~ la lingua e la poesia ~
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introduzione al
DIALETTO ROMANESCO

ESCLAMAZIONI
E INTERIEZIONI




Quella che segue è una selezione delle numerose esclamazioni ed espressioni enfatiche curiose del dialetto romano.
Alcune di esse possono apparire assai dure (anche se nessuna ha in realtà un significato veramente malevolo). Inoltre, in un contesto linguistico italiano, molte di esse suonano come piuttosto scurrili; ciononostante, in dialetto vengono comunemente usate, e non solo dal popolino.

NOTA: si è fatto uso di lettere accentate, per agevolare i lettori non romani nella pronuncia di quei vocaboli la cui grafia risulterebbe altrimenti dubbia; si tenga presente, però, che nella letteratura molte di esse non sono realmente usate.


ammàzza!
ammàzzelo! ~~~ ammàppelo!

Questa è un'esclamazione di sorpresa, tanto in senso positivo che negativo, corrispondente all'esclamazione "accidenti!". Pur essendo l'imperativo del verbo "ammazzare", è del tutto priva di significato malevolo o violento.
Può essere usata da sola, oppure per introdurre una frase esclamativa relativa al motivo di tanta sorpresa, ad es. ammàzza, quanto magni! = "accidenti quanto mangi!", ecc. Può anche essere rivolta direttamente alla causa dello stupore (persona o cosa che sia), apponendo all'espressione di base, cioè al verbo, la relativa particella pronominale. Poiché nel modo imperativo dei verbi l'ultima "a" è spesso cambiata in "e" (cfr. grammatica), anche in questo caso si possono avere due forme facoltative. La frase precedente, ad esempio, potrebbe diventare:
ammàzzate o ammàzzete, quanto maggni! (rivolta all'interlocutore);
ammàzzalo o ammàzzelo, quanto maggna! (rivolta ad una terza persona maschile);
ammàzzala o ammàzzela, quanto maggna! (rivolta ad una terza persona femminile);
ammàzzave o ammàzzeve, , quanto maggnate! (rivolta ad interlocutori multipli);
ammàzzali o ammàzzeli, quanto màggneno! (rivolta ad altri).
Per mitigare la durezza dell'espressione è talvolta corrotta in Ammàppete!, ecc., poiché perde la sua radice originale, riducendone però al tempo stesso anche il primitivo vigore (che dipende in gran parte dal suono sibilante della doppia "z").





anvédi!
anvédi che... ! ~~~ anvédi si cche... !

Piuttosto simile all'espressione precedente, anvédi! è un grido di sorpresa nel vedere o nell'assistere a qualcosa particolarmente notevole, o comunque strana, o degna di stupore.
È la corruzione enfatica di "vedi!", usata sempre al singolare.
Può essere pronunciata da sola (anvedi!), oppure può aprire la frase in forma anvedi che... (o anvedi si cche...), col significato di "Guarda un po' che...", ad es. anvedi si cche ppioggia! ("Caspita, che pioggia!")
Anche le espressioni anvedi che robba! oppure anvedi si cche robba! equivalgono quella semplice, essendo robba un vocabolo-jolly che può indicare qualsiasi cosa.




cazzo!
e cche ccazzo!
nun capì (vedé, sentì, costà, ecc.) un cazzo

Il termine di per sé indica l'organo genitale maschile, ma questa espressione è usata con due significati diversi:



che culo!
che bbùcio de culo!
avere culo

In alcuni dialetti italiani la parola "culo", oltre ad indicare la regione del fondoschiena, ha il significato di "fortuna, buona sorte"; quindi l'espressione ha il senso di "che gran fortuna!". Il dialetto romano, però, spesso enfatizza l'espressione ampliandola a: "che bbùscio de culo!", dove "bùcio" (che Belli scrive bùscio, per marcarne la pronuncia della "c" molto struciata) corrisponde all'italiano "buco".
A volte è usato con una valenza negativa: nel giocare a carte o in qualsiasi attività competitiva, gli avversari commenterebbero la vittoria: macché bbravo, quello è bbùcio de culo!.
Diversamente da altre espressioni, questa viene anche comunemente usata con il verbo avecce ("averci") e debitamente coniugata, cfr. anche la grammatica.
Qualche persona pudica ne usa la variante più castigata, che bbùcio! (senza completare l'espressione); ma, oltre ad essere meno efficace, paradossalmente tale forma sposta ancora di più l'attenzione sul... dettaglio anatomico.




ciccia ar culo!
Tipica espressione dal significato di "non me ne importa niente!", usata in qualsiasi circostanza, sempre pronunciata con orgoglio, quasi in senso di sfida verso la persona a cui è rivolta: nun vòi venì? ciccia ar culo!, cioè "non vuoi venire? chi se ne importa!"
A volte viene accorciata in "ciccia!", che risulta però meno vigorosa dell'espressione per esteso.




mannàggia!
mannàggia la miseria!

Esclamazione di rammarico equivalente all'italiano "accidenti!" o "maledizione!".
Nasce da una contrazione di "mal n'aggia", cioè "ne abbia male", che però ha perso nel tempo il suo significato più duro, ed è considerata, anzi, un'espressione del tutto bonaria.
Può essere usata da sola, o rivolta a qualcosa di generico, più tipicamente mannàggia la miseria! Una forma più mitigata, venuta affermandosi in tempi moderni, è mannàggia li pesscetti! (più usata dalle donne, o comunque quando non si vuole apparire grevi).
In alternativa, può essere più specificamente rivolta a qualcuno o qualcosa in concreto: mannàggia 'sto tempaccio!, nei confronti di un brutto clima atmosferico, o persino rivolta a sé stessi: mannaggia a mme e quanno jj'ho ddato retta! ("maledizione a me e quando gli ho dato retta!").




me cojoni?
È una domanda retorica usata come esclamazione di meraviglia, dal significato di "mi prendi in giro?", usata nell'apprendere una notizia inattesa, o nel venire a conoscenza di qualche cosa particolarmente strana, o curiosa, ecc.
Viene dal verbo romano cojonà = "prendere in giro, burlarsi".
La domanda non prevede risposta, anzi è pronunciata di solito con la stessa intonazione con cui si pronuncia un'esclamazione.




monta quassù che vvedi Roma!
Il senso di questa esclamazione appare assai esplicito se, nel profferirlo, si avrà cura di battere col palmo di una mano sull'altro braccio semiflesso nel celebre gesto dell'ombrello: il "quassù" si rivela dunque una simpatica metafora. Se ad esempio un amico vuole che andiate con lui ad un raduno di bungee jumping, a meno che non siate voi stessi degli scavezzacollo, questa espressione potrebbe rappresentare una valida risposta.
"Monta quassù che vedi Roma" è anche il titolo di una raccolta di poesie del poeta romano Giulio Cesare Santini (1955).



li mortacci tua (sua, vostri, loro)
Questa comunissima imprecazione è usata in un certo numero di situazioni: In qualche caso, invece, l'espressione può essere allungata nella forma l'anima de li mortacci tua, e perfino l'anima de li mejo mortacci tua, "li mortacci tua e de tu' nonno in cariola", e così via, più enfatiche e "barocche" nella loro lunghezza che realmente malevole (a tale proposito si veda anche La canzone romana, "Alimò e Taccitù").




te pòssin'ammazzà!
te pòssin'ammazzàtte!
che tte pòssino!

Tipica espressione che, nonostante corrisponda a "possa tu (egli, ella, ecc.) essere ucciso", nasconde dietro questo augurio in apparenza truce un significato assolutamente innocuo.
La congiunzione enfatica "che" è spesso usata per introdurre l'espressione: "Che tte pòssin'ammazzà!".
Altrettanto spesso, il pronome relativo usato all'inizio dell'espressione viene ripetuto come suffisso pronominale -te, -lo, ecc. dopo il verbo, per dare un'enfasi ancora maggiore: te pòssin'ammazzàtte, lo pòssin'ammazzàllo, ve pòssin'ammazzàvve, e così via.
Di solito è usato con un senso di rimprovero, sia duro che blando: ad es. nel chiamare il proprio figlio discolo una madre direbbe: viè quà, te pòssin'ammazzàtte! (nel senso di "vieni qua, furfante!").
Ma talora è anche usato come pura esclamazione, priva di qualsiasi significato malevolo: nel rivedere un amico dopo tanti anni si potrebbe esclamare: Come stai? Che tte pòssin'ammazzàtte..., che suona come "Accidenti! Come stai?".
In una forma ancora più mitigata, la seconda parte dell'espressione viene solo sottintesa: "te pòssino!..." o "che tte pòssino!...".




me pòssino cecàmme!
Molto simile all'espressione precedente, l'invocazione "mi possano rendere cieco" è usata per certificare che qualcosa che è stata appena riferita è assolutamente veritiera ed autentica, essendone il significato per esteso "che io possa rimanere cieco se ciò che ho detto non è la pura verità".
È una comune risposta data a chiunque sollevi obiezioni riguardo ad un'affermazione fatta, che possa sembrare strana, o incredibile, o semplicemente una balla.




pijà un córpo
te pijàsse 'n córpo!
m'ha ppijàto 'n córpo

Il termine "córpo" (sempre pronunciato con le "o" molto chiuse), ha il significato di "colpo apoplettico".


vammorì ammazzato!
L'invito "vai a morire ucciso" è ancora una volta un'espressione dal significato assai più bonario di quanto potrebbe sembrare a un non romano.
Viene indirizzato a colui che abbia suscitato un senso di disapprovazione. È comunemente usato nella seconda persona singolare e può essere anche volta al femminile (vammorìammazzata!).
Assai spesso si usa introdurre l'espressione con la congiunzione enfatica ma, sempre ponendo un forte accento sulla pronuncia del gruppo "va": ...ma vvammorì ammazzato!.
Ne è anche ammesso l'uso come sostantivo, accorciato in mor'ammazzato, col significato di "odioso, maledetto, turpe", ad esempio: quer mor'ammazzato de mi' fratello m'ha ffregato centomila lire (cioè "quel disgraziato di mio fratello mi ha rubato centomila lire").




vàttel'a ppijà 'n der culo!
pijàssela 'n der culo

L'invito suona "vattela a prendere nel culo!", ma è solo un'esclamazione scherzosa, usata in diverse circostanze, specialmente quando ci si sente burlati o raggirati da qualcuno, proprio come il vammorì ammazzato! precedente.
Può essere usata alla prima persona singolare, vedi sopra, o alla seconda persona plurale (annàtevel'a ppijà 'n der culo!) quando indirizzata a due o più persone.

Più o meno la stessa espressione ("prendersela nel culo") viene anche usata in senso di "rassegnarsi", "arrangiarsi", "accettare le conseguenze", "far buon viso a cattiva sorte"; in questo caso può essere usata con qualsiasi persona, singolare o plurale. Se rimaniamo senza benzina e non c'è un distributore nei paraggi... beh, non ci resta che andare a piedi e pijàccela 'n der culo!


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