~ la lingua e la poesia ~ - 7 -
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(salta l'introduzione)
Le miracole de Roma è una descrizione sistematica delle cose notabili della Città Eterna, la più antica guida non redatta in lingua latina di cui si abbia notizia. Infatti già da un centinaio d'anni prima della sua compilazione (quindi dalla metà del XII secolo) esistevano edizioni del più famoso Mirabilia Urbis Romae, che però era scritto in latino medioevale, quindi non alla portata di tutti.
Per larga parte della sua esposizione, Le miracole de Roma è in pratica una traduzione del suddetto Mirabilia, come mostra il confronto dei seguenti passaggi:
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Entrambe le opere si compongono di brevi paragrafi, suddivisi per argomenti. Tuttavia il loro numero complessivo è diverso, in quanto Le miracole de Roma ne ha 63, contro i 32 del Mirabilia, ed in effetti il primo contiene non solo un maggior numero di argomenti trattati, ma anche alcune descrizioni aggiuntive che nei rispettivi passi del testo in latino sono assenti. Tuttavia alcuni paragrafi di Le miracole de Roma risultano leggermente più brevi del relativo passaggio nel Mirabilia.
Anche la sequenza dei paragrafi è diversa, come si evince dalla numerazione del suddetto brano sul Campidoglio. Le miracole de Roma comincia col Vatticano e prosegue con alcuni siti importanti (il Campo Marzio, il Foro, il Circo Massimo, ecc.), passando poi alla sistematica trattazione dei monumenti e delle opere cittadine (obelischi, colonne, statue, archi, ponti, e così via), per concludersi con la descrizione dei notai pontifici e delle loro cariche, e con le tredici regioni de Roma, cioè i rioni (cfr. anche I 22 Rioni), che nel Mirabilia Urbis Romae sono assenti.
Questa è anche una delle prime testimonianze scritte, quindi in un certo senso ufficiali, in cui il volgare rivela una chiara linea di demarcazione dal latino; non v'è dubbio che un tale mutamento fosse già in atto da molto tempo nella lingua parlata, ma non in quella scritta, a cui ben pochi avevano accesso, se si esclude il clero, che ancora per diversi secoli avrebbe usato il latino.
Le miracole de Roma mostra un'impostazione decisamente "italiana": l'uso degli articoli, la quasi scomparsa delle desinenze, i verbi e la loro posizione nella frase, preludono chiaramente alla lingua moderna, benché siano ancora molto arcaici, e tutt'altro che disgiunti dal latino, a cominciare dallo stesso nome dell'opera, che parla di miracoli, cioè di "cose da ammirare", secondo l'accezione classica del vocabolo.
Questo testo, e prima di esso il Mirabilia, furono scritti principalmente a beneficio dei pellegrini che durante tutto l'anno giungevano numerosi alla basilica di San Pietro. Dovendo compiere viaggi lunghissimi, pericolosi e spesso massacranti per raggiungere la tomba dell'apostolo, è lecito pensare che molti di costoro, una volta raggiunta la meta, non tralasciassero di compiere almeno una fugace visita alla vicina Città Eterna, di cui si narravano cose meravigliose e leggendarie, prima di mettersi nuovamente in viaggio verso casa. Del resto, la Città Leonina, com'era detto allora il territorio del Vaticano, era solo un piccolo borgo extraurbano sulla riva occidentale del Tevere, essenzialmente formato da modeste casupole, botteghe e ostelli, dove si mescolavano le varie lingue delle comunità straniere ivi residenti (sassone, franca, spagnola, frisone, ecc.).
Alcuni degli argomenti presi in esame, ad esempio i ponti, i colli, le terme, le stesse vie, vengono citati con un mero elenco di nomi:
24. De le vie de Roma. Le vie foro XXVIII: Traiana, Appia, Latina, Lavicana, Penestrina, Tiburtina, Numentana, Salaria Vetere et Nova, Flaminea, Emilia, [...] |
24. Le vie di Roma. Le vie furono 28: Traiana, Appia, Latina, Labicana, Prenestina, Tiburtina, Nomentana, Salaria Vecchia e Nuova, Flaminia, Emilia, [...] |
Ma dei principali monumenti ed edifici viene data anche una descrizione e cenni di storia, spesso intrisa di fantasia. Ad esempio, nel paragrafo 38, De le arcora triumphale de Roma, fra gli altri archi troviamo:
[...] ad Sancto Marco arcus lo quale se voca Manus Carnea. Et in quello tempo Dyoclitianus commannao ke sancta Lucia forse menata et martoriata pro la fede de Christo, et quello ke li ferìa incontenente fo admarmorito, se non solo le mane, ke remasero de carne, et inperzò quello loco ène vocato ad Manus Carneas. | [...] arco presso San Marco, che è detto Manus Carnea. In quel tempo Diocleziano comandò che santa Lucia fosse condotta e martirizzata per via della fede in Cristo, e il carnefice all'istante diventò di marmo, ad eccezione delle sole mani, che rimasero di carne, pertanto quel luogo è detto Manus Carnea. |
In quanto alla struttura della lingua, parlare di "dialetto" potrebbe sembrare troppo presto, sebbene si individuino già diversi fenomeni, in gran parte latinismi, che nel vernacolo di Roma hanno poi finito col rimanere invariati o quasi.
Qualche esempio, che mette a confronto la versione duecentesca con gli equivalenti in dialetto e in italiano:
volgare XII secolo | dialetto | italiano moderno |
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tutti li imperatori de Roma | tutti l'imperatori de Roma | tutti gli imperatori di Roma | ||
commannao · granne · munno | commannò · granne · monno | comandò · grande · mondo | ||
et mo' se clama... | e mo' se chiama... | e adesso si chiama... | ||
solo le mane | solo le mano | solo le mani | ||
de fore | de fora | di fuori | ||
granaro · iennaro · lucernara | granaro · gennaro · lucernari | granaio · gennaio · lucernai | ||
avemo · vedemo · volemo | avemo · vedemo · volemo | abbiamo · vediamo · vogliamo |
È quindi già dialetto, nella misura in cui questo linguaggio attinge alla parlata locale, distinguendosi dal volgare in uso presso altre realtà geografiche, benchè ancora allo stato larvale e tutt'altro che consolidato dalla tradizione.
In conclusione, Le miracole de Roma, che a qualcuno con ironia potrebbe richiamare alla mente il lessico dell'Armata Brancaleone, conserva intatto il fascino un po' misterioso e un po' sgrammaticato del mondo medioevale, ma già individua le basi su cui il dialetto di Roma, secolo dopo secolo, avrebbe preso forma.
1 De lo palazo de Nero. Infra lo palaczo de Nero fo lo templo de dio Apolline, là dov'ène mo' Santa Petronella. Nanti lo quale palaczo ène la basilica la quale se clama Vatticano, et ène adhornata et facta de musivo et de vitro. Et inperzò se clama Vatticano, ka li sacerdoti cantavano le loro sacrificia nanti lo templo de dio Apolline, et inperzò tutta quella parte de la eclesia de Santo Petro se clama Vatticano. Et in quello loco era un altro templo, lo quale era Vestaro de Nero, lo quale se clama Sancto Andrea. Ad lato dov'è la Memoria de Cesare, ène la gulia, dov'è la splendevile cènere de Cesare, suso, ne lo melo. Et sì como, esso vivente, tutto lo munno li fo subiecto, et così, morto esso, fine ad la fine de lo munno starao subiecto ad eo lo munno. La quale memoria fo adhornata de tabole de rame, de sotto, et de lectere 'narate convenevilemente scripte. Et de sopre ad lo melo, dove iace l'ossa de Cesare, fo adhornato de auro et de pretiose prete, la dove fo scripto: Cesar tanto era, quanto tutto lo munno; Et mo' in micina sepultura ène recluso. Et quella memoria fo facta ad lo suo honore, sicomo la dicta memoria appare. |
1 Il palazzo di Nerone. Dentro il palazzo di Nerone sorse il tempio del dio Apollo,
là dove adesso è Santa Petronilla. Davanti a tale palazzo è la basilica
detta Vaticano, ed è adornata e costruita con mosaici e vetro.
E quindi si chiama Vaticano, in quanto i sacerdoti cantavano i loro uffici
davanti al tempio del dio Apollo, perciò tutta quella parte della chiesa
di San Pietro è chiamata Vaticano. E in quel luogo sorgeva un altro tempio,
che era il Vestarium di Nerone, e [ora] si chiama Sant'Andrea.
Su un lato, dove si trova il Monumento di Cesare, è la guglia,
luogo delle splendide ceneri di Cesare, in alto, nella sfera. E così come,
quando egli era in vita, tutto il mondo era a lui sottomesso, così, dopo
la sua morte, sino alla fine del mondo quest'ultimo sarà sottomesso a lui.
Il detto monumento fu adornato di lastre di rame, nella parte inferiore,
e di lettere dorate scritte solennemente. In alto, nella sfera, dove
giacciono le ossa di Cesare, fu adornato d'oro e di pietre preziose, dove
vi fu scritto: Cesare era grande quanto l'intero mondo; ed ora è chiuso
in un piccolo sepolcro. E quel monumento fu costruito in suo onore, come
si evince dalla stessa opera. |
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5 De lo Castiello Adriano. Et ad lato ad quello loco ène lo Castiello lo quale fo templo de Adriano imperatore, si como dice, et legemo, la storia de sancto Pietro. Et dice: La memoria de Adriano imperatore de molte granneze lo templo fo hedificato, et adhornato de granne prete et adhornato de diverse hystorie. Et in torno fo adhornato de cancella 'narate, con pavoni 'narati et uno bove; et li pavoni foro doi, li quali sonno ne lo Cantaro de paradiso. Et in IIIIor parti de lo Castello foro IIIIor caballi de rame 'narati, et in IIIIor parti foro porte de brunzo. Et ne lo giro de mieso fo lo pilo de lo porfiro de Adriano, lo quale stao in Laterani et iaceve Innocentio papa II. Et lo copertime stao in paradiso de Sancto Pietro, sopre lo pilo de lo Profecto. Et tutte queste cose sopre dicte appareano et erano facte pro lo dicto templo, et le polzelle de Roma giano spesso ad lo dicto templo con loro votora, sicomo dice Ovidio in libro Faustorum. |
5 Il Castello [di] Adriano. Ed a lato di quel luogo si trova il Castello che fu tempio dell'imperatore Adriano, come dice, e in essa lo possiamo leggere, la storia di san Pietro. Dice: il tempio presso il mausoleo dell'imperatore Adriano fu costruito di grandi dimensioni, adornato con grandi pietre e con varie storie. Ed intorno fu adornato con cancelli dorati, con pavoni dorati ed un bue; e i pavoni erano due, e sono quelli nel Cantaro del paradiso. Ed ai quattro lati del castello si trovavano quattro cavalli di rame dorato, e ai quattro lati vi erano porte di bronzo. Nel giro centrale era il sarcofago di porfido di Adriano, che ora si trova nel Laterano ed in esso giace papa Innocenzo II. E la volta si trova nel paradiso di San Pietro, sopra la sepoltura del Prefetto. Tutte queste cose anzidette si vedevano ed erano state realizzate per il suddetto tempio, e le fanciulle di Roma si recavano spesso al detto tempio coi loro doni votivi, come riferisce Ovidio nel libro dai Fasti. |
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15 De lo ioco de Circo. Circus Prisci Tarquinii fo de molta belleze, et così fo gradato ke nullo Romano offendea ad l'altro ad vedere lo ioco. Et intorno erano l'arcora ornate de vitro et de auro. Et intorno de sopre erano le case de lo Palazo, dove sedeano le femine ad vedere lo ioco: XIIII dies in kalende de madio se facea lo ioco. Et in meso erano doi agulie; la menore era LXXXII pedes et la maiure CXXIIII pedes. In sumitate ène l'arco triumphale; la dov'è la Torre de l'Arco stava uno cavallo de rame 'narato ke parea ke facesse iusta sì como cavallo ke volesse currere. Et ne l'altro arco, lo quale era in pede, stava un altro cavallo de rame 'narato si como volesse currere. |
15 I giochi del Circo. Il Circo di Tarquinio Prisco era di grande bellezza, ed era digradante così che nessun romano desse fastidio agli altri nell'assistere ai giochi. Ed intorno le arcate erano decorate di vetro e di oro. E più in alto, tutt'intorno, erano gli edifici del Palazzo, dove sedevano le donne che assistevano ai giochi: il quattordicesimo giorno prima delle calende di maggio (il 18 aprile) si tenevano i giochi. In mezzo erano due guglie; la minore era alta 57 piedi, e la maggiore 124 piedi. all'estremità era l'arco trionfale; là dov'è la Torre dell'Arco era un cavallo di rame dorato che sembrava proprio come un cavallo che volesse correre. E presso l'altro arco, che si trovava all'estremità opposta, vi era un altro cavallo di rame dorato, come se avesse voluto correre. |
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16 De le cose ke foro in Circo. Et tutte quelle cose foro portate da Constante imperatore, filio Eurachii, con tutto hornamento facto de rame, le quale portao seco in Sicilia lo tempo de papa Iuliano, et demorao kelle III anni, et poi fo da li soi occiso. Et quelle cose ke tulze ad Roma, li Saracini ke vennero de Alexandria et de Damasco, quelle cose senne portaro le quale foro de Roma. Et ne l'alteze de lo Palazo era la sede de lo imperatore et de la imperatrice, donne se vedeano lo ioco. |
16 Cose che erano nel Circo. Tutte quelle cose furono portate dall'imperatore Costante, figlio di Eurachio, con tutto un ornamento di rame, che egli portò con sé in Sicilia al tempo di papa Giuliano; dimorò lì per tre anni, e poi fu ucciso dai suoi. E quelle cose che appartennero a Roma, e che egli tolse a Roma, se le presero i Saraceni che vennero da Alessandria e da Damasco. Nella sommità del Palazzo era la sede dell'imperatore e dell'imperatrice, da dove assistevano ai giochi. |
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30 De Sancta Maria Rotunda. Ne lo tempo de li consoli et de li senatori, Agrippas prefectus subiugao ad li Romani et ad li senatori quelli de lo Conte de Suave et altri occidentali populi, con quattro legioni; et poi ke retornao ad Roma, la canpana de la statoa de Persida sonao, ke era in Capitolio, ne lo templo de Iovis et de Moneta. Et pro tutte le provincie de lo munno si era in Capitolio una statoa co la canpana ad collo; et incontenente ke la canpana sonava, li Romani connosceano quale provincia era rebella. De la quale canpana, lo sacerdote ke guardava la soa stimana lo templo, odìo sonare la canpana. Disselo ad li senatori. Et li senatori lo dissero ad Agrippas prefecto. Et quello respuse ka non potea tanto fatigare; petìo indutia ad li senatori III dies. Ne lo quale termine una nocte, per lo molto pensamento, se adormìo. Et ad esso aparse una femina, la quale dixe ad esso: "Agrippa, ke pensi et que cogiti?" Et quello respuse: "Penso, Madonna". La quale li dixe: "Confortate et promettime de fare quello templo lo quale mustraraio ad ti, et diceraio se venceragi". Lo quale respuse: "Madonna, volentieri". Et in quella visione li mustrao lo templo in quello modo che lo fece. Lo quale disse ad essa: "Madonna, ki si' tu?". La quale respuse: "Io sonno Cybeles, matre de tutti li dei et faci sacrificio ad Neptuno, co lo quale serraio teco et venceragi". Et Agrippa se levao molto lieto et recitaolo infra li senatori. Et con granne ardimento co la soa cavalaria si gio et vicque tutta Persida, et feceli pacare onne anno tributo ad li senatori de Roma. Et retornao ad Roma et fece quello templo, et fecelo dedicare ad honore de Cybeles matre de tutti li dei, et de Neptuno, dio marino, et de tutte le demonia, et ad quello templo li puse nome Pantheon. Ad honore de Cybeles fece fare una statoa 'narata, la quale puse sopre una pingia 'narata, in cima de lo templo dove stao lo pertuso, et coperio la statua de molto bello cohoperimento de rame 'narato. |
30 Santa Maria Rotonda. Al tempo dei consoli e dei senatori, il prefetto Agrippa, con quattro legioni, sottomise ai Romani ed ai senatori la gente del Conte di Soave ed altri popoli occidentali; e una volta tornato a Roma, la campana della statua di Persia, che era in Campidoglio, nel tempio di Giove e di Moneta, risuonò. Per ciascuna delle province del mondo in Campidoglio vi era una statua con la campana al collo; e non appena la campana suonava, i Romani apprendevano quale provincia era ribelle. La quale campana fu udita suonare dal sacerdote che in quella settimana era di turno per badare al tempio. Lo riferì ai senatori. E i senatori lo riferirono al prefetto Agrippa. E colui rispose che non poteva compiere un tale sforzo; chiese ai senatori una proroga di tre giorni. Entro tale termine, una notte, per il molto riflettere, si addormentò. Ed gli apparve una donna, la quale disse a costui: "Agrippa, a cosa pensi e su cosa rifletti?" E quello rispose: "Sto pensando, mia Signora". Ed ella gli disse: "Abbi fiducia e promettimi di edificare il tempio che ti mostrerò, e ti dirò se vincerai". Ed egli rispose: "Volentieri, mia Signora". E durante quella visione gli mostrò il tempio, nel modo in cui egli lo edificò. Ed egli le disse: "Mia Signora, chi sei tu?". Ella rispose: "Io sono Cibele, madre di tutti gli dei, e fa' un sacrificio a Nettuno, il quale starà assieme con te e vincerai". Ed Agrippa si destò molto lieto e lo raccontò fra i senatori. E con grande coraggio, con la sua cavalleria andò, e fu vittorioso in tutta la Persia, e impose loro un tributo annuale ai senatori di Roma. E ritornò a Roma, edificò quel tempio, e lo fece dedicare in onore di Cibele madre di tutti gli dei, e di Nettuno, dio marino, e di tutte le divinità (pagane), e diede a quel tempio il nome di Pantheon. In onore di Cibele fece realizzare una statua dorata, che collocò sopra una pigna dorata, sulla sommità del tempio dov'era il pertugio, e ricoprì la statua di un bellissimo rivestimento di rame dorato. |
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31 Quanno fo facta ecclesia Sancta Maria Rotunda. Venne poi Bonifatius papa, ne lo tempo de Foca imperatore christiano, et vide quello templo si belledissimo, facto ad honore de Cybeles, matre de tutti li dei. Et molte fiate li christiani erano impedimentiti da le demonia. Et lo papa pregao lo imperatore ke concedesse ad esso quello templo. Et si como fo dedicato in kalende de novembro ad honore de Cybeles, et così lo fece dedicare, quello templo, ad honore de la beata damma sancta Maria sempre virgine, la quale ène matre de tutti li santi. Lo quale templo lo imperatore lo dunao ad lo papa. Et Bonifatius papa, con tutto lo populo romano, ne la die de kalende de novembro, lo dedicao; et adordinao in quella die ke lo papa de Roma ve celebrasse la messa, et lo populo de Roma ve recipesse lo corpo et lo sangue de Christo. Et in quella die tutti li santi co la matre soa, damma sancta Maria sempre virgine, et co li angeli santi aiano festivitate, et li morti aiano parte de tutto lo sacrificio de lo munno pro assolutione de li loro peccati. |
31 Quando Santa Maria Rotonda divenne una chiesa. In seguito venne papa Bonifacio, al tempo dell'imperatore cristiano Foca, e vide quel tempio così meraviglioso, costruito in onore di Cibele, madre di tutti gli dei. E molte volte, i cristiani erano impediti dai demoni. Il papa pregò l'imperatore che gli concedesse quel tempio. E così come alle calende di novembre era stato dedicato in onore di Cibele, così fece dedicare quel tempio in onore della beata signora santa Maria sempre vergine, la quale è madre di tutti i santi. L'imperatore donò tale tempio al papa. E papa Bonifacio, con tutto il popolo romano, lo dedicò il giorno delle calende di novembre; e ordinò che in quel giorno il papa di Roma vi celebrasse la messa, e il popolo di Roma vi ricevesse il corpo e il sangue di Cristo. Ed in quel giorno tutti i santi con la loro madre, signora santa Maria sempre vergine, e con gli angeli santi vengano festeggiati, e che i morti ricevano parte di tutto il sacrificio del mondo per l'assoluzione dei loro peccati. |
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32 De lo caballo Constantino. Ad Laterani ène uno caballo lo quale se clama Constantino; ma non ène vero. Et inpersò ki vole sapere la veritate, lega questo libro. Ne le tempora de li consoli et de li senatori venne uno rege potentissimo in Ytalia da la parte de Oriente, et da la parte de Laterani assidiao Roma, et afflixe lo populo Romano de molte vattalie et de molti periculi. Et in quello tempo uno cavalieri de granne forma et de virtute et forte et ardito se levao, lo quale dixe ad li consoli et ad li senatori: "Se forse alcuno homo ke be liberasse da questa tribulatione, quanto fora remunerato da voi?". Li quali respusero et dixero: "Qualunqua cosa esso addemannasse, incontenente li fora dato". Lo quale dixe ad essi: "Volete ad mi dare XXX sexternas oncie de argento et la memoria de la victoria, complita la vattalia, de uno caballo de rame 'narato?" Et li senatori li impromisero de fare quanto sapea addemannare. Lo quale dixe: "Armeteve tutti et vengate de mesa nocte et stete ne le mura, po li meroli, et facerete quello ke be diceraio". Et li Romani fece incontenente quello ke li dixe. Lo quale cavalcao ne lo cavallo senza sella, et tulze la falce per presori nocti, et vide lo rege ad piedi de uno arbore ad fare suo ascio; et quanno lo rege gia, ne lo arbore stava una cucubaia ke semper cantava. Et quello gessìo de Roma et secava la herba, la quale in fascio portava legata nanti de sì, ad custume de scudieri. Lo quale incontenente ke odìo la cucubaia cantare, adcostaose ad l'arbore et conube lo rege ke venìa ad l'arbore. Et lo rege gìa de sotto ad l'arbore ad fare suo ascio. Et li conpanioni ke erano co lo rege de quello credeano de li soi; presero ad gridare ke esso se levasse de la via nanti ad lo rege. Et quello nollo lassao per essi, ma se infense levare de quello loco et adcostaose ad lo rege, et per la molta soa forteze, desprezao tutti quelli, et prese lo rege co la mano et portaolo pesoli fi ad le mura de Roma, et prese forte ad gridare: "Gescate fore et occidate lo exercito de lo rege, inperzò ka esso tengo in presone!". Et incontenente tutti li Romani gessiero fore, et quali occisero et quali misero in fuga, et tulzero innumerabile peccunia de auro et de argento, et retornao ad Roma con victoria, et pacaro quello ke promisero ad lo dicto cavalieri, XXXM sexterna de argento, et fecero fare uno caballo de rame 'narato senza sella pro memoria, et de sopre ad lo cavallo pusero esso con la dericta mano exstesa, co la quale prese lo rege, et ne lo' capo de lo cavallo pusero la memoria de la cucubaia, per lo canto de la quale fece la victoria. Et lo rege ke era de micina persona, si como lo prese, legate le mano dereto, per suo ardire, la memoria soa fecero et pusero so' lo pede de lo cavallo. |
32 Il cavallo [di] Costantino. Presso il Laterano vi è un cavallo chiamato Costantino; ma ciò non è vero. E perciò chi vuol conoscere la verità, legga questo libro. Ai tempi dei consoli e dei senatori giunse in Italia dalle regioni orientali un re potentissimo, e assediò Roma dal versante del Laterano, e afflisse il popolo Romano con molte battaglia e molti pericoli. A quel tempo un cavaliere di modi cortesi e grande virtù, forte ed ardito si sollevò, e costui disse ai consoli e ai senatori: "Se vi fosse un uomo che vi liberasse da questo travaglio, con quanto sarebbe da voi remunerato?". Essi risposero e dissero: "Qualunque cosa egli domandasse, gli verrebbe dato immediatamente". Egli disse loro: "Volete darmi 30 mila sesterzi 1 di once d'argento e per statua commemorativa della vittoria, portata a termine la battaglia, un cavallo di rame dorato?" I senatori gli promisero di compiere quanto aveva saputo loro chiedere. Egli disse: "Armatevi tutti e venite a mezzanotte e rimanete accanto alle mura, dietro i merli, e farete ciò che vi dirò". E i Romani fecero immediatamente ciò che disse loro. Egli cavalcò su un cavallo senza sella, e per diverse notti prese la falce, e vide il re ai piedi di un albero, ove riposava; e quando il re si recava in quel luogo, sull'albero vi era una civetta che cantava sempre. Costui uscì da Roma, tagliando l'erba, che portava legata in un fascio davanti a sé, all'usanza degli scudieri. Egli non appena udì la civetta cantare, si avvicinò all'albero e riconobbe il re che veniva verso l'albero. Il re si recava sotto l'albero a fare il suo riposo. E i compagni che stavano col re credevano che egli fosse uno della loro gente; cominciarono a gridargli che si togliesse di mezzo davanti al re. Ed egli non lasciò il posto a causa loro, ma finse di allontanarsi da quel luogo, e si accostò al re, e grazie alla sua gran forza, in grande spregio a tutti costoro, afferrò il re con la mano e lo portò di peso fino alle mura di Roma, e cominciò a gridare forte: "Uscite fuori e uccidete l'esercito del re, ché lo tengo inprigionato!". Ed all'istante tutti i Romani uscirono fuori, uccidendo alcuni, mettendo in fuga gli altri, e tolsero loro un'innumerevole quantità di monete d'oro e d'argento, e ritornarono a Roma vittoriosi, e pagarono ciò che promisero al suddetto cavaliere, 30 mila sesterzi d'argento, e fecero realizzare un cavallo di rame dorato senza sella a memoria di ciò, e posero costui sul cavallo con la mano destra stesa, con la quale afferrò il re, e sul capo del cavallo posero la figura della civetta, grazie al canto della quale ebbe la vittoria. E del re che era di corporatura minuta, così come egli lo catturò, con le mani serrate dietro, grazie al suo ardimento, fecero la figura, e la posero sotto lo zoccolo del cavallo. |
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1 - Il vocabolo sexternas è forse un ibrido creato dall'ignoto cronista, fondendo sestertius, moneta romana d'argento del valore originario di 2 assi e mezzo (equivalenti a 5 once, o 1/4 di denario, poi ridotto al valore di 4 once durante le guerre puniche), e sextans, moneta bronzea del valore di 1/6 di asse (2 once). Invece l'apparente discrepanza numerica fra XXX (all'inizio del paragrafo) e XXXM (verso la fine) troverebbe la sua spiegazione nella seguente distinzione: [dal dizionario di lingua latina Bianchi-Lelli, ed. Le Monnier] Tuttavia, il testo dei Mirabilia dice: "Date michi XXX milia sextertias...", quindi potrebbe anche trattarsi di un'omissione del cronista (ma in questo caso sarebbe meglio dire del traduttore) nel volgere in volgare il testo latino. |
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33 Quanno vide la visione Octabiano in celo. Ne lo tempo de Octabiano imperatore, li senatori vedenno esso de tanta belleze, lo quale nullo homo potea sostenere ne li oculi loro, et de tanta prosperitate et de tanta pace ka tutto lo munno facea ad sì tributo; et dixero ka lo voleano adorare, ka santitate era in sì, et se vero non forse, non vènnera prospere tutte le cose ad esso. Et Octabiano dixe, et ademannao termine da li senatori et fece vocare la Sibilla Tybertina ad esso, et tutto quello ke li senatori li aveano dicto, dixe ad la Sybilla. La quale petìo termine tre dii. Et la Sibilla ieiunao tre dii in quello palazo et poi respuse ad Octabiano et dixe: "Misère imperatore, questo ène lo sinno de lo iudicio. Lo tuo sudore refonnerao la terra. De celo deo venire lo rege de lo munno, se licentia forse ad ti de vederelo". Et incontenente fo aperto lo celo et molto splendore descese sopre esso, et Octabiano vide in celo una virgine coronata molto belledissima sopre una altare molto bella, et tenea in brachio uno infante. Et Octabiano senne deo molta mirabilia, et odìo una voce così dicenno: "Questa ène l'altare de lo filio de Dio". Et Octabiano incontenente se iectao in terra et adorao Christo. La quale visione poi dixe ad li senatori, et quelli molta mirabilia senne diero. Et questa visione fo ne la camera de Octabiano imperatore la dov'ène la ecclesia de Sancta Maria in Capitolio, et da quello nanti fo clamata Sancta Maria in Ara Celi. |
33 Quando Ottaviano ebbe la visione in cielo. Al tempo di Ottaviano imperatore, i senatori, vedendolo così magnifico, perché ai loro occhi non aveva uguali, e latore di tanta prosperità e di tanta pace che l'intero mondo gli porgeva tributo, dissero che lo volevano adorare, che in lui vi era santità, e che se ciò non fosse stato vero, egli non avrebbe avuto prosperità in ogni cosa. Ottaviano parlò, e chiese ai senatori un termine, e fece chiamare a sé la Sibilla Tiburtina, e tutto quello che avevano detto i senatori, egli riferì alla Sibilla. La quale chiese un termine di tre giorni. E la Sibilla digiunò tre giorni in quel palazzo, e poi rispose ad Ottaviano e disse: "Misericordia o imperatore, questo è il segno del giudizio. Il tuo sudore [Il tuo operato] rifonderà la terra. Dal cielo deve venire il re del mondo, forse a te è data licenza di vederlo". E in quell'istante il cielo si aprì, e su di lui discese una gran luce, ed Ottaviano vide in cielo una giovane donna incoronata di splendido aspetto su di un altare molto bello, e teneva in braccio un bambino. Ed Ottaviano ne ebbe gran meraviglia, ed udì una voce che così diceva: "Questo è l'altare del figlio di Dio". Ed Ottaviano si gettò immediatamente a terra e adorò Cristo. Poi raccontò questa visione ai senatori, e costoro se ne meravigliarono molto. Questa visione ebbe luogo nella camera di Ottaviano imperatore là dov'è la chiesa di Santa Maria in Campidoglio, e da allora innanzi fu chiamata Santa Maria in Ara Coeli. |
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44 De le porte principale de Roma. Le principale porte de Roma sonno queste, le quale erano de rame dentro, et de fore de ferro: Porta Capena, la quale se clama de Sancto Paulo, ad lato ad lo sepolcro de Remo; Porta Appia, ad la quale aparse Christo ad lo beato Petro, et questa porta abbe doe vie, la via de Accia et la via de Ardia; Porta Latina, la dove sancto Ianni fo messo ne la conca plena de oleo buliente; Porta Metroni; porta Asinarica si ène quella de Laterani; Porta Lavicana, la quale se dice Maiure, et inperzò se dice Maiure, ka sonno doi porte conionte et vicine, sì de fore et sì de dentro, si bene ène manifesto ad quelli ke le vedo bene, et zaskeduna abe la via soa; et l'altra ène clusa, la dov'è la ecclesia de Sancto Barnaba, quella ène la porta Lavicana, et quella via gìa ad civitate Lavicana, la quale fo la dov'è la ecclesia de Sancto Cesari, ke fo antiquo episcopato, lo quale fo de Toscolana; l'altra porta ène..., la quale guarda ad la via Pompeiana voi Pelestrina, la quale via ène alta et spatiosa, ad differentia de quella ke ène la menore, et dicese la maiure; Porta Ta[u]rina, inperzò ke b'ène scolpito uno capo de bove dopplo, secco et verde; lo secco ène de fore et significa quelli ke macri intravano in Roma; lo verde oi lo grasso, de dentro, significa quelli ke gessiano grassi de Roma; et questa porta Ta[u]rina se dice porta Sancto Laurentio voi Tiburtina; Porta Nummentana; Porta Salaria; questa porta ao doi vie: Salaria vetere, la quale vao ad ponte Molli, et la nova, la quale vao ad ponte Salaro; Porta Pinciana; Porta Flamminea; Porta Collina, ad lato ad lo castiello Adriano. Queste sonno le porte de Trastebere: Porta Septemniana; Porta Aurelia voi Aurea; Porta Portuensis. |
44 Le porte principali di Roma. Le principali porte di Roma, che erano di rame all'interno, e di ferro all'esterno, sono le seguenti: Porta Capena, la quale è detta di San Paolo, al lato del sepolcro di Remo; Porta Appia, presso la quale Cristo apparve a San Pietro, e questa porta ha due vie, la via Appia e la via Ardeatina; Porta Latina, là dove San Giovanni fu messo nel calderone pieno di olio bollente; Porta Metronia; Porta Asinaria è quella del Laterano; Porta Labicana, la quale è chiamata Maggiore, e quindi viene detta Maggiore in quanto formata da due porte congiunte e vicine, tanto di fuori che all'interno, come è ben chiaro a chi le guardi con attenzione, e ciascuna ha la propria via; una delle due è chiusa, là dov'è la chiesa di San Barnaba: quella è la porta Labicana, e quella via andava alla città di Labico, che sorse là dov'è la chiesa di San Cesare,1 che fu un antico vescovado della [diocesi] Tuscolana; l'altra porta è...2, la quale è in direzione della via Pompeiana o Prenestina, la quale via è profonda e spaziosa, a differenza dell'altra, minore, ed è detta la maggiore; Porta Taurina, poiché v'è scolpita una doppia testa di bue, ossuta e florida; quella ossuta sta di fuori, e rappresenta quelli [i buoi] magri che entravano a Roma; quella florida o grassa, all'interno, rappresenta quelli che uscivano da Roma pasciuti; e questa porta Taurina è detta Porta San Lorenzo o Tiburtina; Porta Nomentana; Porta Salaria; questa porta ha due vie: Salaria vecchia, che va al ponte Mollo 3, e la nuova, che va al ponte Salario; Porta Pinciana; Porta Flaminia; Porta Collina, al lato del castello Adriano [Adrianeo]. Queste sono le porte di Trastevere: Porta Settimiana; Porta Aurelia o Aurea; Porta Portuense.3 |
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1 - La località potrebbe coincidere con l'odierno San Cesareo, piccolo centro situato lungo la via Casilina (una volta via Labicana) all'incirca dove sorgeva l'antico abitato di Labicum. 2 - Quella di cui è omesso il nome non è una porta a sé, ma solo il fornice orientale della stessa Porta Maggiore, anticamente detta Porta Naevia o Praenestina dalla quale, come dice il testo, originavano due vie separate, Casilina (o Labicana) e Praenestina. Per fotografie ed ulteriori dettagli, anche sulla successiva Porta Tiburtina, vedi Le Mura Aureliane, lato orientale. 3 - Denominazioni attuali: Ponte Milvio - Porta Portese. |
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46 De Primocerio. Primocerio si ène prima mano. Li Greci, de la mano dico chera. Primocerio adpo li Greci dico papia. Et esso deo habere guardia de li clavi de lo palazo, et deo essere honorato adpo lo imperatore. Et de die et de nocte deo stare ne lo palazo. |
46 Primicerio. Primicerio, cioè prima mano. I Greci chiamano la mano chera. Il primicerio presso i Greci è detto papia. Egli deve prendersi cura delle chiavi del palazzo, e dev'essere onorato [come secondo in carica] dopo l'imperatore. E di giorno e di notte deve stare nel palazzo. |
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47 De Secundocerio. Secundocerio si ène secunda mano. Adpo li Greci ène clamato Deptereu. Et deo essere honorato ne lo palazo. Et kello deo stare nocte ed die, et de le corone et de tutte le vestimenta de le feste, le quale se veste lo imperatore, esso le deo avere in guardia. |
47 Secondicerio. Secondicerio, cioè seconda mano. Presso i Greci viene chiamato Deptereu. E dev'essere onorato nel palazzo. E costui deve rimanere [lì] notte e giorno, e deve custodire le corone e tutti i paramenti delle feste con cui si veste l'imperatore. |
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48 De Numenculatore. Numenculator in lengua greca, adpo noi se clama questore. Esso deo avere cura de le vidue, de li orphani et de li poveri, et nanti esso se deo disputare de le testamenta. |
48 Nomenclatore. Nomenclatore in lingua greca,1 presso di noi si chiama questore. Egli deve prendersi cura delle vedove, degli orfani e dei poveri, e davanti a lui devono svolgersi le dispute testamentarie. |
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1 - ciò non corrisponde al rispettivo passaggio nel Mirabilia Urbis Romae, che dice: nomenculator in latino, presso i Greci è detto questore. |
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49 De Primo Defensore. Primus defensore in lengua latina, adpo li Greci se clama prohecdicis, lo quale deo avere homini so ssì, li quali defennano la sedia de lo imperatore. |
49 Primo Difensore. Primus defensor in lingua latina, presso i Greci si chiama prohecdicis, e costui deve avere uomini sotto di sé, i quali difendano la sede imperiale.1 |
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1 - un altro errore, in quanto il Mirabilia parla di sedem imperi, che in volgare è diventato sedia de lo imperatore. |
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50 De Archario. Archarius, lo quale era clamato secreto, et de sapere le secrete cose et le consilia de lo imperatore, et de recoliere lo incenso de lo imperatore. |
50 Arcario. Arcario era chiamato segreto,1 e deve conoscere le cose segrete e le decisioni dell'imperatore, e deve compilare il censo per l'imperatore.2 |
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1 - il Mirabilia Urbis Romae specifica più chiaramente Archarius, cosiddetto da archano (cioè "segreto"),.... 2 - questo potrebbe essere uno strafalcione; lo stesso recoliere lo incenso nel Mirabilia Urbis Romae è descritto come colligere censum ("raccogliere, compilare il censo"). Il traduttore medievale potrebbe aver scambiato "censo" con "incenso" (in latino, tus). Il relativo passaggio dei Mirabilia menziona brevemente anche qualche altra carica: il saccellarius, che si occupava delle suore dei monasteri, il protoscriniarius, primo tesoriere, il bibliothecarius, e il referendarius, che leggeva ufficialmente all'imperatore tutti i testi scritti. |
un altro paragrafo, 2 · De lo Cantaro de Santo Pietro , si trova (con la traduzione)
nella sezione MONOGRAFIE ROMANE - Fontane, I parte, pagina 2
BERNERI |
BELLI |
PASCARELLA |
TRILUSSA |
ZANAZZO |
FABRIZI |
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