II parte - il lato orientale

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Lasciando alle spalle Porta Tiburtina si giunge quasi subito ad una piazza più ampia; a destra, dove un sottopassaggio attraversa le linee ferroviarie, si nota l'assenza di circa 30 metri di muro: nei primi del Novecento furono abbattuti per motivi di traffico. L'animata strada sul lato opposto, invece, è la moderna via Tiburtina, che nasce in questo punto [rif. pianta 4], leggermente più a sud della sua origine antica presso la porta precedente.
Traversando la piazza, si prosegua lungo la stretta via di Porta Labicana, dove l'antico muro è ancora in piedi e divide la strada dalla ferrovia. Appena superata una bassa fontana, voltatevi indietro ad ammirare l'interessante filare di possenti torri che sporgono ad intervalli regolari.

le mura lungo via di Porta Labicana


tracce della casa romana sopra la fila di mensole
Ad un tratto, per una cinquantina di metri circa, il muro si fa quasi piatto e nella sequenza delle torri una di esse sembra mancare. Si nota una fila di mensole che sporgono e sopra di esse, osservando attentamente la trama dei mattoni, si riconosce la traccia di alcune finestre (ora murate) disposte su due livelli: probabilmente questo è il poco che rimane di una casa romana a tre piani, che una volta era addossata al muro in questo punto.

Invece non rimane alcunché di un'altra particolare formazione, un po' simile al Castrum Praetorium ma di dimensioni più contenute, chiamato il Vivarium. Era un serraglio dove tutti gli animali selvatici usati per combattimenti o per le venationes (cacce) che si svolgevano nel Colosseo venivano tenuti in recinti e/o gabbie. Fino al VI secolo sporgeva dal perimetro delle mura in prossimità di Porta Praenestina.

Nel 537 il generale bizantino Belisario stava difendendo la città durante un assedio degli Ostrogoti, guidati dal generale Vitige, in quale « quindi si recò con molte truppe presso Porta Prenestina, presso quella parte della cinta che i Romani chiamano Vivarium, là dove le mura si offrono più facili all'attacco » [Guerra Gotica, I, XXII]. Questa cronaca scritta dallo storico Procopio di Cesarea, che assistette all'assedio, è l'unica fonte da cui si ricavano informazioni circa la posizione di tale struttura. In altre parti della sua opera si narra come e perché i Goti strinsero d'assedio la città presso il Vivarium; ecco il passaggio in questione:

Ma Bessa e Peranio convocarono Belisario, perché Vitige li stava pressando con grande vigore presso il Vivarium. Ed egli, essendo preoccupato per quella parte del muro (in quanto, com'è stato detto, lì era molto facilmente aggredibile), giunse egli stesso in soccorso, in tutta fretta, lasciando uno dei suoi fidi a Porta Salaria. E scoprendo che i soldati nel Vivarium erano sgomenti per l'attacco del nemico, il quale stava pressando con grande vigore ed in grande numero, ordinò loro di disprezzare il nemico e in tal modo fece loro riguadagnare coraggio. Il terreno lì era molto piatto, pertanto il luogo si prestava agli attacchi degli assalitori. E per caso il muro in quel punto aveva in buona parte ceduto, al punto che i mattoni non si tenevano più bene uniti. All'esterno del primo muro, gli antichi Romani ne avevano costruito un altro più modesto che lo circondava, non per motivi di sicurezza (in quanto non era fortificato con torri, né aveva merlatura sulla sommità, né alcun altro dispositivo che avrebbe reso possibile respingere l'assalto di un nemico dalle fortificazioni), ma per assolvere ad una funzione di un lusso inopportuno, cioè per potervi imprigionare e tenere leoni ed altri animali selvatici. Ed è per tale motivo che questo luogo è stato chiamato il Vivarium; in quanto è così che i Romani chiamano un luogo dove vengono tenuti gli animali selvatici. Così Vitige cominciò ad approntare varie macchine in diversi punti lungo il muro e ordinò ai Goti di sfondare il muro esterno, ritenendo che se fossero penetrati, non avrebbero avuto difficoltà ad aver ragione del muro principale, che sapevano essere niente affatto robusto. Ma Belisario, vedendo che il nemico stava danneggiando il Vivarium e assaltando le fortificazioni in molti punti, non permise ai soldati di difendere il muro né di rimanere ai merli, tranne a pochissimi, sebbene egli avesse con sé i migliori uomini dell'esercito. Invece li approntò tutti in basso, nei pressi della porta, indossanti i corsaletti e con in mano solo le spade. E quando i Goti, dopo aver fatto breccia nel muro, entrarono nel Vivarium, egli mandò subito Cipriano con alcuni altri nel recinto, contro di loro, ordinando loro di darsi da fare. Ed essi uccisero chiunque fosse penetrato, al punto che costoro non opponevano difesa e anzi si sfracellavano l'un con l'altro nell'angusto spazio dell'uscita. E mentre i nemici rimasti sgomenti dall'improvviso capovolgimento degli eventi non rimanevano più schierati in ordine, ma correvano chi in una direzione e chi in un'altra, Belisario improvvisamente aprì le porte del muro perimetrale e inviò il suo intero esercito contro gli avversari. E i Goti non curandosi minimamente di resistere, fuggirono di volata in tutte le direzioni possibili, mentre i Romani, tenendo loro dietro, non ebbero alcuna difficoltà di uccidere chiunque di loro incontrassero, e l'inseguimento durò a lungo, poiché i Goti, nell'assaltare il muro in quel luogo, si erano molto allontanati dai propri accampamenti. Quindi Belisario diede l'ordine di bruciare le macchine degli avversari, e le fiamme, alzandosi ad altezze considerevoli, com'era da aspettarsi, accentuarono lo spavento dei fuggitivi.

Tuttavia l'esatta posizione del Vivarium rimane poco chiara, né l'opera specifica se possedesse ingressi o passaggi dal muro principale. Essendo stato quest'ultimo danneggiato dai Goti, fu restaurato; viceversa, il Vivarium, che era divenuto inutile (benché nel Colosseo continuarono ad avere luogo sporadiche venationes, fino alla fine dello stesso secolo), venne completamente abbandonato ed inseguito ne scomparvero anche i resti.

Poco prima della fine di via di Porta Labicana l'antico muro scompare di nuovo: un tempo qui faceva un gomito a destra, ma poichè avrebbe incrociato in diagonale i binari ferroviari, questo tratto fu demolito. All'arrivo presso l'incrocio con via dello Scalo San Lorenzo si segua il breve sottopassaggio a destra, col quale si supera la ferrovia. All'uscita vedrete di nuovo il muro, con tre grandi fornici moderni (aperti nel XX secolo per ragioni di traffico), seguendo i quali si arriva ad uno dei punti più interessanti del giro: Porta Maggiore [rif. pianta 5].
Qui la più maestosa tra le porte romane antiche ancora esistenti divide un ampio spazio in due distinte piazze adiacenti, piazza di Porta Maggiore (sul versante interno delle mura) e piazzale Labicano (all'esterno).

i tre archi presso piazzale Labicano

Porta Maggiore
Porta Maggiore un tempo era chiamata Porta Praenestina, ma negli anni fu conosciuta anche come Porta Labicana ed anche come Porta Naevia. Era raggiunta sul versante interno da una via di scorrimento importante, via Labicana. Presso il doppio fornice della porta, questa strada formava un bivio: il ramo destro (occidentale) proseguiva con lo stesso nome fino a Labici (cfr. pianta in basso) e poco oltre, in località Ad Statuas, convergeva con la via Latina, arrivando fino a Casilinum (l'attuale Capua, presso Caserta), da cui il nome alternativo di via Casilina che prese forse nell'alto medioevo. Il ramo destro, invece, era la via Praenestina, inizialmente detta via Gabiana, perché si fermava a Gabii, poi rinominata dopo il prolungamento che la vedeva raggiungere Praeneste (l'attuale Palestrina). Pertanto Porta Praenestina era una via d'accesso alla città piuttosto vitale.

Questa struttura era già esistente prima della costruzione delle mura aureliane: proprio come la vicina Porta Tiburtina, descritta a pagina 1, il suo doppio fornice faceva parte dell'acquedotto che l'imperatore Claudio aeva fatto costruire verso la metà del I secolo aC.
Due secoli dopo, quando Aureliano fece edificare i nuovi confini della città, il muro fu unito a questa parte dell'acquedotto, trasformandolo in un'ottima porta cittadina.

le superfici non sono levigate
Avvicinandosi, le dimensioni dell'intera struttura appaiono davvero enormi, giustificando l'appellativo di "maggiore".

↑ percorso delle vie Praenestina, Labicana e Latina
negli immediati dintorni di Roma


← un tratto dell'antica via Praenestina al sesto miglio,
ora nella periferia est di Roma (Tor Tre Teste)

Guardando lateralmente la parte superiore della porta, appaiono chiaramente due condotti in sezione (essendone il resto crollato). Portavano a Roma l'acqua di due sorgenti differenti, l'Acqua Claudia e l'Anio Nuovo (per maggiori dettagli si veda Acquedotti,
pagina 3). Le colonne e le pietra furono lasciate ruvide apposta, per creare un contrasto estetico con la superficie levigata dell'attico, dove un'iscrizione ricorda il nome di Claudio e quello di altri due imperatori, Vespasiano e Tito (79 circa), che fecero restaurare l'acquedotto.

Sotto uno dei due fornici della porta, un breve tratto di basolato romano conferisce al complesso un aspetto molto simile a come doveva apparire nell'antichità. Si noti come le pietre irregolari sono state levigate dall'intenso traffico che entrava e usciva da Roma e come nel tempo carri e carrozze hanno lasciato una profonda impronta lungo la strada. Anche un frammento caduto dalla porta in tempi antichi e semplicemente lasciato lì, tanto da diventare parte della pavimentazione, è attraversato anch'esso dallo stesso solco.




la tomba di Eurisace

(↑ in alto) in doppio condotto idrico
e il basolato romano (a destra →)

Proprio davanti alla porta è un monumento di forma quanto mai insolita, giuntoci purtroppo incompleto: la tomba di Marco Virgilio Eurisace [rif. pianta b] e di sua moglie Atistia, databile al 30 aC circa.
Costui era un ricco pistor, ovvero un panettiere, forse un liberto (ex schiavo che aveva ricomprato la propria libertà), i cui affari erano certamente floridi, essendo fornitore dello stato. Questo spiega il perché di una tomba così importante e particolare, la cui forma riproduce il recipiente in cui veniva impastata la farina.
Le decorazioni nel bordo superiore mostrano scene di panificazione. Sui lati del monumento si legge: QUESTO È IL SEPOLCRO DI MARCO VIRGILIO EURISACE, FORNAIO, APPALTATORE, APPARITORE (quest'ultimo era il sottoposto di una carica pubblica, quale un magistrato o un sacerdote).


↑ in alto: "QUESTA È LA TOMBA DI MARCO VIRGILIO EURISACE"
↓ in basso: scene di panificazione nella parte superiore della tomba del fornaio



Attorno all'anno 400, per facilitare la difesa della porta, l'imperatore Onorio vi edificò una torre da ciascun lato e al centro un piccolo bastione, che inglobava completamente la tomba di Eurisace, sporgendo quindi dagli archi originali; è in questa circostanza che la tomba potrebbe essere stata parzialmente tagliata. La superficie esterna della struttura venne poi rinforzata con la consueta cortina di pietra bianca. Tale assetto si può riconoscere nelle vecchie incisioni che raffigurano la porta (illustrazione a destra). Le finestre della cortina di pietra rivolte verso il fornice che conduceva alla via Praenestina (lato destro) erano situate ad un'altezza maggiore di quelle rivolte verso via Labicana (a sininstra), in quanto il piano stradale delle due vie era verosimilmente su livelli differenti. Pertanto la modifica strutturale onoriana quasi divise il doppio fornice in due passaggi separati, ad altezze disuguali.
Porta Maggiore dall'esterno (incisione di Giuseppe Vasi, metà del Settecento):
si noti il bastione sporgente, le cui finestre erano situate
a livelli differenti, con le due torri ai lati della porta
Qualche tempo dopo il fornice orientato verso via Labicana fu anche murato, per difendere la porta più agevolmente. Questa modifica probabilmente ebbe luogo un secolo dopo che la porta era stata rinforzata, cioè appena prima che Roma fosse assediata dagli Ostrogoti (537); Onorio aveva disposto la stessa misura per Porta Appia e Porta Portuensis, le altre due porte che in origine avevano un fornice doppio.
Col passare del tempo la porta venne a trovarsi completamente circondata da strutture che via via si erano addossate alla formazione originaria (cfr. illustrazione a sinistra).

← lato interno di Porta Maggiore, 1625

Solo nel 1838, quando papa Gregorio XVI decise di restaurare le arcate di Claudio (come ricordato da una grossa targa collocata ad un'estremità della porta), le parti aggiunte furono rimosse, il fornice cieco fu riaperto e fu scoperta la tomba. Negli stessi anni due muri con la parte superiore merlata furono inseriti sotto gli alti fornici allo scopo di ridurne l'altezza, probabilmente per controllarli con maggiore facilità (in basso a destra); attorno al 1915 anche quest'ultimo fu finalmente rimosso. Nel 1956 il piano stradale sotto la porta divenne oggetto di scavi e fu così scoperto il basolato originale.

(↑ in alto) foto d'epoca della porta con i muri merlati, 1900 c.ca
(← a sin.) resti della cortina di pietra bianca del V secolo,
con il dettaglio dei nomi incisi "ARCADIO ET HONORIO"

Un frammento superstite del rivestimento in pietra bianca che proteggeva l'esterno della porta fu collocato a sinistra del doppio fornice (in alto a sin.); reca incisa a grandi lettere la sigla S.P.Q.R ed una lunga iscrizione in latino in cui nella prima riga si citano i nomi degli imperatori Onorio (che regnava sull'Impero Romano di Occidente) e di suo fratello Arcadio (anch'egli regnante sull'Impero Romano d'Oriente), a cui, secondo il testo, furono erette statue su suggerimento di Flavio Stilicone. Quest'ultimo era comandante delle forze armate romane, che aveva sconfitto in più di un'occasione i Visigoti di Alarico, ma che poi, caduto in disgrazia presso lo stesso Onorio per circostanze politiche, nel 408 era stato fatto decapitare dall'imperatore, che ne aveva anche decretato la damnatio memoriae. È quindi alquanto singolare trovarlo citato, se si considera che nell'iscrizione su Porta Tiburtina (così come da altre simili) il suo nome venne effettivamente abraso.
affreschi del fornice a lato della porta

Anche i primi fornici dell'acquedotto ai lati della porta erano ricoperti di intonaco e decorati: uno di essi ha conservato tracce di affreschi nell'intradosso (qui a destra).

Quello di Eurisace non è l'unico sepolcro prospiciente Porta Maggiore: ad una cinquantina di metri dal lato interno sorge una tomba a dado di circa 3 metri di altezza, della cui decorazione originaria rimane solo un tratto del fregio della cornice con rosette di diversa forma alternate a triglifi (tre elementi verticali) e piccoli capitelli corinzi alla sommità delle lesene d'angolo.

la tomba a dado e il suo fregio
A differenza del monumento precedente, questo è di età imprecisata, ma la tecnica costruttiva (opus quadratum, cioè grosse pietre squadrate poste una sull'altra senza calce) e la sua collocazione sono indicative della tarda età repubblicana (secoli II-I aC); nell'antica Roma si usava seppellire i morti ai lati delle principali vie di accesso alla città e prima della costruzione di Porta Labicana questo luogo era effettivamente situato all'esterno dei confini urbani, fuori dell'arcaica Porta Esquilina, ora arco di San Vito (cfr. le mura serviane). Anche il nome di chi vi fu sepolto, forse un tempo indicato da un'iscrizione ormai illegibile collocata sul lato che anticamente guardava la strada, rimane ignoto.