi animali; una bolla emanata da Paolo II la regolamentava così:
  • il primo lunedì correvano gli ebrei, che prima della gara venivano costretti a rimpinzarsi per renderli meno agili;
  • il primo martedì correvano i bambini cristiani;
  • il mercoledì correvano i giovani cristiani;
  • il giovedì grasso correvano i vecchi con più di 60 anni;
  • il secondo lunedì correvano gli asini;
  • il martedì grasso correvano le bufale.
Da tale programma, si evince che originariamente, oltre al venerdì e alla domenica, non si svolgevano corse neppure il sabato.

In seguito, la ripartizione in categorie divenne meno netta; diverse fonti parlano anche della partecipazione alla corsa di nani, di zoppi, di deformi. Il popolo gioiva alla vista degli strani competitori, e non risparmiava loro salaci battute né il lancio di ogni sorta d'oggetti.
Fu Clemente IX che nel 1667 pose fine alla barbara usanza, ma da allora agli ebrei toccò accollarsi gran parte delle spese del Carnevale e subire l'onta di una cerimonia farsesca con la quale lo stesso si apriva.
Il Rabbino Capo della comunità si recava in Campidoglio e inginocchiato davanti al Senatore e ai Conservatori, cioè la pubblica amministrazione di Roma, pronunciava un discorso di contrizione, al quale il Senatore rispondeva con le parole: Andate! Per quest'anno vi soffriamo, rifilando al capo degli israeliti romani un calcio nelle terga!

Anche nei secoli a seguire l'apertura del Carnevale si celebrava in modo tutt'altro che allegro: una pubblica esecuzione oppure, in assenza di condanne a morte pendenti, l'applicazione in piazza di pene corporali nei confronti di uno o più condannati per reati minori. Non v'è alcun dubbio che il pubblico di allora lo apprezzasse come un "divertimento". Ne dà una puntuale descrizione il pittore francese Antoine-Jean-Baptiste Thomas, nella sua opera Un an à Rome et dans ses environs, di cui in questa pagina si può leggere il passaggio relativo.

I moccoletti al Corso (part.), Ippolito Caffi, 1850 c.


maschere di Carnevale, incisione di Bartolomeo Pinelli (1834)
Ma a parte ciò, avevano luogo anche manifestazioni più innocue, come le sfilate in maschera, durante le quali ai passanti venivano lanciati i confetti, inizialmente dolcetti di zucchero colorati con dentro un seme di coriandolo, poi (XIX secolo) pallottole di amido o gesso, e sbruffi (pezzetti di carta colorata equivalenti agli attuali coriandoli). Alle ragazze più graziose venivano offerti omaggi floreali. Tra i costumi erano molto in voga quelli dei personaggi della Commedia dell'Arte, in particolare Pulcinella e Arlecchino ma, come ricorda J. W. Goethe nel suo Viaggio in Italia (1817), erano prese di mira anche figure come gli avvocati (rappresentati come dei gran chiacchieroni) e i quaccheri (eleganti, paffuti ma sempliciotti); c'erano anche giovanotti che si vestivano in abiti femminili e assumevano atteggiamenti indecenti e chi si travestiva da mendicante, ricevendo dolci, noci od altre "elemosine" dal pubblico. Di notte, invece, avevano luogo i festini, balli pubblici che duravano fino all'alba.

Di giorno erano in molti a travestirsi. Dopo il tramonto era ancora lecito farlo, ma senza indossare maschere sul volto, per motivi di pubblica sicurezza; tali maschere, di cera o cartapesta, erano così popolari da costituire per i venditori una vera nicchia di mercato, per tutta la durata del Carnevale. Persino preti, frati e monache facevano baldoria, anche se nell'ambito dei rispettivi conventi (non in strada); erano ammessi musica, balli, pranzi sontuosi e anche qualche innocente travestimento. Alle monache di clausura, però, era consentito mascherarsi solo con gli abiti dei propri confessori


Si arrivava così all'atto conclusivo del Carnevale, la sera del Martedì Grasso, con la suggestiva Corsa dei Moccoletti (cfr. illustrazione in alto a destra), fatta cioè reggendo candele o lumini e tentando, nel correre, di spengere le fiammelle altrui. Ancora Belli scrisse:

Addio ammascherate e carrettelle,
pranzi, cene, marenne e colazione,
fiori, sbruffi, confetti e carammelle.

Er carnovale è mmorto e sseppellito:
li moccoli hanno chiusa la funzione:
nun ze ne parla ppiú: ttutt'è ffinito.


(da Er primo giorno de quaresima, 17 febbraio 1847)

Carnevale Romano, dettaglio di un dipinto di Jan Miel (1653);
  i personaggi indossano maschere di cera, e quelli in basso sono travestiti da guardie svizzere


L'evento più atteso era la Corsa dei Barberi, cioè dei cavalli berberi, una razza non molto alta ma muscolosa; questa aveva sostituito nel favore popolare la corsa ormai vietata degli storpi. Si ripeteva ben otto volte, quanti erano i giorni di feste e si svolgeva poco prima del tramonto. I barberi venivano lanciati senza fantino da piazza del Popolo (fase detta mossa o smossa) e raggiungevano a tutta velocità l'estremità opposta del Corso, piazza Venezia, allora assai più piccola dell'enorme spiazzo che è oggi, dove si tendeva un telone per fermare i cavalli, mentre i barbareschi, mozzi di scuderia, dando sfoggio di coraggio e di muscoli si gettavano tra di loro tentando di bloccarli a viva forza (cosiddetta ripresa dei barberi), in mezzo al trambusto generale.
Il proprietario del cavallo vincitore riceveva in premio un palio, cioè un drappo di stoffa preziosa e ricamata, le cui spese toccavano, manco a dirlo, agli ebrei.

La mossa dei barberi (part.), dipinto di G.F.Perry, 1827
Per l'occasione, in piazza del Popolo venivano montate delle tribune accanto al punto di partenza. Le personalità si godevano l'evento dai balconi dei palazzi affacciati lungo via del Corso, ornati con drappi, festoni e altre decorazioni; chi non veniva invitato poteva sempre affittare un posto a pagamento. I più rimanevano in strada, stipati su entrambi i lati della carreggiata lungo un gradino alto e stretto che fungeva da marciapiede, oggi scomparso 3.
Ciò che rendeva molto pericolosa questa corsa, nonostante le guardie facessero rispettare alla folla le più elementari misure di sicurezza, era la strettezza del percorso di gara. Per tale ragione papa Alessandro VII nel 1665 fece demolire l'antico arco detto di Portogallo (cfr. C'era una volta a Roma...) che creava un collo di bottiglia a circa metà percorso.



(↑ in alto) un balcone di via del Corso (José Benlliure y Gil, 1870 c.ca);
(← a sin.) la ripresa dei barberi a piazza Venezia,
particolare da un acquerello di Achille Pinelli, 1835 c.ca


Nel 1874, durante la corsa un giovane improvvidamente attraversò la strada mentre sopraggiungeva un cavallo e morì proprio sotto gli occhi dei reali. Vittorio Emanuele II abolì la manifestazione, che da allora non fu mai ripetuta.
Questo segnò la fine della corsa e anche del Carnevale Romano che vi era così strettamente legato. Persino Trilussa scrisse in uno dei suoi sonetti:


Leva er tarappattà,1 leva la gente,
leva le corze... la bardoria è morta,
er carnovale s'ariduce a gnente.

Dicheno bene assai li mi' padroni:
de tutt'er carnovale de 'na vorta
che ciarimane mò? 'N par de... vejoni.
2

(da Er carnovale de mò, 1890)

1. - il battere dei tamburi, il frastuono.
2. - veglioni; un gioco di parole basato sulla somiglianza di vejoni con cojoni (un par de cojoni, cioè "assolutamente nulla").



via del Corso, come si presenta oggi

Per tutto il XX secolo delle suddette manifestazioni rimase solo il lontano ricordo, nel nome stesso di via del Corso.
Negli ultimissimi anni, però, sono stati fatti dei tentativi di riportare in vita alcune delle tradizioni legate al Carnevale Romano: sfilate in costume, rappresentazioni della Commedia dell'Arte (dai cui personaggi classici molte maschere hanno avuto origine), e altri eventi a tema si tengono in alcune tra le maggiori piazze della città, soprattutto nel fine settimana che precede il Martedì Grasso.


Carnevale Romano a piazza Navona (2009): fantasia di maschere
e una rappresentazione della Commedia dell'Arte (a destra →)









~~ NOTE AL TESTO ~~
1. - Scrive Luigi De Sanctis, in Roma Papale (1882):
"il carnevale in Roma costa ogni anno la vita a molte persone, per malattie prese o per travestimenti imprudenti, o per infiammazioni, o per stravizi."

2. - Osserva Massimo D'Azeglio ne I miei ricordi (1867):
"Uno dei primi pensieri del Papa Leone era stato di pubblicare il gran giubileo universale dell'anno '25. La qual cosa significava Roma trasformata per dodici mesi in un gran stabilimento di esercizi spirituali. Non teatri, non feste, non balli, non ricevimenti, neppure in piazza i burattini, e invece prediche, missioni, processioni, funzioni, ecc."

3. - Belli descrive questo gradino in una nota del sonetto Er Corzo arifatto (11 aprile 1834):
"Si allude alla attuale nuova livellazione della Via del Corso, fiancheggiata di due uniformi marciapiedi a gradino, lungo i quali ricorrono a brevissime distanze due linee di bocchette destinate a ricevere gli scoli della strada."