~ la lingua e la poesia ~ - 7 -
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salta l'introduzione
Cesare Pascarella, meno conosciuto di Belli e Trilussa al di fuori dell'ambito romano, è in realtà un'altra delle glorie letterarie della città. Il volume delle sue opere è senz'altro minore di quello dei due poeti dialettali più famosi, ma non inferiore per qualità.
Il poeta nacque durante anni determinanti per la storia d'Italia: dopo tre guerre d'indipendenza, l'unificazione delle varie regioni, da nord a sud, stava per compiersi (1860); ma Roma, che si trovava ancora sotto il governo del papa, sarebbe stata conquistata dalle truppe italiane non prima del 1870. A quell'epoca il poeta aveva 12 anni e studiava in un seminario presso Frascati, appena a sud di Roma. Si narra, anzi, il gustoso aneddoto secondo cui la notizia della caduta del papa, giunta alle orecchie del giovane Pascarella, lo eccitasse a tal punto da indurlo a scappare dal seminario e tornare a piedi a Roma, dove un anticlericale, vedendolo arrivare vestito da prete, gli mollò due ceffoni.
Quanta importanza tali eventi storici esercitarono sulla fantasia del ragazzo è dimostrata dalle sue composizioni.
Villa Gloria
È un poemetto del 1886, in venticinque sonetti, che narra il tentativo fallito da parte di un manipolo di patrioti di prendere Roma. Il fatto era avvenuto quasi venti anni prima, il 23 ottobre 1867, quando poche decine di volontari garibaldini guidati da Enrico Cairoli scesero a Roma per via fluviale e si radunarono sull'altura presso la confluenza del Tevere con l'Aniene (l'odierna Villa Glori, vasto parco pubblico situato a nord della città). Furono però intercettati dalle guardie svizzere e nello scontro che ne seguì Cairoli perse la vita, così come molti altri, e suo fratello Giovanni fu gravemente ferito. I superstiti si ritirarono col buio; alcuni, fatti prigionieri dalle guardie papaline, furono condannati a morte o all'ergastolo. La descrizione in dettaglio dei fatti è così realistica e drammatica che Villa Gloria può essere considerata un piccolo poema epico, dedicato a Benedetto Cairoli, un terzo fratello, anch'egli patriota, che una volta caduto lo Stato Pontificio ricoprì per due volte l'incarico di primo ministro. Giosuè Carducci, estimatore di Pascarella, scrisse un'introduzione al poemetto, tessendo le lodi dell'autore. |
Storia NostraUn'altra opera molto più vasta, ben 267 sonetti, narra della storia d'Italia dalla fondazione di Roma fino all'Ottocento. Fu composta a partire dal 1895 circa, ma rimase incompiuta. Nell'ultima parte alcuni versi mancano, mentre per altri esistono delle varianti, che indicano come il poeta non avesse ancora deciso una stesura definitiva. Larga parte del poema è dedicata a Roma antica e ai travagliati anni del Risorgimento, che culminarono nell'unificazione del Regno d'Italia. È costellato di gustose e fantasiose ricostruzioni dei più famosi eventi dell'antichità, tra citazioni di personaggi celebri (i sette re di Roma, Scipione l'Africano, Cola di Rienzo, Beatrice Cenci, ecc.) e aneddoti popolari, in cui storia e leggenda si fondono. Questi ne sono i primi due sonetti.
IQuelli? Ma quelli, amico, ereno gente Che prima de fa' un passo ce pensaveno. Dunque, si 1 er posto nun era eccellente, Che te credi che ce la fabbricaveno? A queli tempi lì nun c'era gnente; Dunque, me capirai, la cominciaveno: Qualunque posto j'era indiferente, La poteveno fa' dovunque annaveno.2 La poteveno fa' pure a Milano, O in qualunqu'antro sito de lì intorno, Magara più vicino o più lontano. Poteveno; ma intanto la morale Fu che Roma, si te la fabbricorno,3 La fabbricorno qui. Ma è naturale. 1. - se |
IIQui ci aveveno tutto: la pianura, Li monti, la campagna, l'acqua, er vino... Tutto! Volevi annà 1 in villeggiatura? Ecchete 2 Arbano, Tivoli, Marino.3 Te piace er mare? Sòrti 4 de le mura, Co' du' zompi 5 te trovi a Fiumicino. Te piace de sfoggià 6 in architettura? Ecco la puzzolana 7 e er travertino. Qui er fiume pe' potécce 8 fa' li ponti, Qui l'acqua pe' poté fa' le fontane, Qui Ripetta,9 Trastevere, li Monti 10... Tutte località predestinate A diventà nell'epoche lontane Tutto quello che poi so' diventate.
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La scoperta de l'AmericaL'opera per cui Pascarella è più conosciuto, La scoperta de l'America, è un poema del 1894, con dedica a sua madre.
Nei cinquanta sonetti di cui si compone, un gruppo di popolani, riuniti all'osteria, discutono della famosa storia di Cristoforo Colombo e di come scoprì il continente americano. Un membro del gruppo racconta la storia agli amici; nel fare ciò, arricchisce il discorso con coloriti commenti e osservazioni; ogni tanto, poi, fanno una pausa per una bevuta di vino. Anche questo lavoro, in fondo, trae spunto da un evento storico;, ma a differenza dei già citati Villa Gloria e Storia Nostra, in cui sono i fatti vei e propri a prevalere, le avventure di Cristoforo Colombo vengono descritte in modo molto più pittoresco, perché filtrate attraverso fantasia del popolo, arricchite da spunti di grande vivacità. Vi si ritrovano tutti gli ingredienti di una favola tradizionale: l'eroe (Colombo), i cattivi (il re e i suoi ministri), l'avventura sui mari, ed esotiche e misteriose terre lontane. |
Ma l'acqua è peggio, assai peggio der foco. 1 Perché cór foco tu, si te ce sforzi Co' le pompe, ce 'rivi 2 tu a smorzallo; 3 Ma l'acqua, dimme un po', co' che la smorzi? [sonetto XIV] |
1. - fuoco 2. - ci arrivi, riesci 3. - smorzarlo |
Le pagine che seguono contengono l'intera opera originale, con versione italiana a fronte. Sono state aggiunte alcune note esplicative, per meglio comprendere e pienamente gustare la divertente storia della scoperta dell'America, vista attraverso gli occhi del popolo di Roma.
Per i sonetti individuali, invece, lo spunto preferito da Pascarella è la descrizione dei piccoli fatti della vita quotidiana. Pur essendo un soggetto comune anche alla poesia di Belli e di Trilussa, tra questi poeti esistono notevoli differenze nel modo di proporli.
Belli si serviva di una satira pungente, rivolta tanto contro il ceto dominante del suo tempo quanto contro il popolino che lo subiva e lo sosteneva, usando a tale scopo un linguaggio molto crudo e sottolineando gli stridenti contrasti tra le due classi sociali, seppure mascherati da fatti e circostanze umoristiche. Anche Trilussa, usando uno stile assai più pacato, non rinuncia mai ad uno spiccato senso dell'umorismo, persino nei sonetti con un'impronta più lirica, sottolineando i difetti umani.
Pascarella, invece, compie quasi l'operazione inversa: la sua acuta descrizione della società ne coglie alcuni aspetti paradossali, a volte buffi, a volte amari, senza però prendere posizione, cioè lasciando il giudizio critico al lettore. Può così accadere che un funerale si trasformi nell'occasione per due passanti di godersi la banda musicale, oppure un fatto di sangue può divenire lo spunto per giocare dei numeri al lotto, ma in fondo cosa c'è di male? Così va la vita, sembra voler dire Pascarella. In alcuni sonetti l'ironia è molto sfumata, o addirittura assente: ciò che conta è rendere al lettore un fedele spaccato di Roma, nuova capitale del Regno d'Italia, in cui l'evoluzione dei costumi, dopo la caduta del secolare e oscurantista Stato Pontificio, doveva senz'altro aver colpito l'immaginazione dell'autore. Oltre ad essere poeta, Pascarella fu anche un valente pittore, al punto da entrare a far parte di una società di artisti fondata nel 1904,chiamata i XXV della Campagna Romana, i cui membri prendevano spunto dalle suggestive vedute suburbane, in particolare lungo la via Appia Antica. Occorre a tal proposito ricordare come lo sviluppo di Roma fosse ancora quasi interamente confinato entro l'antico recinto delle mura aureliane e la campagna arrivava letteralmente alle porte della città. Uno dei temi preferiti di Pascarella erano gli asini. |
una lettera inviata da Pascarella con il disegno di un viaggiatore (forse sé stesso) |
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Un altro curioso aspetto di Pascarella era la sua passione per le mete esotiche: dal 1885 al 1900 circa, compì viaggi in parti del mondo allora assai di rado raggiunte dagli europei, quali il Giappone, il Nordamerica e il Sudamerica, ma visitò anche diversi paesi del vecchio continente. È rimasta celebre la nota che affisse alla porta del suo appartamento in occasione di uno dei viaggi: "vado un momento in India e torno subito".
Il dialetto di Pascarella
Di poco anteriore a quello di Trilussa, anche il dialetto di Pascarella è assai più mitigato di quello "puro e duro" di Belli, soprattutto nell'ortografia.
In quanto ai tempi verbali, la terza persona plurale al tempo imperfetto indicativo esce quasi sempre in ...veno (anziché in ...vano): bevéveno, annàveno, scoprìveno, e così via. Un carattere assai distintivo di Pascarella, inoltre, è l'uso della contrazione ...orno per le terze persone plurali al passato remoto: portorno per portarono, cominciorno per cominciarono, seguitorno per seguitarono, e così via, nonché tutto un campionario di altre tipiche deformazioni verbali quali scense per scese, vedde per vide, agnede per andò, ed altre, che nel Novecento furono in larga parte abbandonate. |
La scoperta de l'America
pag. 1 . . . . . I - V pag. 2 . . . . . VI - X pag. 3 . . . . . XI - XV pag. 4 . . . . . XVI - XX pag. 5 . . . . . XXI - XXV |
pag. 6 . . . . . XXVI - XXX pag. 7 . . . . . XXXI - XXXV pag. 8 . . . . . XXXVI - XL pag. 9 . . . . . XLI - XLV pag. 10 . . . . XLVI - L |
BERNERI |
BELLI |
TRILUSSA |
ZANAZZO |
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