~ la lingua e la poesia ~ - 6 -
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Giggi (Luigi) Zanazzo è l'autore il cui impegno letterario ha contribuito a salvare dall'oblio la memoria delle vecchie tradizioni romane più di qualsiasi altro poeta o scrittore.
Da giovane aveva studiato ragioneria, ma ben presto sviluppò uno speciale interesse per il folklore della propria città, che apprendeva dalla viva voce degli anziani, interrogandoli sui vecchi usi e costumi, tradizioni, leggende.
Lavorando alla Biblioteca Nazionale di Roma ebbe l'opportunità di approfondire le sue conoscenze sulla città. Fortemente ispirato dalla lettura di Belli, i cui versi definì "immortali sonetti", Zanazzo cominciò a comporre poesie di suo pugno, usando lo stesso dialetto ruvido che aveva usato il suo autore preferito. Anche le sue tematiche erano principalmente basate sui fatti della vita di tutti i giorni. Dal 1886 al 1888 pubblicò diverse raccolte di poesie, fra cui Proverbi romaneschi, Giggi pe' Roma, e altre. I suoi versi non pungevano tanto quanto quelli di Belli, ma incontravano ugualmente il gradimento dei lettori. Inaspettatamente, il giovane ragioniere si ritrovò famoso fra i poeti romaneschi. |
Nel 1887 fondò una rivista letteraria dialettale chiamata Rugantino, dal nome della famosa maschera della Commedia dell'Arte, ispirata al tipico popolano romano. Negli stessi anni Zanazzo compose anche un certo numero di opere teatrali in dialetto. La sua produzione migliore doveva ancora venire. Nel 1906 pubblicò Novelle, favole e leggende romanesche, e appena un anno dopo il saggio per cui viene maggiornente ricordato, Usi, Costumi e Pregiudizi del popolo di Roma. In quest'ultima opera Zanazzo riportò una grande quantità di costumi locali, giochi, credenze popolari, rimedi tradizionali per molte malattie, indovinelli, giochi di parole, le varie grida dei venditori ambulanti e di mercato di Roma, e dedicò persino un breve capitolo al dialetto giudaico-romanesco. |
« Confesso il vero, mentre una trentina d'anni fa li raccoglievo,» scrisse nella prefazione, « non immaginavo che un giorno mi sarebbero serviti a qualche cosa. (...)
la via dedicata a Giggi Zanazzo è in Trastevere |
In tali occasioni non di rado mi accadeva di udire ora il pregiudizio, ora il rimedio simpatico, ora la leggenda... ora una cosa, ora un'altra, di cui subito pigliavo nota; ma, ripeto, facevo ciò per semplice curiosità, e anche per quella vivissima passione che avevo ed ho per le cose che col popolo hanno attinenza. Tanto ero lontano in quel tempo dall'idea che siffatto materiale potesse interessare, all'infuori di me, altra persona; ed anche perché ignoravo che già dotti ed illustri scienziati (...) attendevano con amorevoli cure a salvare dalle ingiurie del tempo questi documenti intimi della psicologia di un popolo.» |
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Ancora oggi il saggio di Zanazzo viene considerato una delle fonti di informazione più importanti e dettagliate riguardo al vecchio folklore romano. Il suo nome, però, viene ricordato solo da una stradina nel popolare rione di Trastevere.
LA LINGUAFra gli autori dialettali, Zanazzo viene annoverato come il seguace più prossimo di Belli, perché il linguaggio usato nelle sue opere è la fedele trasposizione di quello parlato in strada dalle classi sociali più basse, laddove altri autori del suo tempo, come Pascarella e Trilussa, utilizzavano già un dialetto abbastanza levigato, più tipico della classe medio-borghese. In particolare, Zanazzo scrive molti vocaboli che iniziano per doppia consonante, mentre ciò non avviene praticamente mai da parte degli altri autori a lui coevi. Inoltre, a differenza di Belli e degli altri poeti, che dovevano fare i conti con la metrica e le rime per comporre i propri versi, i saggi di Zanazzo sono in prosa, per cui il testo, libero da qualsiasi vincolo letterario, appare perfettamente coerente con la lingua più genuina parlata dal vecchio popolo di Roma. |
Le vocali accentate sono piuttosto frequenti; esse agiscono da ausilio alla lettura per una corretta pronuncia dei vocaboli dialettali; tuttavia quando una parola contenente una vocale accentata è usata più volte nel testo, l'accento viene a volte omesso, come se il lettore fosse già divenuto consapevole della pronuncia del vocabolo. Zanazzo è forse il primo autore dialettale ad aver stabilmente dimezzato le "r" nei vocaboli che dovrebbero averne due, quali carrozza → carozza, ferro → fèro, vorrebbe → vorebbe. |
Un altro elemento interessante nel testo di Zanazzo è il modo in cui i due articoli er ("il") e un vengono elisi per evitare di pronunciare due diverse consonanti liquide consecutive (...r + l...) o due diverse nasali consecutive (...n + m...), o una nasale e una liquida (...n + l..., ...n + r...). In tali casi l'articolo viene eliso e il vocabolo seguente raddoppia la consonante iniziale. Sfugge a tale raddoppio la sola "r", per i motivi anzidetti.
Viceversa, una consonante liquida e una nasale (...r + m..., ...r + n...) non creano alcun problema e rimangono immutate.
Sebbene tale grafia non trovi riscontro in alcun altro poeta dialettale, compreso Belli, essa rispecchia fedelmente l'effettiva pronuncia romana, come mostra la seguente tabella:
EFFETTIVA | ESEMPIO | |
er l... | → e' ll... | e' llago |
un l... | → u' ll... | u' llimone |
un m... | → u' mm... | u' mmetro |
un n... | → u' nn... | u' nnodo |
...MA | ||
er r... | → e' r... (non e' rr) | e' rospo |
un r... | → u' r... (non u' rr) | u' ramo |
...E | ||
er m... | → (nessuna variazione) | er metro |
er n... | → (nessuna variazione) | er nodo |
La stessa elisione possono subirla anche le preposizioni articolate la cui consonante terminale, nella forma dialettale, è "r", quali ar ("al"), der ("del"), cor ("col"), ecc. se seguite da un vocabolo che inizia per "l", per cui la "r" viene elisa e la "l" raddoppiata: der lume → de' llume.
Nelle prime edizioni delle opere di Zanazzo non è infrequente trovare alcuni vocaboli, soprattutto brevi, la cui grafia tende a mutare nel corso del testo, e.g. pô e pò (per "può"), mmo e mmô ("adesso, ora"), e così via.
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BERNERI |
BELLI |
PASCARELLA |
ZANAZZO |
FABRIZI |
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