~ la lingua e la poesia ~ - 11 - introduzione al DIALETTO ROMANO |
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giugno 2014 |
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7. IL RADDOPPIO DI CONSONANTIIl suono del dialetto romano è più duro dell'italiano: i vocaboli che iniziano per consonante + vocale, se precedute da un'altra vocale, spesso enfatizzano la consonante rinforzandone il suono.
Alcuni esempi:
qualche cosa
e poi
se proprio
con tanta fatica
un uomo buono
quarche ccosa
e ppoi
si ppropio
co ttanta fatica
un omo bbono
Le regole che disciplinano l'uso del raddoppio sono alquanto complesse, ma valide per quasi tutte le consonanti e i suoni, che pertanto analizziamo individualmente.
-
B
È la consonante che raddoppia più spesso, infatti basta che sia preceduta da una vocale (accentata o meno).
la barca sempre buona ho bisogno dice bene ogni buco |
la bbarca sempre bbona ho bbisogno dice bbene oggni bbucio |
Ciò cale anche quando la "b" iniziale è seguita da una "r":
la brocca era bravo |
la bbrocca era bbravo |
C
Se la "c" è preceduta da una parola il cui accento tonico in italiano cade sull'ultima sillaba, raddoppia; in caso contrario non raddoppia.
Considerato che il dialetto corrompe molti vocaboli per caduta di una o più lettere, è importante stabilire se la parola che precede la "c" ha l'accento tonico sull'ultima sillaba o meno. Alcuni esempi:
per → pe (l'accento tonico cade sull'unica sillaba) → la "c" raddoppia
con → co (l'accento tonico cade sull'unica sillaba) → la "c" raddoppia
mio → mi' (bisillabo, l'accento tonico cade su "mi-", che vale sempre come penultima) → la "c" non raddoppia
tuo → tu' (bisillabo, l'accento tonico cade su "tu-", che vale sempre come penultima) → la "c" non raddoppia
suo → su' (idem) → la "c" non raddoppia
due → du' (idem) → la "c" non raddoppia
questo → 'sto bisillabo, l'accento cade su "que-", che scompare ma vale come penultima → la "c" non raddoppia
per capire
con cento persone
il mio cane
due camere
questo colore
pe' ccapì
co ccento perzone
er mi' cane (se non er cane mio)
du' cammere
'sto colore
Al contrario, per l'infinito dei verbi la caduta dell'ultima sillaba viene solitamente resa con la vocale accentata (si veda anche il paragrafo sui verbi nella pagina successiva):
lavorare → lavorà (→ la "C" raddoppia
sapere → sapé (→ la "C" raddoppia
dormire → dormì (→ la "C" raddoppia
Ai fini del raddoppio della "C" l'infinito in romanesco vale come parola ossitona, cioè con l'accento tonico sull'ultima sillaba, pertanto la "C" raddoppia sempre:
lavorare cantando
sapere cose
dormire con due coperte
lavorà ccantando
sapé ccose
dormì cco ddu' coperte
Ai fini del raddoppio della "C" che segue, parlà, sapé o dormì si comportano come qualsiasi altra parola ossitona, ad esempio città, sarà, caffè, lunedì, e così via:
Ciò dà ragione a Belli nella scelta di scrivere l'infinito dei verbi usando le vocali accentate anziché l'apostrofo, come alcuni fanno.
sarà certo
caffè con la panna
lunedì: chiuso
sarà ccerto
caffè cco la panna
lunedì: cchiuso
Il raddoppio non avviene nel caso in cui la "C" sia preceduta da un articolo (determinativo o indeterminativo), o dalle preposizioni di (de in romano), da, oppure dalle particelle pronominali oggetto mi (me in romano), ti (te), gli e le (entrambi je), ci (ce), vi (ve), loro (ancora je):
il cavallo
di corsa
da casa
mi capisci?
gli capita
vi chiedo
er cavallo
de corsa
da casa
me capisci?
je capita
ve chiedo
Un vocabolo abbastanza particolare è come. Quando è usato per introdurre un termine di paragone (come me, come neve, come sempre, ecc.), nonostante l'accento cada sulla penultima sillaba, il raddoppio avviene. Per questo Belli scrive com'e, per separarne la e finale, che in tal modo diventa monosillabo e giustifica il raddoppio che segue: com'e mme, com'e nneve, com'e ssempre.
Viceversa, quando come è seguito da un articolo determinativo (come la neve), oppure quando ha un altro significato (così come viene; come farai?) non subisce alcuna variazione ortografica e la "c" che segue non raddoppia, secondo la regola generale.
Queste regole, come si vedrà più avanti, valgono anche per quasi tutte le successive consonanti.
viene a casa la mia casa la casa il portone di casa ho ccapito avete capito se costa quanto costa le costa spalare carbone spalava carbone |
viè a ccasa la mia casa la casa er portone de casa ho ccapito avete capito si ccosta quanto costa je costa spalà ccarbone spalava carbone |
Le suddette regole per la "c" valgono anche quando è seguita da "h" per mantenere il suono velare (gutturale), come in chi, che, chiave, chiuso, chiodo.
ma che caldo dice che viene tre chiodi due chiodi i chiodi ho chiuso hanno chiuso l'ha chiamato l'hanno chiamato |
ma cche ccallo disce che vviè tre cchiodi du' chiodi nonostante l'elisione (du') la "u" vale come penultima vocale accentata li chiodi ho cchiuso hanno chiuso l'ha cchiamato l'hanno chiamato |
La parola chiesa fa eccezione, subendo il raddoppio sempre, anche se la vocale che precede non è accentata, dopo articoli e qualsiasi preposizione:
sette chiese la chiesa di chiesa in chiesa la sua chiesa |
sette cchiese la chiesa de cchiesa in chiesa la su' cchiesa |
Anche per i suoni palatali ce-, ci- cia-, cio-, ciu- la regola segue quella anzidetta della "c" velare.
Si noti che a proposito del suono "ce", quando la "c" raddoppia si pronuncia "cce", ma altrimenti da sola si pronuncia più vicina a "sce", tanto da essere scritto così in Belli (ma non dai successivi autori).
Si tenga anche conto del fatto che il verbo avere in dialetto romano è usato spessissimo nella forma averci (come viene spiegato più estesamente nel paragrafo NOTE GENERALI DI SINTASSI). E quando la particella ci è seguita da una voce verbale che comincia per "a", vi si lega graficamente (ad es. ci apre → sciapre, ci hanno → sciànno). Tali forme verbali seguono la regola generale: se la "c" è preceduta da vocale accentata, raddoppia: si cciapre (per se ci apre), che ccianno (per che ci hanno), e così via.
se ci vede forse ci vede però ci avanza quando ci avanza perché hai perché abbiamo perché noi abbiamo |
si cce vede forze sce vede però cciavanza quanno sciavanza perché cciai perché cciavemo perché noi ciavemo |
D ed F
Vale la stessa regola della consonante precedente. Fa eccezione il vocabolo Dio, che conserva il raddoppio anche dopo le preposizioni de e da.
se Dio vuole quando Dio vuole da Dio giochiamo a dama una dama con fede e devozione la sua fede e devozione la fede e la devozione |
si Ddio vò quanno Dio vò da Ddio giucamo a ddama 'na dama co ffede e ddevozzione la "o" è sempre l'ultima vocale accentata la su' fede e ddevozzione nonostante l'elisione (su') la "u" vale come penultima vocale la fede e la devozzione |
G
Per il suono gutturale di questa lettera, vale quanto detto a proposito delle consonanti precedenti.
gli fa gola fargli gola se gode si gode |
je fa ggola fajje gola si ggode se gode la "g" non raddoppia perché se è una particella pronominale |
Per i suoni ge-, gi-, gia-, gio-, giu- vale quanto detto proposito di quelli omologhi con la "c", ma vi è una tendenza a pronunciare questi suoni sempre forte. Infatti Belli spesso li raddoppia anche in condizioni che, secondo le regole, non lo richiederebbero.
con gente la gente tanta gente tre giovanotti i giovanotti |
co ggente la ggente con altre consonanti non lo richiederebbe tanta ggente con altre consonanti non lo richiederebbe se gode li ggiuvenotti con altre consonanti non lo richiederebbe |
Per il suono gn-, invece, l'ortografia di Belli è disomogenea: molto spesso raddoppia la "g", anche al di fuori delle regole, mentre molto di rado la lascia singola. In effetti, la pronuncia di questo suono nel dialetto parlato è sempre piuttosto forte (anche quando -gn- è all'interno del vocabolo), quindi seguiremo tale regola del raddoppio fisso.
per niente senza niente i gnocchi tre gnocchi |
pe ggnente senza ggnente li ggnocchi tre ggnocchi |
L
Anche per questa lettera valgono le regole generali (cfr. lettera C).
tre libri i libri è lunga è lui è romano come lui è nero come la pece troppo lunga |
tre llibbri li libbri è llunga è llui è romano com'e llui è nnero come la pece troppo lunga |
Anche la "l" degli articoli determinativi romani li, la, le, nonché della particella pronominale li può raddoppiare, ma in un minor numero di casi rispetto alla regola generale: davanti a qualsiasi preposizione il raddoppio non avviene (ricordiamo che in dialetto le preposizioni semplici rimangono separate dagli articoli: da lo, co la, pe li, ecc.).
e i fiori con i fiori tra i fiori comprare i fiori |
e lli fiori co li fiori con altri vocaboli la "l" raddoppierebbe tra li fiori con altri vocaboli la "l" raddoppierebbe comprà lli fiori |
Invece la "l" degli avverbi di luogo lì e là raddoppia sempre e comunque:
da qui a llì perché là è più comodo quello là veniamo là |
da cqui a llì cfr. anche la "q" perché llà è ppiù ccommodo quello llì venimo llà |
M, N, P
Anche per queste lettere valgono le regole generali (cfr. lettera C).
aver mangiato aveva mangiato tre migliaia due migliaia sì e no è notte di notte se piove far piovere quando piove |
avé mmaggnato aveva maggnato tre mmijjara du' mijjara sì e nno è nnotte de notte si ppiove fà ppiove quanno piove |
L'articolo indeterminativo 'no e 'na (per uno, una) non raddoppia mai la "n", perché in realtà non è la vera consonante iniziale.
per una giornata a una certa ora c'è una signora |
pe 'na ggiornata a 'na scerta ora c'è 'na siggnora |
Q
Il suono di questa lettera si raddoppia secondo le regole generali, ma anteponendole graficamente una "c":
e quando tale e quale guadagnare quattrini i quattrini da qui a qui |
e cquanno tal'e cquale guadambià cquadrini li quadrini da qui a cqui |
Fa eccezione la "q" degli avverbi di luogo qua e qui, che raddoppia in qualsiasi caso sia preceduta da vocale (come la "l" di là e lì):
vieni qui di qua e di là otto qua e sette là stavano qui |
viè cqui de cqua e dde llà otto cqua e ssette llà staveno cqui |
I raddoppi seguono la regola generale:
a Roma di Roma come Roma girare Roma la Roma antica per riuscire senza riuscire |
a Rroma de Roma com'e Rroma girà Rroma la Roma antica pe rriuscì senza riuscì |
S
Quando la "s" è pura (cioè è seguita da vocale), i raddoppi seguono la regola generale.
per sentire tre sassi di sasso mangiare sano |
pe ssentì tre ssassi de sasso maggnà ssano |
Quando la "s" è impura (cioè è seguita da consonante) non raddoppia mai, tranne quando forma i suoni sce- e sci- (vedi sotto).
per stirare tre scogli a spingere inventare scuse |
pe stirà tre scojji a spiggne inventà scuse |
Al contrario, coi suoni sce-, sci-, scio-, sciu- il raddoppio della "s" avviene sempre, quindi anche dopo gli articoli, qualsiasi preposizione e particelle pronominali.
le sciabole hanno scelto vento di scirocco le sciupa il vestito |
le ssciabbole hanno sscerto vento de sscirocco je ssciupa er vestito |
Si noti che in molti casi la doppia "s" consente di riconoscere i vocaboli che in italiano cominciano per sce- o sci- da quelli che cominciano per ce- e ci- (confondibili perché quest'ultimi in romano si rendono graficamente sce- e sci-, cfr. a pagina 2 IL SUONO DI "CE" E "CI").
una certa la cena è certa per cena |
una scerta la scena è ccerta pe ccena |
una scelta la scena è scelta fare scena |
una sscerta la sscena è sscerta fà sscena |
Anche in questo caso Belli è molto incostante nell'ortografia e a volte scrive i vocaboli che cominciano per sce- o sci- con una sola "s", soprattutto nelle composizioni dei suoi primi anni. Pertanto la scelta di usare sempre la doppia "s" può essere considerata più matura.
T e V
Entrambe le lettere seguono le regole generali (cfr. la C).
a tutti di tutti se tutti c'erano tutti tre volte quante volte far vincere vuoi vincere com'e ttutti |
a ttutti de tutti si ttutti c'ereno tutti tre vvorte quante vorte fà vvince vòi vince com'e ttutti |
Z
Si comporta come il suono di sce- e sci-, cioè raddoppia sempre.
sta' zitto vale zero gli zoccoli con mio zio |
sta' zzitto vale zzero li zzoccoli co mmi' zzio |
Il raddoppio della "z" si applica solo ai vocaboli che in italiano cominciano per "z", ma non a quelli che in dialetto prendono la "z" al posto della "s", anche perché quest'ultimo cambio avviene quando la "s" è preceduta da consonante (cfr. a pagina 2 IL SUONO DI "CE" E "CI"), per cui il raddoppio non sarebbe mai possibile.
il soldato da soldato a soldato un soldato tre soldati |
er zordato da sordato a ssordato un zordato tre ssordati |
SUONO
ORIGINALEPRONUNCIA
EFFETTIVAer l- → e' ll- er r- → e' r- un l- → u' ll- un m- → u' mm- un n- → u' nn- un r- → u' r-
Le stesse regole di un valgono anche per la negazione non (in romano nun), ma in tal caso anche la "l" rimane singola:
Come già detto, Belli stranamente non riporta queste forme, ma si trovano invece in Zanazzo.
SUONO
ORIGINALEPRONUNCIA
EFFETTIVAnun l- → nu' l- non le vedo nun le vedo → nu' le vedo nun m- → nu' mm- non me lo dire nun me lo dì → nu' mme lo dì nun n- → nu' nn- non ne parliamo nun ne parlamo → nu' nne parlamo nun r- → nu' r- non rischiare nun risicà → nu' risicà
Una consonante inserita tra due vocali può raddoppiare anche in altre parti del vocabolo (non solo all'inizio), come mostrano questi esempi, ma ciò avviene secondo regole ancora più imprecise e capricciose di quelle fin qui descritte.
roba
accelerato
Michele
ognuno
moltiplicato
robba
accellerato
Micchele
oggnuno
mortippricato
- La lettera "b" raddoppia sempre.
sabato
nobile
tabernacolo
libertà
tribunale
sabbato
nobbile
tabbernacolo
libbertà
tribbunale
- Il suono gn- è sempre forte e può raddoppiare la "g", anche se Belli se ne serve con una certa parsimonia.
ragno
campagna
pigna
Agnese
raggno ma anche ragno
campaggna ma anche campagna
piggna ma anche pigna
Aggnese ma anche Agnese
- La lettera "m" raddoppia in un piccolo numero di vocaboli.
comandare
numero
cameriere
commannà
nummero
cammeriere
- La"z" raddoppia quasi sempre e lo fa soprattutto con le terminazioni -izio, -izia e -zione.
esercizio
amicizia
vizi
ospizio
orazzione
spiegazione
pulizia
esercizzio
amicizzia
vizzi
ospizzio
orazione
spiegazzione
pulizzia
- Quando le particelle pronominali e riflessive (-mi, -ti, -si, ecc.) si legano all'infinito dei verbi spesso raddoppiano la loro prima consonante (per la regola esatta si veda I VERBI).
alzarmi
vedersi
fargli
capirci
tenervi
arzamme
vedésse
fajje
capicce
tenevve
Altri raddoppi non sono soggetti a specifiche regole.
In un modesto numero di casi, è una doppia consonante nella parola italiana a divenire singola in romano:
uccello
davvero
mattina
quattrini
uscello o anche ucello ma con la "c" strusciata
davero
matina
quadrini o anche quatrini
In particolare, i dimostrativi quello, quella, quelli, quelle, se usati come aggettivi, cioè seguiti dal sostantivo a cui si rivolgono (o da un altro aggettivo riferito al sostantivo), nel dialetto parlato perdono una "l". Se usati come pronomi, non la perdono.
quella casa
quella grande casa
a quello sportello
perché quella mattina pioveva
perché è quella vecchia
perché quella è vecchia
quela casa
quela granne casa
a cquelo sportello
perché cquela matina pioveva
perché è cquela vecchia
perché cquella è vvecchia
DIALETTO MODERNOLe consonanti doppie all'inizio del vocabolo non vengono più scritte, ma sono comunque pronunciate con forza, come se lo fossero. È anche invalsa la tendenza ad abbandonare alcuni raddoppi enfatici all'interno del vocabolo, ma anche in questo caso il suono è rimasto identico.
Al contrario, un curioso cambiamento proprio del dialetto moderno è il dimezzamento della doppia "r", che si incontra in molti vocaboli:
la terra
il carrettiere
la guerra
l'errore
il terrazzo
si dice "erre"CLASSICO
la terra
er carrettiere
la guerra
l'errore
er terrazzo
se dice "erre"MODERNO
'a tera
er carettiere
'a guera
l'erore
er terazzo
se dice "ère"
Molti, anche tra i romani, erroneamente credono che quello della doppia ère sia un fenomeno di pronuncia originario di questo dialetto; in realtà è venuto manifestandosi solo dagli inizi del Novecento, non trovandosene alcuna traccia nei Sonetti di Belli (secolo precedente). Si comincia a notare nelle opere di Trilussa e nei sonetti giudaico-romaneschi di Crescenzo Del Monte, ma dove diventa ancor più evidente è soprattutto nei monologhi di Ettore Petrolini.
8. ELISIONI, AFERESI E SINCOPIMolti vocaboli in dialetto subiscono la perdita di una o più lettere finali (elisione). Altri, invece, subiscono perdite di lettere nella parte iniziale (aferesi). Altre ancora vengono contratte perdendo lettere o sillabe centrali (sincope). Si tratta per lo più di modifiche atte a rendere più fluida e cadenzata la pronuncia del dialetto parlato (vedi anche SOSTITUZIONI DI LETTERE).
- Le preposizioni con e per perdono sempre l'ultima consonante, rimanendo co e pe (che Belli scrive senza apostrofo, mentre gli autori successivi di solito lo aggiungono), eventualmente rinforzate in cco e ppe secondole regole discusse nel precedente paragrafo: con me e con te diventa co mme e cco tte; per mangiare e per bere diventa pe mmaggnà e ppe bbeve.
Dopo Belli molti autori hanno cominciato ad usare l'apostrofo, nella forma pe' (sottolineando l'elisione).
- Gli aggettivi possessivi mio, tuo e suo sono sempre elisi in mi', tu', su' se precedono l'oggetto o la persona posseduti:
il mio libro
le tue sorelle
il suo giardino
er mi' libbro
le tu' sorelle
er zu' ggiardino
- I pronomi questo, questa, questi, queste, subiscono un'aferesi: sto, sta, sti, ste. Dopo Belli, che scrive tali forme senza apostrofo, gli autori successivi hanno invece cominciato a usarlo. Se la prima lettera del vocabolo che segue è una vocale, può aversi anche una contemporanea elisione:
questi fatti
queste piante e questi alberi
questa opera
quest'altro
sti fatti (Belli) oppure 'sti fatti
ste piante e st'arberi (Belli) oppure ste piante e st'arberi
st'opera
st'antro (Belli) oppure 'st'antro
In qualche caso Belli ignora l'aferesi e per quest'altro scrive quest'antro, che se rinforzato col raddoppio all'inizio di parola diventa e cquest'antro. Ma dopo di lui tale forma è stata usata ben di rado.
- Diversi vocaboli, e soprattutto le inflessioni verbali, vengono elisi quando seguiti dalla preposizione a e dai suoi composti al, alla, ecc. Belli non usa mai questo tipo di elisione, né i maggiori autori dopo di lui. Eppure riflette il modo di pronunciare questi vocaboli. (cfr. anche il paragrafo I VERBI):
stanno a casa
vengo a mangiare da voi
quando alla sera fa buio
andavamo a scuola
grazie al cielo li ho trovati
l'ha detto a mia suocera
stavano al mare
stann'a ccasa
veng'a mmaggnà dda voi
quann'a la sera fa bbuio
annavam'a scola
grazzi'ar cèlo l'ho ttrovati
l'ha dett'a mmi sòcera
staven'ar mare
Non tutte le inflessioni, però, seguono questa regola: ne sono esentate soprattutto quelle monosillabiche:
vieni a dormire
sta a Viterbo
lo do' a tuo fratello
viè a ddormì
sta a Vviterbo
lo do' a ttu' fratello
I vocaboli che terminano con una vocale accentata, se venissero elisi, risulterebbero incomprensibili. Per cui il loro suono deve udirsi chiaramente e non subiscono alcuna modifica:
mangerò a casa
gli parlerà al telefono
non va più a scuola
se a mezzogiorno vieni
maggnerò a ccasa
je parlerà ar telefono
nun va ppiù a scola
si a mmezzoggiorno venghi
Invece, se al verbo è unita una particella pronominale, la preposizione a causa sempre l'elisione di quest'ultima. Come detto sopra, né Belli né gli autori dopo di lui fanno uso di questa elisione, che però nel dialetto parlato è presente.
portalo a casa
andiamoci a divertire
spingiamolo a turno
stalla a sentire
vienimi a cercare
portel'a ccasa
annames'a ddivertì
spiggnémel'a tturno
stall'a ssentì
viemm'a ccercà
- Il vocabolo che (sia esso congiunzione o pronome relativo) viene eliso se seguito da un verbo che comincia per vocale. Il risultato è ch', anche se la vocale seguente è una "a", una "o" oppure una "u":
so che apri una bottega
quello che esce
dice che andrà
che osteria è?
vedo che hai finito
so ch'apri 'na bottega
quello ch'esce
disce ch'andrà
ch'osteria è?
vedo ch'hai finito
Di queste elisioni fa parte anche la comune espressione ch'edè (secondo Belli), che corrisponde all'italiano che cos'è. Tuttavia tanto Pascarella che Trilussa la scrivono in questa forma: ched'è.
- L'articolo er può perdere la "r" finale, se il nome che segue comincia anch'esso con la stessa consonante:
il re
il romano
il rumore
e' re oppure er re
e' romano oppure er romano
e' rumore oppure er rumore
Tale regola grafica è applicata da Giggi Zanazzo, ma in Belli l'articolo rimane sempre immodificato.
- L'avverbio di negazione non, che in romano diventa nun, viene a volte eliso foneticamente in nu' quando è seguito dai suoni di "j", "l", "m", "n", "r", "s" + consonante. In tal caso, il suono di "m" ed "n" si rinforza, quindi graficamente dovrebbe raddoppiare. Tuttavia Belli non usa mai l'elisione, scrivendo sempre nun, e la maggior parte degli autori dopo di lui non usa mai le doppie all'inizio del vocabolo.
non mi piace
non mi toccare
non ne so niente
non lo so
non la guardare
non lo conosco
non ridere!
nu' mme piace
nu' mme toccà
nu' nne so ggnente
nu' lo so
nu' la guardà
nu' lo conosco
nu' ride!
Dell'elisione di nu' si parlerà di nuovo nel paragrafo sui verbi, a proposito del modo imperativo.
- Il numero cardinale due perde la "e" davanti a qualsiasi altro suono (come per i pronomi possessivi mio, tuo, suo):
due uomini
due botti
due galline
du' ommini
du' botti
du' galline
Allo stesso modo, altri numeri che terminano per vocale (tranne tre e sei) la perdono, ma solo se seguiti da un'altra vocale. L'elisione vale anche per i numeri composti:
cinque anni e cinque giorni
sette e mezzo
quattro e quattr'otto
diciannove anni
cinquantaquattro anni
cinqu'anni e ccinque ggiorni
sett'e mmezzo
quattro e cquattr'otto
disciannov'anni
scinquantaquattr'anni
Si noti anche come negli esempi suddetti la forma du' rimane solitamente separata dal nome che segue, come vocabolo autonomo, mentre per gli altri numeri l'elisione ne provoca l'unione alla parola seguente.
Sempre il vocabolo due, se non seguito direttamente da un sostantivo a cui è riferito, nel dialetto classico diventa dua, anche nei numeri composti:
una, due, tre volte
tra noi due
due di meno
uno o due di più
il ventidue gennaio
una, dua, tre vvorte
tra nnoi dua
quattro e cquattr'otto
uno o ddua de ppiù
er ventidua ggennaro
L'uso della forma dua oggi è divenuto obsoleto.
- I vocaboli signore e signora (siggnore e siggnora) quando sono seguiti da un nome proprio si contraggono in sor e sora, la cui "s" iniziale è soggetta all'enfatizzazione in "z" quando preceduta da consonante:
il signor Luigi
la signora Maria
col signor Alfonzo
con la signora Assunta
er zor Luiggi
la sora Maria
cor zor Arfonzo
co la sora Assunta
Viceversa, quando non sono seguiti da un nome proprio, ma vengono rivolti a una persona (caso vocativo), si elidono entrambi in siggno' (per un esempio d'uso, si veda il successivo paragrafo).
- Quando due nomi sono strettamente legati per associazione di idee, o perché parte di un modo di dire comune, il primo dei due talora perde la vocale finale; ciò conferisce alla pronuncia dell'espressione un ritmo molto più cadenzato:
il padrone di casa
Fontana di Trevi
un boccone di pane
un bicchiere di vino
er padron de casa
Fontan de Trevi
un boccon de pane
un bicchier de vino
Si noti come non vi sia una vera elisione, quindi niente apostrofo.
Questa regola non è fissa: ad esempio, si può benissimo dire un boccone de pane, o er padrone de casa, e così via.
- Il vocabolo ogni (in romano oggni) può perdere la "o", divenendo 'gni. A tale riguardo, Belli è incostante, scrivendolo a volte per intero, a volte eliso, senza un'apparente regola. Anche Pascarella e Zanazzo usano la forma 'gni (senza "g" doppia), mentre Trilussa non la usa mai.
Se poi il vocabolo che segue comincia per vocale, oggni (senza aferesi) può anche subire un'elisione.
ogni volta
ogni colore
a ogni cantone
per ogni uomo
'gni vorta
oggni colore
a 'ggni cantone
pe oggn'omo
- Nel dialetto belliano la parola bisogna perdeva la sillaba centrale, rimanendo contratta (sincope) nella forma biggna. Negli autori successivi, però, tale contrazione è pressoché scomparsa.
- All'avverbio di luogo dove si antepone in- (prostesi), per cui diventa indove. Quest'ultimo può subire un'elisione se seguito da un suono vocalico.
dove ti pare
dove abiti?
dove stava?
dov'è che si entra?
indove te pare
indov'abbiti?
indove stava?
indov'è che ss'entra?
DIALETTO MODERNONel dialetto moderno l'elisione di indove davanti a vocale è più estesa: viene persa l'intera sillaba finale -ve, rimanendo indo'. Se poi l'avverbio apre la frase oppure è preceduto da un altro suono vocalico, subisce spesso anche un'aferesi, e ne rimane 'ndo' (o 'ndò).
dove vanno?
è dove abita Mario
dove si esce?
da dove si passaCLASSICO
indove vanno?
indov'abbita Mario?
indove ss'essce?
d'indove se passa?
→
→
→
→
MODERNO
'ndo' vanno?
'ndo' abbita Mario
'ndo' s'essce?
da 'ndo' se passa?
9. IL VOCATIVONella lingua parlata, se una frase è rivolta ad una persona viene aperta molto frequentemente da una locuzione vocativa. La forma più usata è quella in cui il nome di battesimo (o il diminutivo, o soprannome) dell'interlocutore, preceduto dalla particella vocativa a (equivalente all'italiano o) ed eventualmente al titolo, viene troncato alla penultima sillaba.
Dopo questa "a" vocativa, contrariamente alla regola generale (vedi sopra il paragrafo IL RADDOPPIO DI CONSONANTI) mantengono il raddoppio iniziale pochissimi suoni iniziali: b-, gi-, sce- e sci- (ma non ce- e ci- che diventano sce- e sci- in romano), e z-.Solo i nomi in cui l'accento cade sulla prima lettera (vocale), quali Anna, Elide, Ines, ecc., non vengono mai elisi ma pronunciati per intero.
signore... oppure signora... a siggno'... ragazzi... a rega'... Alberto... a Albe'... Bruno,... oppure Bruna... a Bbru'... Cesare... a Sce'... Giovanni... oppure Giovanna... a Ggiuva'... Lella...1 a Le'... Romolo... a Ro'... signor Piero... oppure signor Pietro... a sor Pie'... signora Maria... a sora Mari'...
1. - diminutivo di numerosi nomi femminili, soprattutto quelli terminanti in -ella
Anche quando si rivolge un epiteto a qualcuno si usa la forma vocativa, seguita dall'aggettivo, ma senza elisione:
morto di sonno...
sporcaccione...
ubriacone...
a morto de sonno
a zzozzone... a 'mmriacone... ma nel dialetto moderno la "b" si sente di più: a 'mbriacone...
Spesso il vocativo viene ulteriormente rafforzato facendo aprire la frase dalla particella esclamativa ahó..., che in italiano equivale a ehi...:
ehi, Peppe...1
ehi, signore...
ehi, ragazzi...
ehi, prepotente...
ahó, a Pe'....
ahó, a siggno'...
ahó, a rega'...
ahó, a propotente...
1. - diminutivo di Giuseppe
Poiché un diminutivo molto frequente è Ciccio (che si riferisce al nome Francesco), nel dialetto moderno non è raro che ci si rivolga ad uno sconosciuto apostrofandolo in tono molto confidenziale: a ci'..., pur non conoscendone il nome.
Ad esempio: ahó, a ci', che cciai d'accénne? ("ehi, amico, hai da accendere?"), e così via.
introduzione al DIALETTO ROMANO
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........a rega', famo a ccapisse!
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