~ la lingua e la poesia ~
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Giuseppe Gioachino Belli
(1791 - 1863)


salta l'introduzione


Giuseppe Gioachino Belli (per esteso: Giuseppe Francesco Antonio Maria Gioachino Raimondo Belli) è reputato unanimemente il poeta dialettale romano più tradizionale ed influente, quello il cui stile linguistico viene riconosciuto essere il più verace e pienamente maturo, sebbene scrivesse versi anche in italiano.
Tra il 1828 e il 1846 compose oltre 2.200 sonetti, ognuno dei quali è una fedele immagine della città ai primi dell'Ottocento, vista attraverso gli occhi della gente del popolo.
La sua introduzione alla raccolta di sonetti non lascia dubbi sui suoi intenti letterari: « Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma....».
Egli era in netto contrasto con la struttura sociale del suo tempo.
Roma era governata dal pontefice, il Papa Re, proprio come avrebbe fatto un monarca. Un ristretto numero di aristocratici e l'arrogante clero costituivano le classi sociali più alte, il cui potere aveva ormai perso qualsiasi giustificazione storica o morale. All'estremo opposto della scala sociale si contrapponeva loro il popolino, fanatico e superstizioso, i cui unici diversivi erano le molte manifestazioni di piazza, indette per celebrare e glorificare i potenti, ma anche le altrettanto numerose pubbliche esecuzioni (tanto che uno dei carnefici divenne addirittura un personaggio famoso, cfr. Curiosità romane, pagina 9).
Secondo il pensiero di Belli, « I nostri popolani non hanno arte alcuna: non di oratoria, non di poetica: come niuna plebe n'ebbe mai. Tutto esce spontaneo dalla natura loro, viva sempre ed energica perché lasciata libera nello sviluppo di qualità non fattizie.»
Questa era ancora la sua posizione quando, all'età di 70 anni, scrisse a proposito del dialetto romano: « è la lingua non di Roma, ma del rozzo e spropositato suo volgo », definendolo « nuda, gretta e anche sconcia favella », pur tuttavia osservando: «...il popolo è questo e questo io ricopio. »
Tale atteggiamento un po' snob ed altezzoso verso la società e il pessimismo nei confronti della vita umana, in cui la sua graffiante satira affonda le radici, trovano in buona parte giustificazione nella sua lunga ed a tratti travagliata vita, durante la quale sopravvisse ad entrambi i fratelli minori e a una sorella, poi alla moglie, a una figlia, a una nuora e persino ad alcuni nipoti.


Palazzo Poli
Essendo rimasto orfano in giovane età, attorno ai sedici anni smise di ricevere un'educazione scolastica, ma proseguì comunque i suoi studi come autodidatta.
Dopo aver vissuto per un breve tempo con una coppia di zii, dai quali fu trattato con una certa durezza, ottenne il primo impiego da contabile, ma in seguito fu anche insegnante privato e impiegato statale, cambiando residenza svariate volte. Risalgono a questo periodo alcune sue composizioni minori in versi. Nel contempo, ancora molto giovane, Belli entrò in contatto col mondo accademico letterario e nel 1812 fu tra i cofondatori dell'Accademia Tiberina; è durante questi anni che cominciò a firmare le sue opere col doppio nome Giuseppe Gioachino. Nel 1816, all'età di 25 anni, sposò una ricca vedova appartenente alla famiglia nobile dei Conti, stabilendosi con lei in Palazzo Poli (quello sul cui lato, mezzo secolo prima, era stata realizzata la Fontana di Trevi).
Negli anni successivi visitò diverse città italiane, tra cui Milano, dove giunse per la prima volta nel 1827. Lì entrò in contatto con la poesia dialettale milanese di Carlo Porta; fu questa scoperta che probabilmente lo indusse a sviluppare il progetto di scrivere anch'egli i propri versi in dialetto.

Belli ebbe anche contatti con lo scrittore e drammaturgo russo Nikolai Gogol', che conobbe già durante il primo soggiorno a Roma di quest'ultimo (1837-1839) e a cui lesse alcuni dei suoi versi.

Lo stato della sua salute, però, non era molto buono, come non lo era neppure quello delle sue finanze, avendo lasciato il posto da impiegato nel 1826 e non avendo più lavorato fino al 1841. Soffriva di una serie di acciacchi, tra cui un esaurimento nervoso che lo colpì dopo la morte della moglie; coperto di debiti, dovette vendere i mobili di casa e cambiare radicalmente stile di vita.
Negli anni della maturità Belli fu anche profondamente colpito dai cambiamenti che avevano luogo nella società di Roma. Quando nel 1849, sotto la pressione dei moti popolari, Pio IX fuggì a Gaeta e, seppure per brevissimo tempo, venne proclamata la Repubblica Romana, il poeta aveva già da tempo abbandonato la posizione critica verso il papato: «...ormai sembrami d'essere divenuto in Roma un forastiere, o di non abitare più in Roma, tanto mi si è rinnovato il popolo attorno » (1850). francobolli emessi per il bicentenario della nascita di Belli (in basso a sin.)
e il centenario (in alto) e 150° (in basso a destra) dalla sua morte

Composti in larga parte prima della svolta conservatrice, i suoi versi denunciano l'inconsistenza della decadente società del suo tempo. Ma quando tale condizione pluricentenaria cominciò finalmente ad incrinarsi, le idee di Belli non erano più quelle di prima!


il monumento edificato coi fondi raccolti per
pubblica sottoscrizione, con la seguente dedica:

AL SUO POETA
G.G.BELLI
IL POPOLO DI ROMA
MCMXIII
Nei suoi sonetti prendono vita vignette ricche di spirito popolare che, attraverso la lente di una satira graffiante, rivelano l'amaro e pessimistico atteggiamento di Belli nei confronti della vita e della condizione umana. Allo stesso tempo, i suoi versi e, ancor di più, le sue note a piè di pagina, sono fonte di un'enorme quantità di interessanti informazioni sulla vita quotidiana della Roma dei primi dell'800.
Alcuni dei sonetti hanno per tema soggetti biblici; in essi i personaggi parlano, pensano e agiscono alla stregua di tipici esponenti del popolo romano.

Non a caso, nonostante le sue opere in versi e i suoi saggi scritti in italiano, Belli viene ricordato esclusivamente per i Sonetti.

È probabile che inizialmente il poeta avesse avuto in mente di pubblicare la sua raccolta di sonetti, perché per un certo tempo ne tenne il conto con cura, pur tuttavia senza numerarli. Il manoscritto riporta il titolo generico di Poesie Romanesche, ma si ritiene che in seguito potrebbe averlo cambiato con Il 996 (numero che in alcuni casi usava come una firma, somigliandone la forma alle sue iniziali "ggb").
Negli ultimi anni di vita però, in seguito alla svolta religiosa, il poeta rinnegò i suoi sonetti, dichiarandoli «...sparsi di massime, pensieri, parole riprovevoli...», rifiutando di riconoscere in essi i propri sentimenti.
Morì nel 1866 per un improvviso colpo apoplettico; «...esiste una cassetta piena di miei manoscritti in versi. Si dovranno ardere!» fu trovato scritto nel suo testamento. Ma fortunatamente tale desiderio non fu mai esaudito.

L'editore Salvucci già dal 1839 aveva cominciato a pubblicare alcune raccolte di versi di Belli in italiano.
Fu solo dopo la morte dell'autore, tra il 1865 e il 1866, che ne diede alle stampe i primi sonetti in dialetto, curati dal figlio Ciro, tra l'altro alterandone il testo per superare il filtro della rigida censura dello Stato Pontificio.
L'opera, dal titolo Poesie inedite, comprendeva anche altri componimenti in italiano, tra cui quello celebre, riportato di lato, che ironizza sull'esame scolastico di un giovane rampollo dell'aristocrazia.
Solo dopo il 1870, caduta la censura assieme al papa re, fu possibile pubblicare altre antologie più rispettose dei versi originali; nel frattempo ulteriori sonetti furono rinvenuti, alcuni dei quali rimasti incompiuti.
Per la prima edizione completa si dovette attendere il 1952, quasi un secolo dopo, pubblicata da Mondadori e curata dal poeta e scrittore Giorgio Vigolo.

IL SAGGIO DEL
MARCHESINO EUFEMIO

A dì trenta settembre il marchesino,
D'alto ingegno perché d'alto lignaggio,
Diè nel castello avito il suo gran saggio
Di toscan, di francese e di latino.

Ritto all'ombra feudal d'un baldacchino,
Con ferma voce e signoril coraggio,
Senza libri provò che paggio e maggio
Scrivonsi con due g come cugino.

Quinci, passando al gallico idïoma,
Fe' noto che jambon vuol dir prosciutto,
E Rome è una città simile a Roma.

E finalmente il marchesino Eufemio,
Latinizzando esercito distrutto,
Disse exercitus lardi, ed ebbe il premio.

22 luglio 1843


Molto del vigore dei sonetti beliani è dovuto all'uso del dialetto, crudo, schietto, a tratti quasi brutale; diversamente, un gioco di parole o un'espressione caratteristica non avrebbero la stessa efficacia, in italiano come in nessun'altra lingua. Per questo motivo la letteratura "ufficiale" non li ha mai tenuti in gran considerazione. Eppure il cospicuo corpus dei suoi versi rendono i Sonetti una delle opere più estese della poesia nazionale. Ne sono stati fatti anche tentativi di traduzione in più lingue, sempre giungendo a compromessi con l'inevitabile ostacolo linguistico.


Belli anziano
La grande maggioranza dei sonetti raccontano brevi aneddoti, episodi della vita di tutti i giorni; gli elementi principali della storia si snodano rapidamente nei primi otto versi, mentre ai sei finali spetta la conclusione ad effetto, assai spesso in chiave ironica, ma più di rado in tono lirico, o anche contenente considerazioni filosofiche.
Quasi tutti recano la data di composizione e, almeno fino al 1833, nei manoscritti sono firmati Peppe er tosto oppure Er medemo (cioè "il medesimo").

la casa natale di Giuseppe Gioachino Belli,
a via dei Redentoristi 13


LA LINGUA
Belli è colui che più di ogni altro predecessore si adoperò per trasporre in forma scritta i suoni del dialetto, sottolineando ogni loro deviazione dalla lingua ufficiale con una specifica grafia: « Esporre le frasi del romano quali dalla bocca del romano escono tuttora, senza ornamento, senza alterazione veruna, (...) insomma cavare una regola dal caso e una grammatica dall'uso, ecco il mio scopo. »
Si riportano di seguito le principali variazioni fonetiche e le loro modalità di trascrizione nei versi di Belli.
Belli era un perfezionista della grafia del dialetto di Roma, tanto che per per molti anni provò a migliorare la resa grafica della sua pronuncia; d'altro canto, ciò comportò delle differenze tra i suoi primi manoscritti e quelli successivi. Il poeta Giorgio Vigolo, che nel 1952 curò la prima raccolta completa dei Sonetti, uniformò le varie grafie secondo le regole adottate per i versi dell'ultimo periodo. Nel 1965 un'altra edizione completa fu curata da Bruno Cagli, noto musicologo e romanista, che a beneficio dei lettori semplificò leggermente la grafia, omettendo alcune doppie consonanti, ripristinando l'uso costante della lettera q, sostituendo sce e sci con un comune ce e ci ed operando altri interventi minori. La seguente quartina (tratta dal celebre Er giorno der giudizzio), mette a confronto le due versioni; le differenze sono evidenziate in rosso.

versione di Vigolo

 Cuattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pe cantone
a ssonà: poi co ttanto de voscione
cominceranno a ddì: ffora a cchi ttocca.
versione di Cagli

Quattro angioloni co le tromme in bocca
se metteranno uno pe cantone
a ssonà: poi co ttanto de vocione
cominceranno a dì: « Fora a chi ttocca ».

 Quattro grandi angeli con le trombe in bocca
Si disporranno uno per angolo
a suonare: poi con tanto di vocione
cominceranno a dire: sotto a chi tocca.

La breve antologia di sonetti in questo sito è presentata secondo la versione di Vigolo, più vicina all'originale.

STRUTTURA
Il sonetto è una forma di composizione usata dai poeti italiani fin dal Duecento. Nella sua forma classica si compone di quattordici versi endecasillabi, organizzati in due quartine seguite da due terzine; nella maggioranza dei casi le rime rispondono allo schema:

A B B A - A B B A - C D C - D C D
ma a volte anche:

A B A B - A B A B - C D C - D C D
e nei sonetti della seconda metà della raccolta le terzine sono collegate solo dalla rima del verso centrale:
A B A B - A B A B - C D C - E D E
Quando i versi terminano con sillabe accentate (cioè con parole tronche, monosillabi, francesismi, ecc.) anziché endecasillabi sono decasillabi. Ad esempio:

 Sta tu' Francia sarà una gran Città,
ma li francesi che nnascheno llí
hanno una scerta gorgia de parlà
che ssia 'mazzato chi li pô ccapí.


   [da Che llingue curiose!]
Alcuni dei sonetti di Belli sono caudati, cioè ai quattordici versi regolari fanno seguito una o più terzine aggiuntive composte da un verso settenario (quindi più breve di quattro sillabe) che rima col precedente, più due endecasillabi che rimano tra di loro, secondo lo schema seguente:
A B B A - A B B A - C D C - D C D - D7 E E - E7 F F - ...
Questa breve antologia contiene una selezione di sonetti famosi e altri meno conosciuti, con la versione in italiano a fronte (in quest'ultima la rima e la metrica vanno in larga parte perdute). Per comodità sono stati suddivisi nelle seguenti sezioni tematiche, nelle quali viene rispettato l'ordine cronologico in cui furono composti.


LA SOCIETA' E
IL QUOTIDIANO

PRETI, FRATI, PAPI E
LA CHIESA DI ROMA

SONETTI
LICENZIOSI

TEMI
BIBLICI






BERNERI

PASCARELLA

ZANAZZO

TRILUSSA

FABRIZI