~ la lingua e la poesia ~ - 11 - introduzione al DIALETTO ROMANO |
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giugno 2014 |
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10. I VERBI
- Se cade sulla penultima sillaba (vocabolo piano), si applica la stessa regola anzidetta e la "e" accentata ha sempre un suono chiuso:
avere
cadere
volere
godere
sapere
potere
avé
cadé
volé
godé
sapé
poté
- Per i verbi sdruccioli, con un accento sulla terzultima sillaba, il vocabolo romano perde "...re", mantenendo la vocale tonica originale:
essere
prendere
credere
cuocere
ridere
crescere
èsse
prènne
créde
còce
ride
crésce
In pochi casi lo stesso fenomeno si verifica anche per verbi del gruppo precedente, che hanno così due possibili forme:
vedere
sedere
vede oppure vedé
sede oppure sedé - La prima persona plurale (sempre -iamo in italiano) perde la "i" e prende la vocale propria della coniugazione: "a" per la prima, "e" per la seconda e "i" per la terza.
guardiamo
cadiamo
dormiamo
pensiamo
ripetiamo
sentiamo
guardàmo
cadémo
dormìmo
penzàmo
ripetémo
sentìmo
- La terza persona plurale cambia la desinenza da -ano in -eno per la gran parte dei verbi, indipendenemente dalla loro coniugazione:
guardano
cadono
dormono
pensano
ripetono
sentono
guàrdeno
càdeno
dòrmeno
pènzeno
ripèteno
sènteno
Per i verbi la cui lultima consonante prima dell'inflessione è "c" o "g" è necessario inserire una "h", così da mantenere il suono velare (gutturale, duro) della consonante:
pescano
tengono
dicono
pagano
péscheno (non pesceno)
tèngheno (tièngheno)
dìcheno
pàgheno
Tuttavia, pochi verbi, tra i quali potere e volere, ecc. hanno una terza persona plurale regolare: possono, vojono, ecc. - Essere:
io sono
noi siamo
voi siete
essi/esse sono
io sò
noi sèmo
voi séte
loro sò
- Avere:
noi abbiamo
noi avémo - Fare:
io faccio
noi facciamo
io fo
noi famo
- Piacere:
essi/esse piacciono
loro piàceno
- Potere:
noi possiamo
possono
noi potémo
loro pònno
- Venire:
tu vieni
egli/ella viene
veniamo
vengono
tu vènghi per assonanza con vengo
lui/lei viè
noi venìmo
loro vèngheno come per i verbi regolari
- Per verbi come conoscere, uscire, ecc., nei quali la prima persona singolare esce in ...sco, anche la seconda singolare esce spesso in ...schi, per semplice assonanza con la prima persona:
tu lo conosci
quando esci da casa
tu lo conoschi
quanno èschi de casa oppure quann'èschi de casa
- Il verbo andare alla prima persona plurale fa annamo, ma a livello di dialetto parlato subisce assai spesso l'aferesi in 'namo, anche se non preceduto da altro suono, specialmente quando ha valore esortativo. Questa forma resta soggetta a tutte le altre regole fonetiche, quali il raddoppio enfatico della "n" iniziale, l'elisione della "o" finale quando
seguita dalla preposizione a, ecc. ecc.
andiamo?
andiamo a casa
andiamo, che si fa tardi!
annàmo? oppure 'namo?
annàm'a ccasa oppure 'nam'a ccasa
annàmo, che sse fa ttardi! oppure 'namo che sse fa ttardi!
Tale forma non compare mai nei testi degli autori maggiori.
Sono qui di seguito elencati i principali tempi verbali nella loro versione romana.
Si tenga presente che nel lessico del popolano medio raramente ricorrono i tempi più "sofisticati", quali ad esempio i congiuntivi, e spesso esistono più forme diverse per una medesima inflessione verbale.
A beneficio del lettore sono stati marcati graficamente i corretti accenti delle varie voci verbali; si tenga conto, però, che in letteratura molto spesso vengono usate vocali semplici.
INFINITO
Tutti i verbi della prima e della terza coniugazione (...are e ...ire) perdono l'ultima sillaba, divenendo tronchi:
Come si è già detto nei paragrafi precedenti, Belli scelse di scriverli con l'ultima lettera accentata, anziché con l'apostrofo. Esistono a tal proposito più scuole di pensiero; d'altronde nessun dialetto ha regole ortografiche fisse.
andare
venire
guardare
parlare
sentire
fare
dire
dare
annà
venì
guardà
parlà
sentì
fà
dì
dà
La perdita dell'ultima sillaba dell'infinito viene da molti considerata un'apocope, che non richiede alcun apostrofo. Ma è necessario usare la vocale accentata per segnalare al lettore che si tratta di una parola ossitona, cioè con accento tonico sul'ultima sillaba. In queste pagine si è scelto di seguire questo stesso orientamento.
Tuttavia autori successivi, quali Pascarella e Zanazzo, hanno utilizzato sia la vocale accentata che l'apostrofo dell'elisione (colonna a sinistra), tranne per i verbi monosillabi, per i quali è sufficiente l'apostrofo.
Trilussa, invece, ha curiosamente usato la vocale accentata per i verbi polisillabi (apocope), mentre per i monosillabi ha preferito l'apostrofo (elisione); solo per "dare" la grafia più frequente ha sia la vocale accentata che l'apostrofo:
Pascarella, Zanazzo
annà'
venì'
guardà'
parlà'
sentì'
fa'
di'
da'Trilussa
annà
venì
guardà
parlà
sentì
fa'
di'
dà' (più di rado: da')
Nel dialetto antico, quando l'infinito del verbo non era seguito da altro suono, prendeva spesso per epitesi la sillaba -ne, ad esempio: che vvai a ffane? (per "che vai a fare?"); ma in seguito si è usata sempre meno, per cui che vvai a ffà? è diventata la forma standard.
Per i verbi della seconda coniugazione (...ere), la forma romana dipende da dove cade l'accento nel vocabolo italiano.
Quando l'infinito si lega ai pronomi atoni mi, ti, lo, la, ci, vi, li, le, con i verbi della prima e terza coniugazione la consonante del pronome raddoppia, sostituendo la r del verbo (assimilazione). Si tengano a mente anche le trasformazioni di mi in me, ti in te, ecc., già discusse in precedenza):
Anche col pronome atono je, che in dialetto romano traduce gli, le e loro, la j raddoppia. Dopo Belli, però, i successivi autori hanno in buona parte abbandonato tale raddoppiamento grafico.
tirarmi
sentirvi
pagarci
curarla
aprirli
parlarvi
tiràmme cioè tirà + me con "m" raddoppiata
sentìvve
pagàcce
curàlla
aprìlli
parlàvve
Per la seconda coniugazione, i pronomi atoni raddoppiano la consonante solo se il verbo è piano, cioè se ha l'accento sulla penultima sillaba (come in sapere, cadere, volere, ecc.). Con quelli sdruccioli (chiedere, vincere, ecc.) non c'è alcun raddoppio.
dargli · darle · dare loro
sentirgli · sentirle · sentire loro
pagargli · pagarle · pagare loro
curargli · curarle · curare loro
dàjje (Belli) o dàje
sentìjje (Belli) o sentìje
pagàjje (Belli) o pagàje
curàjje (Belli) o curàje
saperti
chiederle
caderci
vincermi
volervi
sapétte
chièdeje
cadécce
vìnceme
volévve
Quando i verbi sdruccioli all'infinito si legano a un pronome atono, il risultato è identico all'imperativo per la seconda persona singolare (cfr. anche dopo, imperativo), tranne quando il pronome è vi (perché non avrebbe senso) e si.
prendermi prènneme che traduce anche prendimi chiuderti chiùdete che traduce anche chiuditi crescerlo crésscelo che traduce anche crescilo stenderla stènnela che traduce anche stendila cuocergli còceje che traduce anche cuocigli, cuocile, cuoci loro scriverle scrìveje che traduce anche scrivigli, scrivile, scrivi a loro venderci vénnece che traduce anche vendici chiedervi chièdeve chiedivi non avrebbe alcun senso porgere loro / porgergli pòrgeje che traduce anche porgigli, porgile, porgi loro credersi crédese sedersi sedésse perdersi pèrdese
MODO INDICATIVO
PRESENTE
Nei verbi regolari il presente non cambia di molto, seguendo semplicemente le regole fonetiche già discusse:
salta
vendo
credi
mangia
prendete
sarta
vénno
credi
maggna
prennéte da non confondere con prènnete = prenderti e prenditi
Si hanno modifiche sostanziali solo per due persone:
Per i verbi essere (èsse in romano) e avere (avé), invece, il tempo presente indicativo ha qualche differenza in più.
Sono qui di seguito menzionate solo le inflessioni che si discostano da quelle dell'italiano:
DIALETTO MODERNOSpecialmente quando avere è usato come verbo ausiliario nel formare tempi composti, il romano moderno a volte contrae le inflessioni, per elisione (hai → ha') o per sincope, perdendo la sillaba centrale (avemo → àmo, avete → àte).
hai fatto
abbiamo fatto
avete fatto
ha' fatto
àmo fatto
àte fatto
Questo fenomeno non compare mai negli autori classici, ma sta divenendo via via più frequente nel dialetto contemporaneo.
Alcuni altri verbi irregolari:
-
FUTURO
- la terza persona singolare esce spesso come in italiano con -ò (prima coniug.) e -ì (terza coniug.);
- la terza persona singolare della seconda coniugazione esce spesso in -ette;
- la prima plurale di tutte le coniugazioni esce spesso in -assimo, -essimo -issimo;
- la seconda plurale di tutte le coniugazioni esce spesso in -assivo, -essivo -issivo;
- la terza plurale di tutte le coniugazioni esce spesso in -orno (o -nno), -erno, -irno
Non ci sono modifiche.
Solo nel verbo andare il digramma "dr" è sempre allungato in "der":
andrò
andremo
andranno
anderò
anderémo
anderànno
Per lo stesso motivo, nel verbo potere si assiste spesso (ma non sempre) ad anologhe modifiche: Belli infatti a volte inserisce la "e", a volte no (come pure gli autori successivi).
potrò
potremo
potranno
poterò
poterémo
poterànno
IMPERFETTO
Per le persone singolari non vi sono modifiche (ferme restando le regole fonetiche generali), ma la prima e seconda persona plurale, che in italiano hanno le desinenze -vamo e -vate, in dialetto classico divengono rispettivamente -mio e -vio, con l'arretramento dell'accento tonico di una sillaba.
eravamo
avevamo
andavamo
prendevamo
sentivamo
ricordavate
bevevate
finivate
èrimo
avémio
annàmio
prennémio
sentìmio
aricordàvio
bevévio
finìvio
Le forme -mio e -vio, usate da Belli e da Pascarella, nel corso del Novecento sono cadute in disuso nel dialetto moderno.
Invece la terza persona plurale dell'imperfetto, che in italiano esce in -ano, in romano ha solitamente la desinenza -eno; in pochi casi Belli usa quella regolare italiana.
erano
avevano
andavano
prendevano
sentivano
èreno
avéveno
annàveno
prennéveno
sentìveno
CONSIDERAZIONI SULL'USO DI "CI"Davanti a verbi che cominciano per vocale, il pronome ci si lega graficamente alla voce verbale (tranne nei casi in cui ci ha valore riflessivo, vedi sotto):
ci riesci?
non ci andiamo
ci riprova
ci abitano
lo fate di nuovo? (ci rifate?) 2
ciarièschi? 1
nun ciannàmo
ciaripròva
ciàbbiteno
ciarifàte?
1. - Si tenga presente che in romano molti verbi esprimenti una reiterazione cominciano per a-, per cui l'abbinamento di ci + verbo con vocale iniziale è ben più frequente di quanto si verifichi in italiano.
2. - In romano il verbo rifarci viene usato tanto nel senso generico di "fare qualcosa un'altra volta" che, soprattutto, nell'accezione di "provare di nuovo", "reiterare un tentativo fallito", "esser recidivi nel commettere un fallo commesso", ecc. In tali casi viene anche comunemente usato il verbo rigiocarci (in romano ariocàcce), per cui secondo la regola anzidetta ciarifàte potrebbe anche dirsi ciariocàte?
Se però ci è usato con la prima persona plurale (quindi con valore riflessivo), si trasforma in se, subendo un'elisione se il verbo comincia per vocale, ma comunque non legandosi al verbo come accade con ce.
Si presti attenzione al confronto fra i seguenti esempi:
ci andate a prendere qualcosa?
ci andiamo a comprare una birra?
ci andiamo (andiamo lì)
ma...
ci vedete?
ci vediamo in piazza
ci vediamo anche di notte
ciannàte a ppijjà cquarche ccosa?
s'annàmo a ccrompà 'na bbira si noti l'inversione della "o" con la "r"
ciannàmo
sce vedéte?
se vedémo in piazza
sce vedémo puro ar buio
A proposito di tale regola si parla anche in NOTE GENERALI DI SINTASSI
PASSATO REMOTO
La forma più comune in romano è in ...ssimo per la prima persona singolare e ...é per la terza singolare, ma possono esistere altre forme diverse, con variazioni molto capricciose, senza una regola specifica. Le seguenti tabelle per i verbi essere e avere sono ricavate da Belli.
io fui
tu fosti
egli/ella fu
noi fummo
voi foste
essi/esse furono
io fui
tu fussi
lui/lei fussi
noi fùssimo
voi fùssivo
loro furno oppure funno
io andai
tu andasti
egli/ella andò
noi andammo
voi andaste
essi/esse andarono
io aggnéde
(manca)
lui/lei aggnéde
noi aggnédimo (teorico)
voi aggnédivo (teorico)
loro aggnédero
Per molti verbi le inflessioni più stabili sono:
egli/ella guardò
egli/ella vendé
egli/ella finì
noi mangiammo
noi vedemmo
noi dormimmo
voi portaste
voi credeste
voi sentiste
essi/esse passarono
essi/esse misero
essi/esse uscirono
lui/lei guardò
lui/lei vennétte
lui/lei finì
noi maggnàssimo
noi vedéssimo
noi dormìssimo
voi portàssivo
voi credéssivo
voi sentìssivo
loro passòrno oppure passonno
loro mettérno
loro usscìrno
MODO CONGIUNTIVO
PRESENTE
Raramente usato (è quasi sempre sostituito dal presente indicativo). Tutte le persone del singolare escono in -i, anche quando l'italiano esce in -a (seconda e terza coniug.); al plurale segue le desinenze italiane, meno la seconda, che si comporta come il presente indicativo.
io alzi
tu alzi
egli/ella alzi
noi alziamo
voi alziate
essi/esse alzino
io arzi
tu arzi
lui/lei arzi
noi arziàmo
voi arzàte
loro àrzino
io venga
tu venga
egli/ella venga
noi veniamo
voi veniate
essi/esse vengano
io viènghi o vènghi
tu viènghi o vènghi
egli/ella viènghi o vènghi
noi venìmo
voi venìte
loro viènghino o vènghino
PASSATO
Non è comunemente usato; al singolare la terza tende a uscire con tutte le persone del singolare in -assi, -essi, -issi, mentre al plurale per le prime due persone ripete le desinenze del passato remoto, ma la terza esce in -assino, -essino, -issino.
io mangiassi
tu mangiassi
egli/ella mangiasse
noi mangiassimo
voi mangiaste
loro mangiassero
io maggnàssi
tu maggnàssi
lui/lei maggnàssi
noi maggnàssimo
voi maggnàssivo
loro maggnàssino
MODO CONDIZIONALE
PRESENTE
Più usato del congiuntivo, ha desinente abbastanza stabili. Si riportano come esempio quelle di essere, avere e mandare.
io sarei
tu saresti
egli/ella sarebbe
noi saremmo
voi sareste
essi/esse sarebbero
io sarìa
tu saréssi
lui/lei sarébbe
noi saréssimo
voi saréssivo
loro sarébbeno
io avrei
tu avresti
egli/ella avrebbe
noi avremmo
voi avreste
essi/esse avrebbero
io averìa
tu averéssi
lui/lei averébbe
noi averéssimo
voi averéssivo
loro averébbeno
io manderei
tu manderesti
egli/ella manderebbe
noi manderemmo
voi mandereste
essi/esse manderebbero
io mannerìa
tu manneréssi
lui/lei mannerébbe
noi manneréssimo
voi manneréssivo
loro mannerébbeno
DIALETTO MODERNOIn tempi più recenti la prima persona singolare ...ia è cambiata in ...ebbe (come la terza persona singolare in italiano), talora ancor più corrotto in ...ebbi: io annerebbe o io annerebbi (anziché io annerìa) io metterebbe (anziché io metterìa), io darebbe, ecc.
MODO IMPERATIVO
Per lo più, ricalca la forma italiana.
Per i verbi regolari, se la seconda persona singolare è seguita dai pronomi atoni mi, ti, lo, la, ci, vi, li, le, la terzultima vocale del verbo spesso muta in e (laddove in italiano è sempre "a" o "i"). Si noti che Belli non sempre usa questa regola.
vendilo
mettile
cambiala
sentile
lavati
guidalo
vénnelo
méttele
càmmiela
sèntele
làvete
guìdelo
Anche quando la prima persona plurale, con valore esortativo, è legata a un pronome atono, cambia l'ultima vocale in -e- (cfr. gli esempi senza pronome):
beviamo
beviamoci un fiasco
andiamo
andiamoglielo a dire
leviamoci di mezzo
nascondiamolo qua sotto
compriamole un gelato
bevémo
bevémese un fiasco ma anche bevémose
annàmo
annàmejel'a ddìma anche annàmojel'a ddì
levàmese de mezzo ma anche levàmose
nasconnémelo qua ssotto ma anche nasconnémolo
compràmeje un gelato ma anche compràmoje
Si tenga presente che, come già detto, il dialetto romano non fa alcuna distinzione fra ...gli, ...le, loro: divengono tutti ...je (equivalente puro di ...gli).
Dunque, scrivigli, scrivile e scrivi loro in romano divengono tutti e tre scriveje.
Nelle frasi affermative il pronome atono si unisce al verbo, tanto in italiano che in dialetto (pronome enclitico). Tuttavia nella frase negativa l'italiano ammette due forme, una col pronome enclitico, una col pronome proclitico (davanti al verbo, come vocabolo): non toccarlo! e non lo toccare!. Il dialetto romano preferisce la seconda forma:
Anche i verbi irregolari in genere rispettano la forma imperativa italiana (con eventuali cambi per soli motivi fonetici); fra le poche eccezioni comunemente usate è vieni!, che diventa viè!, corri! che diventa curre! e le persone del verbo essere, sii! e siate!, che diventano rispettivamente èssi! e séte!:
non vestirti!
non ti vestire!
non guardarla!
non la guardare!
non prenderli!
non li prendere!
nun vestìtte! poco usata
nun te vestì!
nun guardàlla! poco usata
nu' la guardà!
nun prènneli! poco usata
nu' li prènne!
vieni qua, non farmi perder tempo!
corri, che ti prendono!
sii generoso, regalami questo libro
viè cquà, nu mme fa ppèrde tempo!
curre, che te pìjjano!
èssi ggeneroso, arigàleme 'sto libbro
PARTICIPIO PASSATO
É molto importante, non già per l'uso fine a sé stesso quanto per il fatto di formare ai tempi composti, in particolare al passato prossimo, che nel dialetto romano (soprattutto quello moderno) è un tempo molto comunemente usato.
ho lavato
avevi bevuto
avevano capito
saranno venuti
ho llavàto
avevi bbevùto
aveveno capìto
saranno venùti
Si segnalano anche sporadiche contrazioni: ad esempio, creduto può diventare créso.
GERUNDIO
Il romano fa poco uso del gerundio, rendendone spesso il concetto con tempi narrativi, quasi delle perifrasi, per le quali viene fatto un uso enfatico della congiunzione che. Queste forme saranno successivamente trattate nel paragrafo NOTE DI SINTASSI.
Per quanto riguarda le trasformazioni fonetiche subìte dalle vere forme di gerundio, di solito consistono nella trasformazione di ...ndo in ...nno, come già spiegato in SOSTITUZIONI DI LETTERE E GRUPPI.
bevendo
mangiandosi
ridendo
piangendo
riscaldando
bevènno
maggnànnose
ridènno
piaggnènno
ariscallànno
FORME VERBALI RIFLESSIVENel formare il riflessivo (lavarsi, vestirsi, ecc.), se il verbo ha l'infinito tronco, cioè con la lettera accentata, nel dialetto romano il digramma "rs" si trasforma in "ss" .
Si rammenti che il pronome riflessivo si in romano diventa se, come già detto in SOSTITUZIONI DI LETTERE E GRUPPI:
pettinarsi sdraiarsi vestirsi lavarsi perdersi credersi tingersi |
pettinàsse sdraiàsse vestìsse lavàsse pèrdese crédese tìggnese |
Si tratta, cioè, dello stesso fenomeno già descritto per i pronomi atoni (cfr. sopra, INFINITO).
VERBI CHE ESPRIMONO UNA REITERAZIONE DELL'AZIONEAi verbi che esprimono una reiterazione, in genere inizianti per ri- (rivedere, ricominciare, riprendere) accade spesso che in romano si anteponga una "a", creando il suono ari-:
riprendere
riporre
rimbalzare
ritornare
ricominciare
ariprènde
aripóne
arimbarzà
aritornà
aricomincià
Ciò accade anche ad alcuni verbi che in italiano hanno un inizio foneticamente affine (ri-, re-, ra-) ma che ciononostante non esprimono una reiterazione vera, o addirittura non la esprimono affatto:
riconoscere
raccontare
raccogliere
riflettere
ricordare
ariconósce
ariccontà
ariccòje
arifrètte
aricordà
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.....gnente scherzi, se semo intesi?
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