~ curiosità romane ~
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l'Isola Tiberina


Il corso del Tevere attraversa il centro di Roma disegnando una doppia ansa; nella parte piu bassa di questo tratto affiora una striscia di terra, detta Isola Tiberina, lunga poco più di 300 metri e larga non più di 90. Ha la forma tipica di un'imbarcazione; ciò ispirò la leggenda secondo la quale l'isola sorgerebbe sul sito di una nave affondata.

veduta dell'Isola Tiberina dall'estremità occidentale, con Ponte Cestio sulla destra
Una versione più conosciuta sin dai tempi antichi dice che quando l'ultimo re di Roma, Lucio Tarquinio Superbo, fu spodestato nel 509 aC, il popolo tentò di distruggere il suo enorme deposito di grano gettandolo nel fiume, ma quello era così abbondante che finì col formare un'isoletta.
Poi, qualche tempo dopo, durante una pestilenza, fu inviata una nave ad Epidauro, in Grecia, dove sorgeva il tempio di Esculapio, dio della medicina. Fu portato a Roma uno dei serpenti sacri alla divinità e quando l'imbarcazione raggiunse questo punto del fiume, l'animale saltò giù sull'isola, che da allora fu dedicata a questa divinità e alla pratica medica.

Per tale ragione vi fu edificato un tempio sacro ad Esculapio e l'isola stessa fu sistemata come una nave. Tutt'intorno aveva i lati rivestiti di travertino, a simulare la prua e la poppa di un'imbarcazione, con scene in rilievo relative alla divinità. Al centro sorgeva un obelisco, di fronte al tempio, a rappresentare l'albero maestro della nave. È ancora incerta la datazione di queste trasformazioni, venendo proposto il III secolo aC o, più verosimilmente, il I secolo aC, in concomitanza con la costruzione dei due ponti.

(da sinistra) veduta aerea dell'Isola Tiberina che ne rivela la forma a nave e un'ipotetica ricostruzione del suo aspetto originale in un'incisione datata 1582

Purtroppo abbiamo solo una vaga idea di come l'isola avrebbe potuto presentarsi nei tempi passati.

i pochi resti della cortina originaria

il serpente balza dalla nave sull'isola
(in alto a destra), presso l'allegoria giacente
del Tevere, in una medaglia del II secolo
Un rinnovato interesse per l'antica Roma spinse diversi artisti del XVI secolo a tentare di riprodurre l'aspetto originale dell'isola, spesso eccedendo un po' con la fantasia, come nell'incisione di Ambrogio Brambilla (1582) mostrata in alto a destra. Tuttavia tali ricostruzioni si basavano sull'esistenza di un maggior numero di resti degli edifici antichi di quanti ne rimangano oggi, pertanto possono ancora essere considerate compatibili con l'antica struttura dell'isola.

Della cortina originale oggi rimangono solo poche tracce, all'estremità orientale dell'isola (qui in alto), mentre non rimane nulla del tempio; dell'obelisco sopravvivono due frammenti nel Museo Nazionale di Napoli e uno a Monaco di Baviera.

L'isola è collegata alla terraferma per mezzo di due antichi ponti romani; era infatti originariamente chiamata insula inter duos pontes (cioè "l'isola tra i due ponti").
Sul lato occidentale, Ponte Cestio (qui a destra) congiunge l'isola al rione Trastevere. Edificato nel46 aC, prese il nome da Lucio Cestio, amministratore civico e fratello di quel Gaio Cestio di lui più famoso per essere stato sepolto nella celebre piramide presso Porta San Paolo.

Ponte Cestio

A metà del ponte, sulla spalletta rivolta a nord, due antiche iscrizioni ricordano altrettanti interventi di restauro. La più grande ed antica, piuttosto consunta, parla dei lavori commissionati nel 370 dagli imperatori fratelli Valente e Valentiniano I nonché dal figlio di quest'ultimo, Graziano; in effetti è da quest'ultimo che il ponte prese il nome ufficiale, mantenendolo fino alla fine dell'Ottocento, in occasione della sua ricostruzione (cfr. dopo).
La targa più piccola, molto più semplice e rozza, risale alla fine del XII secolo e parla di un intervento ad opera del senatore Benedetto Casushomo (o Carissimi), uno dei senatori, amministratori civici, in carica dal 1191 al 1193.

la targa che ricorda il senatore:
« BENEDETTO, SOMMO SENATORE DELLA
NOBILE CITTÀ DI ROMA, RESTAURÒ
QUESTO PONTE QUASI DISTRUTTO
»
Danneggiato dalle inondazioni in diverse occasioni successive, nel 1849, durante l'assedio di Roma da parte delle truppe francesi, il ponte fu deliberatamente distrutto dagli uomini agli ordini di Garibaldi per motivi di difesa.


la forma di Ponte Cestio: com'era (↑ in alto) e com'è oggi (↓ in basso)

Tra il 1888 e il 1892 fu interamente ricostruito (1888-92), utilizzando i frammenti originali, ma la forma del ponte fu modificata, per permettergli di adattarsi ai nuovi muraglioni lungo le sponde del fiume (cfr. anche pagina 3 di questa sezione): le sue estremità inclinate furono parzialmente raddrizzate e i due fornici su cui queste poggiavano vennero allargati, così da equivalere in dimensioni quello centrale. Questa modifica aveva anche lo scopo di lasciar scorrere l'acqua più facilmente di prima, scongiurando il rischio di nuove alluvioni. Fu allora che Ponte Graziano fu rinominato Ponte Cestio.
Tuttavia nel corso del tempo ebbe anche altri nomi comuni, come Ponte San Bartolomeo, dalla maggiore chiesa dell'isola, e Ponte Ferrato, dalle catene con cui erano ancorati i mulini (cfr. la sezione C'era una volta a Roma...).

Sul lato orientale dell'isola, Ponte Fabricio conduce verso la terraferma in Ripa, lo stesso rione di cui l'isola fa parte. Fu edificato nel 62 aC, ed è quindi di poco antecedente a Ponte Cestio: questo gli vale il primato del più antico tra i ponti storici esistenti entro i confini urbani e secondo in assoluto solo a Ponte Milvio, che però un tempo era situato fuori della città, a 2.5 km dalla porta più settentrionale della cinta muraria.
Lucio Fabricio era curator viarum e si occupava quindi delle strade cittadine; il suo nome è inciso a grandi lettere sulla cornice bianca dei fornici del ponte. I nomi di due consoli in caratteri più piccoli (Marco Lollio e Quinto Lepido) vi furono aggiunti in occasione dei primi lavori di restauro al ponte, nel 21 aC.
Dopo l'istituzione del ghetto ebraico (1555), che aveva inizio proprio dove il ponte si congiunge alla terraferma, fu chiamato anche Ponte degli Ebrei.

Ponte Fabricio

Tuttavia dalla gente di Roma viene più spesso chiamato Ponte Quattro Capi, per via di due erme a quattro teste poggianti sulla spalletta, una per lato. Sono di età romana, ma non appartengono alla struttura originale: furono collocate qui alla fine del Cinquecento, sotto papa Sisto V, in occasione di un restauro.
Secondo una leggenda popolare, queste teste sarebbero quelle degli architetti che il papa aveva incaricato di occuparsi del restauro del ponte.
Costoro erano in disaccordo e continuavano a litigare tra di loro. Sisto V, irritato da tale indegno comportamento, li fece decapitare. Ma poiché il ponte era stato restaurato bene, riconobbe la validità del loro operato collocando qui i loro ritratti.

← una delle erme a quattro teste

« LUCIO FABRICIO, FIGLIO DI CAIO, CURATORE DELLE STRADE
SI OCCUPÒ DELLA COSTRUZIONE
[del ponte] »

Il ramo del fiume che scorre sotto Ponte Fabricio è piuttosto esiguo; quando l'amministrazione civica discusse la messa in opera dei muraglioni ed altri lavori (1871-75), qualcuno perfino suggerì di riempire il letto del fiume su questo lato, lasciando che il Tevere scorresse solo sotto Ponte Cestio: ciò avrebbe comportato la scomparsa dell'isola, che sarebbe divenuta tutt'uno con la riva orientale del fiume. Per fortuna il progetto non ebbe seguito.

Le antiche tradizioni mediche dell'isola, connesse al culto di Esculapio, non si estinsero col tempo. All'inizio del medioevo, quando il tempio era già in rovina, l'Isola Tiberina divenne sede di un ricovero, gestito da frati, dove i malati ricevevano le cure del caso. Questa popolare istituzione un po' alla volta si trasformò in un vero e proprio istituto ospedaliero, il Fatebenefratelli, fondato nel 1584 e tutt'ora attivo.
Invece l'altra metà dell'isola è in larga parte occupata da una piccola piazza, chiusa ad un'estremità da San Bartolomeo all'Isola. Nelle piante di Roma dei secoli XVIII e XIX l'Isola Tiberina è infatti citata come Isola di San Bartolomeo. Fu fondata sulle rovine dell'antico Tempio di Esculapio attorno all'anno 1000 dall'imperatore tedesco Ottone III per custodirvi i resti di Sant'Adalberto di Praga. Attorno al 1200 vi fu sepolto anche San Bartolomeo e da allora la chiesa fu intitolata a quest'ultimo martire. Benché ricostruita nel 1624 dopo essere stata gravemente danneggiata da una piena alla metà del Cinquecento, conserva ancora l'originale campanile romanico del XII secolo. Sotto il portico, una piccola targa segna il livello raggiunto dall'acqua nel corso dell'ultima inondazione che Roma ricordi, datata 17 dicembre 1937 (si parla di alcuni reperti nella chiesa anche nella monografia Fontane e nella sezione C'era una volta a Roma...).
San Bartolomeo all'Isola, con la guglia in primo piano

Al centro della piazza sorge una guglia a quattro facce, con le statue di San Bartolomeo, San Francesco d'Assisi, San Paolino da Nola (protettore dei molini fluviali, a cui viene popolarmente attribuita anche l'invenzione delle campane da chiesa) e San Giovanni di Dio (santo spagnolo, fondatore dell'Ordine Ospedaliero, anche detto dei Fate-Bene-Fratelli). La guglia commemora anche l'apertura del Concilio Vaticano I (1868).
Durante l'alto medioevo al posto dell'obelisco, ormai caduto, fu innalzata una colonna sormontata da una croce cristiana, rappresentazione simbolica del trionfo del cristianesimo sull'antica civiltà pagana. La colonna guardava verso la chiesa di San Bartolomeo così come un tempo l'obelisco guardava il tempio; fino alla metà del XIX secolo, il 24 agosto vi si affiggeva la lista dei nomi di coloro che non avevano adempiuto al Precetto Pasquale (cioè l'annuale confessione e comunione obbligatorie in tempo di Pasqua), affiché fossero esposti al pubblico ludibrio. Poi nel 1867 una carrozza vi andò a cozzare contro, danneggiando la colonna a tal punto che Pio IX la fece rimuovere e rimpiazzare con la suddetta guglia.

Sempre durante il medioevo, la famiglia Pierleoni edificò al centro dell'isola una casa-fortezza, che abitò dal X al XII secolo, quando passò ai Caetani, che vi rimasero fino al 1470. Tutto ciò che rimane oggi è la torre, situata proprio all'estremità di Ponte Fabricio. È detta anche Torre della Pulzella per via di un frammento di età romana, una piccola testa raffigurante una giovane, affissa sul lato della costruzione che guarda verso il suddetto ponte.

Dirimpetto alla torre è la chiesa di San Giovanni Calibita, di antichissima origine, anche se l'edificio attuale risale ai secoli XVII-XVIII. Al suo interno si conserva un'immagine del Duecento detta Madonna della Lampada, un tempo collocata in riva al fiume, a cui viene attribuito un prodigio che si dice abbia avuto luogo nel 1557: durante una delle frequenti inondazioni, la fiamma di una lampada presso l'immagine avrebbe continuato ad ardere, benché sommersa dalle acque. Una copia di questa immagine la si vede alla base del campanile.

(↑ in alto) la Casa dei Caetani e
(← a sin.) la piccola testa detta "la Pulzella"

Per mezzo di una rampa di scale si scende al livello del fiume, sull'ampia banchina, costruita nei primi anni del Novecento, che circonda l'isola come una piattaforma consentendo di farne il giro completo a piedi. Qui tanto i romani che i turisti amano passeggiare, prendere il sole e, soprattutto in estate, frequentare iniziative culturali come festival cinematografici, concerti, ecc. Questo è anche un ottimo punto per osservare bene dal basso gli antichi ponti.

Subito dopo l'isola, appena più a valle lungo il corso del fiume, un'altra interessante testimonianza del passato è il cosiddetto Ponte Rotto, le cui vicende sono raccontate in una pagina della sezione C'era una volta a Roma....


veduta dell'isola dall'estremità sudorientale; sulla sinistra, dopo Ponte Cestio, attraversa
il letto del fiume uno sbarramento subacqueo realizzato nel 1994 per ridurre la forza della corrente