~ la lingua e la poesia ~ - 11 - introduzione al DIALETTO ROMANESCO ESCLAMAZIONI E INTERIEZIONI |
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Quella che segue è una selezione delle numerose esclamazioni ed espressioni enfatiche curiose del dialetto romano.
Alcune di esse possono apparire assai dure (anche se nessuna ha in realtà un significato veramente malevolo). Inoltre, in un contesto linguistico italiano, molte di esse suonano come piuttosto scurrili; ciononostante, in dialetto vengono comunemente usate, e non solo dal popolino.
NOTA: si è fatto uso di lettere accentate, per agevolare i lettori non romani nella pronuncia di quei vocaboli la cui grafia risulterebbe altrimenti dubbia; si tenga presente, però, che nella letteratura molte di esse non sono realmente usate.
ammàzza!
ammàzzelo! ~~~ ammàppelo!
Può essere usata da sola, oppure per introdurre una frase esclamativa relativa al motivo di tanta sorpresa, ad es. ammàzza, quanto magni! = "accidenti quanto mangi!", ecc. Può anche essere rivolta direttamente alla causa dello stupore (persona o cosa che sia), apponendo all'espressione di base, cioè al verbo, la relativa particella pronominale. Poiché nel modo imperativo dei verbi l'ultima "a" è spesso cambiata in "e" (cfr. grammatica), anche in questo caso si possono avere due forme facoltative. La frase precedente, ad esempio, potrebbe diventare:
ammàzzate o ammàzzete, quanto maggni! (rivolta all'interlocutore);Per mitigare la durezza dell'espressione è talvolta corrotta in Ammàppete!, ecc., poiché perde la sua radice originale, riducendone però al tempo stesso anche il primitivo vigore (che dipende in gran parte dal suono sibilante della doppia "z").
ammàzzalo o ammàzzelo, quanto maggna! (rivolta ad una terza persona maschile);
ammàzzala o ammàzzela, quanto maggna! (rivolta ad una terza persona femminile);
ammàzzave o ammàzzeve, , quanto maggnate! (rivolta ad interlocutori multipli);
ammàzzali o ammàzzeli, quanto màggneno! (rivolta ad altri).
anvédi che... ! ~~~ anvédi si cche... !
È la corruzione enfatica di "vedi!", usata sempre al singolare.
Può essere pronunciata da sola (anvedi!), oppure può aprire la frase in forma anvedi che... (o anvedi si cche...), col significato di "Guarda un po' che...", ad es. anvedi si cche ppioggia! ("Caspita, che pioggia!")
Anche le espressioni anvedi che robba! oppure anvedi si cche robba! equivalgono quella semplice, essendo robba un vocabolo-jolly che può indicare qualsiasi cosa.
e cche ccazzo!
nun capì (vedé, sentì, costà, ecc.) un cazzo
- come esclamazione, in caso di rammarico ("accidenti! che disdetta!..." ecc.), o di forte determinazione positiva ("era ora! finalmente! questo sì va bene!..." ecc.), nel qual caso è spesso ancor più rinforzata in e cche ccazzo!; ancora una volta, il vigore di questa espressione è di natura fonetica, legato alla doppia "z" (come pure per ammazza!) e non al significato letterale del vocabolo;
- col significato di "proprio nulla", "assolutamente niente", ecc., nel qual caso è sempre inserita in una frase negativa: nun ce sta un cazzo da fà (cioè "non c'è proprio niente da fare"), oppure nun vale un cazzo ("non vale assolutamente nulla"), e così via. A volte è anche usato come rafforzativo: da stammatina nun ho maggnato un cazzo de ggnente ("da questa mattina non ho mangiato assolutamente niente"), oppure nun passava un cazzo de autobusse e ssò ito a ppiedi ("non passava neppure un autobus e sono andato a piedi").
Sempre nell'ambito di questa accezione, ...un cazzo! preceduto da qualcosa che si reputa non vera o grossolanamente sbagliata ha anche il valore dell'espressione italiana "...un corno!": va bbene un cazzo! ("va bene un corno!", "non va affatto bene!"), oppure ricco un cazzo, so' ppieno de bbuffi ("ma quale ricco, sono pieno di debiti!").
che bbùcio de culo!
avere culo
A volte è usato con una valenza negativa: nel giocare a carte o in qualsiasi attività competitiva, gli avversari commenterebbero la vittoria: macché bbravo, quello è bbùcio de culo!.
Diversamente da altre espressioni, questa viene anche comunemente usata con il verbo avecce ("averci") e debitamente coniugata, cfr. anche la grammatica.
Qualche persona pudica ne usa la variante più castigata, che bbùcio! (senza completare l'espressione); ma, oltre ad essere meno efficace, paradossalmente tale forma sposta ancora di più l'attenzione sul... dettaglio anatomico.
A volte viene accorciata in "ciccia!", che risulta però meno vigorosa dell'espressione per esteso.
mannàggia la miseria!
Nasce da una contrazione di "mal n'aggia", cioè "ne abbia male", che però ha perso nel tempo il suo significato più duro, ed è considerata, anzi, un'espressione del tutto bonaria.
Può essere usata da sola, o rivolta a qualcosa di generico, più tipicamente mannàggia la miseria! Una forma più mitigata, venuta affermandosi in tempi moderni, è mannàggia li pesscetti! (più usata dalle donne, o comunque quando non si vuole apparire grevi).
In alternativa, può essere più specificamente rivolta a qualcuno o qualcosa in concreto: mannàggia 'sto tempaccio!, nei confronti di un brutto clima atmosferico, o persino rivolta a sé stessi: mannaggia a mme e quanno jj'ho ddato retta! ("maledizione a me e quando gli ho dato retta!").
Viene dal verbo romano cojonà = "prendere in giro, burlarsi".
La domanda non prevede risposta, anzi è pronunciata di solito con la stessa intonazione con cui si pronuncia un'esclamazione.
"Monta quassù che vedi Roma" è anche il titolo di una raccolta di poesie del poeta romano Giulio Cesare Santini (1955).
- come esclamazione di rammarico o di rimprovero verso una persona, ciò che alcuni reputano un'ingiuria piuttosto pesante;
- come esclamazione di disdetta quando si subisce un evento sfortunato (inciampare su un sasso, farsi cadere di mano un oggetto di valore, ecc.): in questo caso l'espressione viene solitamente rivolta verso l'oggetto stesso;
- come esclamazione più generica, riferita tanto a persone che a qualche evento particolare (di solito con un senso negativo); in tal caso è possibile accorciare l'espressione così da evitare il riferimento a chicchessia: li mortacci!...", più o meno come "accidenti!"
te pòssin'ammazzàtte!
che tte pòssino!
La congiunzione enfatica "che" è spesso usata per introdurre l'espressione: "Che tte pòssin'ammazzà!".
Altrettanto spesso, il pronome relativo usato all'inizio dell'espressione viene ripetuto come suffisso pronominale -te, -lo, ecc. dopo il verbo, per dare un'enfasi ancora maggiore: te pòssin'ammazzàtte, lo pòssin'ammazzàllo, ve pòssin'ammazzàvve, e così via.
Di solito è usato con un senso di rimprovero, sia duro che blando: ad es. nel chiamare il proprio figlio discolo una madre direbbe: viè quà, te pòssin'ammazzàtte! (nel senso di "vieni qua, furfante!").
Ma talora è anche usato come pura esclamazione, priva di qualsiasi significato malevolo: nel rivedere un amico dopo tanti anni si potrebbe esclamare: Come stai? Che tte pòssin'ammazzàtte..., che suona come "Accidenti! Come stai?".
In una forma ancora più mitigata, la seconda parte dell'espressione viene solo sottintesa: "te pòssino!..." o "che tte pòssino!...".
È una comune risposta data a chiunque sollevi obiezioni riguardo ad un'affermazione fatta, che possa sembrare strana, o incredibile, o semplicemente una balla.
te pijàsse 'n córpo!
m'ha ppijàto 'n córpo
- In te pijàsse un córpo! il vero significato non è affatto quello del cattivo augurio,
"ti prendesse un colpo!", ma è solo un'esclamazione diretta a qualcuno che ha suscitato un senso di delusione o di rabbia: l'avversario che vince la partita, l'esattore del fisco che bussa alla porta, il gatto che ruba il prosciutto, ecc. ecc.
Inoltre, può venire usata anche come esclamazione generica, senza alcun senso di rammarico, come per l'espressione anzidetta te pòssin'ammazzàtte!.
- La terza forma ha un significato abbastanza diverso, nonostante contenga lo stesso concetto metaforico di "prendere un colpo": è usata per "essere molto spaventati o preoccupati" da parte di qualcosa o qualcuno, spesso usata per le situazioni più differenti: ad esempio dopo un forte ed improvviso rumore, oppure temendo di aver perso il portafogli, oppure al tardare del rientro a casa di un figlio, un tipico commento potrebbe essere: m'ha ffatto pijà un córpo! (cioè: "mi ha fatto prendere un colpo!").
Viene indirizzato a colui che abbia suscitato un senso di disapprovazione. È comunemente usato nella seconda persona singolare e può essere anche volta al femminile (vammorìammazzata!).
Assai spesso si usa introdurre l'espressione con la congiunzione enfatica ma, sempre ponendo un forte accento sulla pronuncia del gruppo "va": ...ma vvammorì ammazzato!.
Ne è anche ammesso l'uso come sostantivo, accorciato in mor'ammazzato, col significato di "odioso, maledetto, turpe", ad esempio: quer mor'ammazzato de mi' fratello m'ha ffregato centomila lire (cioè "quel disgraziato di mio fratello mi ha rubato centomila lire").
pijàssela 'n der culo
Può essere usata alla prima persona singolare, vedi sopra, o alla seconda persona plurale (annàtevel'a ppijà 'n der culo!) quando indirizzata a due o più persone.
Più o meno la stessa espressione ("prendersela nel culo") viene anche usata in senso di "rassegnarsi", "arrangiarsi", "accettare le conseguenze", "far buon viso a cattiva sorte"; in questo caso può essere usata con qualsiasi persona, singolare o plurale. Se rimaniamo senza benzina e non c'è un distributore nei paraggi... beh, non ci resta che andare a piedi e pijàccela 'n der culo!