~ la lingua e la poesia ~ - 11 - introduzione al DIALETTO ROMANO |
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giugno 2014 |
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4. DITTONGHI E TRITTONGHI
Invece due forti consecutive (-ae-, -ao-, -oa-, ecc.) formano sempre uno iato, cioè le vocali appartengono a sillabe diverse. Anche le combinazioni debole + forte (o viceversa) in qualche caso formano uno iato anziché un dittongo, in particolare quando l'accento cade sulla vocale debole (Luìgi, diluìre, proteìne) e quando la vocale "i" appartiene a prefissi quali ri-, bi-, tri- (ad esempio: riaprire, biennale, triangolo).
Un dittongo è formato dall'incontro di una vocale forte e di una debole (-ai-, -au-, -ei-, -eu-, ecc.) o al contrario debole + forte (-ia-, -ua-, -ie-, ecc.) o anche debole + debole (-iu-, -ui-). Se a un dittongo si unisce un'ulteriore vocale debole si ha un trittongo (-iuo-, -uoi-).
vocali forti
a e ovocali deboli
i u
Tre vocali consecutive all'interno di una medesima sillaba non sono quasi mai compatibili con la pronuncia romana, che ama i suoni cadenzati, e che quindi interviene accorciando o alterando il vocabolo.
Nel caso dei pronomi possessivi miei, tuoi, suoi, sono possibili due forme:
miei
tuoi
suoi
mii (Belli) oppure mia
tui (Belli) oppure tua
sui (Belli) oppure sua
Talora la seconda forma viene applicata anche ai plurali nostri e vostri, per associazione fonetica con i precedenti:
i tuoi libri, i vostri libri
i miei amici, i nostri amici
li libbri tui, li libbri vostri, meno spesso li libbri mia, li libbri vostra
l'amichi mii, l'amichi nostri, meno spesso l'amichi mia, l'amichi nostra
I vocaboli contenenti trittonghi che subiscono questa contrazione sono abbastanza pochi.
Anche nei vocaboli che contengono il dittongo -uo- si verifica lo stesso fenomeno, nel qual caso è la vocale "u" ad essere perduta, mentre la "o" rimanente viene segnata con un accento grave o circonflesso, anche per distinguere ciò che rimane da altri vocaboli simili:
aiuola
buono
puoi
vuoi
fuoco
tuoni
ajola
bono in quanche caso con la vocale accentata: bòno o bôno
pòi oppure pôi
vòi oppure vôi
foco oppure fôi
toni oppure tòni o tôni
La vocale accentata per esprimere il suono largo della "o" è necessaria solo qualora esista il rischio di confondere il vocabolo con uno simile ma col suono di "o" stretta, ad esempio pòi (per puoi) da poi (avverbio di tempo).
Quando una sequenza di tre vocali ne contiene due forti, come in buio, noia, ecc. ovviamente non si tratta di un trittongo e quindi la contrazione non ha luogo (possono però aver luogo altri tipi di corruzione). Tuttavia una "i" compresa tra altre due vocali diverse quasi sempre cambia graficamente in "j" (come sopra in ajola):
noia
guaio
abbaiare
noja
guajo
abbajà
In qualche raro caso la contrazione avviene anche con altri dittonghi:
miele
mèle
Quasi sempre i dittonghi diversi da -uo- si mantengono tali quali: ad esempio, piede, bianco, fiato, ecc. restano immodificati (cfr. anche dopo, CAMBIO DI I CON R).
Rari altri dittonghi e iati vengono invece corrotti mediante l'inserimento di una consonante (epentesi). Il caso più frequente è quello del dittongo -au- e dello iato -ao- in cui viene inserita una "v":
paura
paonazzo
Paolo
piòlo
pavura
pavonazzo
Pavolo
piròlo
In altri casi ancora, al dittongo italiano non ne corrisponde uno in dialetto, perché il vocabolo viene corrotto in tutt'altro modo:
bue, buoi
bove, bovi
5. LA PRONUNCIA DI "CE" E "CI"
All'interno delle parole, il digramma (gruppo di due lettere) "ce" all'inizio di parola o preceduto da vocale viene pronunciato in modo molto scivolato, come "sce", tanto che Belli usa tale grafia:
cena
aceto
piacere
dice
cento
invece
scena (Belli), pronunciata con la "e" stretta
asceto (Belli)
piascere (Belli)
disce (Belli)
scento (Belli)
invesce (Belli)
Da notare che nel contesto di una frase, o comunque quando preceduta da un articolo scena (cena) si riconosce da scena (con la "e" aperta) perché la "s" iniziale di quest'ultima raddoppia, mentre nel primo vocabolo non raddoppia mai: la scena, una scena (la cena, una cena) e la sscena, una sscena (la scena, una scena).
Invece quando "ce" è preceduto da consonante (carcere, torce, vince, ecc.) la pronuncia è la stessa che in italiano.
Lo stesso vale per il digramma "ci", il cui suono Belli rende aggiungendovi una "s". Tale grafia non è seguita da altri autori, fermo restando che la pronuncia rimane la stessa, cioè col suono molto strusciato.
medicina
diciassette
cipolla
mediscina (Belli)
disciassette (Belli)
scipolla (Belli)
Anche quando "ci" è seguito da una vocale, Belli ne rende il suono aggiungendovi una "s", mentre altri autori lasciano la pronuncia all'esperienza del lettore.
bruciato
ciabatta
ufficio
camicie
(ab)brusciato (Belli)
sciavatta (Belli)
uffiscio (Belli)
camisce (Belli) (perde la "i" perché diventa ridondante dopo l'aggiunta della "s")
Quando "ci" è usato nel senso di "ivi", diventa ce e prende il suono già detto (ma non se è preceduto da consonante):
ci sta ~ non ci sta sce sta ~ nun ce sta (Belli), ce sta ~ nun ce sta ci sono sce sò (Belli), ce sò ci vuole sce vò (Belli), ce vò
Se però "ci" è usato come pronome riferito alla prima persona plurale, in dialetto romano diventa se: se famo (per ci facciamo, cfr. anche il paragrafo successivo).
Il suono di "ce" o "ci" si mantiene identico a quello italiano quando la "c" subisce il raddoppio fonosintattico, ad esempio dopo l'infinito apocopato dei verbi:
lì ci sta ~ lì non ci sta
andarci
dicci
se ci veniamo
e ci siamo
perché ce lo chiedete?
lì cce sta ~ lì nun ce sta
annacce
dicce
si cce venìmo
e cce sémo
perché cce lo chiedete?
6. SOSTITUZIONI DI LETTERE
Molti vocaboli vengono storpiati mediante alcuni cambi di lettera.
- cambio di L con R
Nelle parole in cui la lettera "l" precede una consonante, la prima normalmente diviene "r" (sempre pronunciata molto dura e arrotata):
calcio
palmo
falce
alto
carcio
parmo
farce
arto
Ciò vale anche per i monosillabi che terminano in "l":
il
al
quel
col
er
ar
quer
cor
In alcuni casi "l" diventa "r" anche quando è preceduta da una consonante, singola o doppia:
plico
clima
flemma
applicare
prico
crima
fremma
appricare non sempre
Tale cambio non avviene mai, invece, se la "l" è doppia: palla, collo, ballo, ecc. rimangono tali e quali.
Un'eccezione è costituita dalla parola altro che cambia in antro, con "n", anche se nel dialetto romano contemporaneo si ascolta anche artro.
Anche il femminile e i plurali cambiano nello stesso modo:
altro
altra
altri
altre
antro
antra
antri
antre
- cambio di MB con MM e di ND con NN (assimilazione)
Quando la M è seguita da B e ancor più spesso quando la N è seguita da D, la seconda consonante si trasforma nella prima (raddoppiata) per assimilazione:
gamba
cambio
ambasciatore
quando
andato
mando
gamma
cammio
immasciatore (Belli) forma divenuta obsoleta
quanno
annato
manno
- cambio di LD con LL
Similmente, caldo di solito diventa callo (ma in accordo al suddetto cambio di "l" con "r" potrebbe di rado diventare cardo ), ecc. Il cambio avviene anche nelle parole composte contenenti "caldo" o "calda":
scaldaletto
riscaldato
caldarroste
scallaletto
riscallato o ariscallato (vedi anche VERBI)
callarroste anche dette callalésse
In altri vocaboli, invece, il digramma "ld" diventa "rd", secondo la regola precedentemente descritta:
falda
soldi
farda
sòrdi
- cambio di I con E (e viceversa)
In molti monosillabi contenenti la "i", questa diventa "e":
il
di
ti
ci
er (e la "l" cambia anche in "r", secondo quanto sopra)
de
te
ce
Anche i vocaboli dito, dita in romano diventano deto, deta.
La "i" cambia in "e" anche nelle seguenti particelle pronominali:
mi
ti
gli
ci
vi
me
te
je (vedi CAMBIO DI GL CON JJ)
ce (come già detto)
ve
Anche si (pronome riflessivo) diventa se; al contrario, se (condizionale) diventa si:
se si girano
si vendono
sai se viene?
si se ggireno
se vénneno
sai si vviè?
- cambio di S con Z
Quando un vocabolo comincia per "s" seguita da una vocale, la consonante prende un suono sibilante e spesso viene enfatizzata, per cui si rende con "z" (sempre pronunciata dura, come "ts"), particolarmente quando preceduta da vocaboli terminanti per consonante (er, in, ner):
il soldato
il sugo
il serpente, i serpenti
sul tetto
er zordato
er zugo
er zerpente, li serpenti
sur tetto oppure in zur tetto (vedi anche PREPOSIZIONI COMPOSTE)
Questo suono più enfatico è diverso dal raddoppio, che la "s" può subire come molte altre consonanti:
per bontà sua
pe bbontà ssua
Va sottolineato che l'uso grafico di "z" al posto di "s" è andato rapidamente affievolendosi, ed è oggi assai infrequente, sebbene nel dialetto parlato la pronuncia enfatica sia rimasta tale.
- cambio di GLI e di LI con JJ
Il trigramma "gli" si trasforma in "j" (pronunciata come una "i" molto scivolata). Se nel vocabolo l'accento cade prima della "j", questa ha un suono più forte (Belli la raddoppia):
figlia
paglia
gli
voglia
sbaglio
fijja (Belli) oppure fija
pajja (Belli) oppure paja
je (altro monosillabo che cambia "i" con "e")
vojja (Belli) oppure voja
sbajjo (Belli) oppure sbajo
In un numero limitato di vocaboli, anche il gruppo "li" seguito da vocale ("lia", "lio" ecc.) cambia in "jj" (o "j") quando il suo suono è simile a quello di "glia", "glio", ecc.:
olio
italiano
ojjo (Belli) oppure ojo
itajjano (Belli) oppure itajano
Si rammenti che anche la "i" cambia in "j" (sempre singola) quando in italiano si trova compresa tra due altre vocali, come in guajo (per guaio), ajuto (per aiuto), e così via, cfr. DITTONGHI E TRITTONGHI.
- cambio di I con R
Nelle desinenze -aio e -aia che indicano attività, la "i" si trasforma in "r":
portinaio
macellaio
calzolaio
notaio
portinaro
macellaro
carzolaro
notaro
A volte ciò avviene anche con vocaboli che contengono lo stesso finale -aio
cucchiaio
un paio, due paiacucchiaro (cfr. anche DITTONGHI E TRITTONGHI)
un paro, du' para
Ma questa non è una regola fissa, perché molti altri vocaboli non la seguono: guaio, ecc.
Anche nelle desinenze -iolo, -iola, -ioli, -iole, la "i" diventa "r", ma quasi esclusivamente nei vocaboli che indicano un'attività lavorativa: ad esempio vinaiolo diventa vinarolo. Invece in altri vocaboli cambia solo la "j" al posto della "i": ad esempio pajolo (per paiolo).
Questa forma in -rolo, -rola ecc. è usata molto spesso per vocaboli esprimenti un'attività (particolarmente se lavorativa), anche se il corrispettivo italiano non termina necessariamente in -iolo, ecc.:
barcaiolo
fruttivendola
pescivendoli
pollivendolo
pizzicagnolo
straccivendolo
barcarolo
fruttarola (come dire "fruttaiola")
pesciaroli
pollarolo
pizzicarolo
stracciarolo
Anche alcuni aggettivi denotanti una qualche attività hanno forme in ...-olo: ad esempio, caggnarolo è colui che fa cagnara (cioè "rumore, chiasso"), miffarolo è colui che racconta frottole (miffe), e così via.
- cambio dei gruppi GIO - GIA con CIO - GIO o GGIO - GGIA
In alcuni vocaboli romani, i trigrammi "gio" e "gia" vengono sostituiti con "cio" e "cia" (dal suono molto scivolato, cfr. precedente paragrafo). In assenza di tale corruzione, oggi meno frequente di un tempo, gli stessi gruppi tendono a raddoppiare la prima lettera in "ggio" e "ggia".
fagiolo
Ambrogio
bugìa
ma...
pregio
prigione
grigia
fasciolo (Belli) o faciolo
Ammroscio (Belli) o Ammrocio ma oggi è più frequente Ambroggio
buscìa (Belli) o bucìa
preggio
priggione
griggia
È interessante osservare come l'etimologia del noto vocabolo fròcio, che a Roma (e non solo) ha ormai assunto il significato di "omosessuale", secondo diversi autori deriverebbe da "frogia", ovvero "narice", seguendo la suddetta corruzione fonetica. Il perché di tale curiosa associazione anatomica è legato al fatto che nelle popolazioni del centro-nord Europa, i tratti somatici includono spesso narici più larghe di quelle tipicamente mediterranee. Probabilmente dalla maggiore frequenza in tali popolazioni verso costumi più liberi di quelli romani (compresa l'omosessualità), nel corso della prima parte del Novecento ne sarebbe nata questa nuova accezione, peraltro con connotazione negativa o di scherno. Pascarella (fine Ottocento) ancora chiama froci i Tedeschi.
Se gli stessi gruppi sono preceduti da una consonante, non si verifica alcun cambio: marcio, riccio, laccio, ecc. rimangono invariati. Solo i vocaboli in cui tale lettera è "n" (-ngio, -ngia) configurano i casi descritti nel paragrafo seguente.
- inversione (metatesi) di NG
Il digramma "ng" seguito dalla "i" o dalla "e" spesso si inverte diventando "gn", a volte rinforzato in "ggn":
piangere piaggne o piagne spingere spiggne o spigne stringere striggne o strigne mangiare maggnà o magnà
Quando "ng" è seguito da "i" or "hi", questi ultimi si perdono, essendo la vocale non necessaria al suono di "gn":
mangiata
unghie
maggnata
uggne oppure oggne
Se invece è seguito da altre vocali o altri gruppi, non cambia: vanga, Ungheria (diventa Ungaria ma "ng" rimane tale), inganno, ecc.
Altri esempi di inversione riguardano sporadici vocaboli, come:
comprare
crompà
che tuttavia nel dialetto moderno si è perso.
- cambio di UO con O (monottongazione)
Di questa contrazione si è già detto in precedenza nel paragrafo DITTONGHI E TRITTONGHI:
cuore
uovo
vuoto
core a volte con vocali accentate: còre oppure côre
ovo
vòto o vôto
In tutti questi vocaboli la lettera "o" si pronuncia molto aperta e lunga. Solo per quelli confondibili è fortemente consigliato l'uso di un accento grave o circonflesso (per esempio vòto, da non confondere con voto, con la "o" stretta). Negli altri casi può essere superfluo usarlo.
La contrazione non avviene se -uo- costituisce uno iato (cfr. paragrafo DITTONGHI E TRITTONGHI), come in tuo e suo.
- cambio di O con U (e viceversa)
Per un certo numero di vocaboli, se in italiano la "o" è stretta, in dialetto diventa "u":
non
foglietta (tipica misura di vino)
giocare
Giovanni
nun
fujetta (notare il cambio di "gl" con "j")
giucà (Belli) (oggi è più usato giocà)
Giuvanni (Belli) (oggi è più usato Giovanni)
In alcuni altri vocaboli accade l'opposto:
fungo
unghia
fongo
oggna od ogna (si noti il cambio di "nghi" con "ggn")
- cambio di R con una consonante (raddoppiata per assimilazione)
Quando la R è l'ultima lettera di un verbo all'infinito seguito da un pronome atono, questa si trasforma di solito nella prima consonante della particella, che viene così raddoppiata per assimilazione:
vederti
portarlo
costruirci
specchiarsi
vedette ("ti" diventa "te")
portallo
costruicce ("ci" diventa "ce")
specchiasse ("si" diventa "se")
Solo nel caso in cui la particella che segue il verbo sia gli, le o loro, il corrispondente romano è per tutte je (che Belli raddoppia):
costruirgli
portarle
dare loro
costruijje oppure costruije
portajje oppure portaje
dajje oppure daje
Un'altra eccezione è rappresentata dai verbi della seconda coniugazione con accento sulla terzultima sillaba, come spremere, spingere, cuocere, stringere, credere, ecc., ma anche quei verbi contratti come bere (dalla forma arcaica bévere), che per i romani infatti diventa beve. Tutti questi verbi perdono semplicemente la R senza raddoppiare la consonante:
spremerla spremela stringerti striggnete (l'infinito del verbo è striggne) spingerli spiggneli (l'infinito del verbo è spiggne) crederci credece (cambio di "ci" in "ce") cuocervi coceve (cambio di "vi" in "ve") bersi bevese (cambio di "si" in "se")
- scambio di posizione della R o della S
In pochi vocaboli la "r" o la "s" vengono spostate alla sillaba precedente:
dentro
trasporto
teatro
drento
straporto
treato
Tale corruzione, ancora presente in Pascarella, è ormai obsoleta.
- cambio di Q con C
Belli spesso scrive i vocaboli quando e quanto usando la "c" (cuando, cuando) per esprimere il suono meno gutturale (velare) con cui i romani pronunciano la "q" iniziale in questi due vocaboli. In realtà, nel farlo è molto incostante, scrivendoli infatti almeno altrettante volte con la "q". Nessuno degli autori successivi ha mai adottato tale grafia.
Tale cambiamento appare quindi eccessivo e in queste pagine non se ne è tenuto conto.
QUADRO SINOTTICO DELLE PRINCIPALI SOSTITUZIONI
sostituzione da L ad R
da I ad E
da S a Z
da MB a MM e ND a NN
da LD a LL
da GLI o LI a JJ
da I ad R
da GIO - GIA a CIO - CIA
da GIO - GIA a GGIO - GGIA
da NG a GN
da UO a O
da O ad U (e vicev.)
da R a doppia consonante
salto
vi
penso
mandato
caldaio
quaglia
carbonaio
fagiolo
fagiano
attinge
cuoco
non
lavarle
sarto
ve
penzo
mannato
callaro
quajja
carbonaro
fasciolo
faggiano
attiggne
coco
nun
lavalle
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