NOME
Parione viene dal latino paries ("muro") col significato di "muraglione": si riferisce ai resti di qualche antica struttura, situati da qualche parte nel rione, ma che non sono mai stati identificati.

via dei Cappellari
Nel Medioevo questa era l'ottava regione, chiamata Regio Parionis et Sancti Laurentii in Damaso dall'anzidetto muro e dalla chiesa di San Lorenzo in Damaso, fondata nel IV secolo, che ora si trova accanto al Palazzo della Cancelleria (che è uno dei luoghi notabili del rione).

STEMMA
Un grifone rampante in alcune versioni, in altre un grifone che solleva la zampa anteriore destra.

CONFINI
Corso del Rinascimento; piazza delle Cinque Lune; piazza Sant'Apollinare; piazza di Tor Sanguigna; via di Tor Sanguigna; via di Santa Maria dell'Anima; via di Tor Millina; via della Pace; piazza del Fico; via del Corallo; via del Governo Vecchio; piazza dell'Orologio; via dei Filippini; vicolo Cellini; via dei Banchi Vecchi; via del Pellegrino; via dei Cappellari; Campo de' Fiori; via dei Giubbonari; via dei Chiavari.

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta in basso a destra)


È un rione dalla forma vagamente triangolare, i cui lati corrispondono ai tre rioni confinanti (Ponte, Regola e Sant'Eustachio) ed occupa la parte centrale dell'antico Campus Martius, dove sorgevano tre importanti strutture: lo stadio di Domiziano, l'Odeon (un piccolo teatro per eventi musicali, voluto dallo stesso imperatore) e il teatro di Pompeo. Nella sua parte meridionale, come pure nel vicino rione Regola, molte strade hanno mantenuto il nome delle antiche attività commerciali che un tempo vi si concentravano, quali via dei Cappellari, via dei Baullari, via dei Giubbonari, vicolo dei Chiodaroli, piazza Pollarola, largo dei Librari, via dei Chiavari, e così via.
La sua descrizione non può che cominciare dal suo luogo più famoso, piazza Navona [1], una delle più ampie del centro di Roma (copre circa un quinto dell'intera superficie di Parione), ma anche una delle più interessanti per la storia e le opere d'arte che vi si trovano.

piazza Navona, con in primo piano la Fontana del Moro (al centro) e Palazzo Pamphilj (a sin.)

Si estende sul sito dell'antico stadio di Domiziano: la sua forma ovale, lunga e regolare, praticamente corrisponde all'arena del vecchio impianto, formando ancora oggi una curva alla sua estremità settentrionale mentre quella meridionale è diritta. In questo stadio si svolgevano gare di atletica (agones).
Per questo, anche quando lo stadio scomparve, per tutto il medioevo l'area continuò a mantenere il toponimo de Agone o in Agone.

↑ l'unico ingresso rimasto dello stadio di Domiziano e il frammento rinvenuto nel 1933;
alle spalle dello stadio (A) si trovavano due teatri, l'Odeon (B) e il teatro di Pompeo (vedi oltre) →

Ancora nel Quattrocento, oltre a probabili resti del lato curvo dello stadio (come sembrerebbe dalla pianta di Pietro del Massaio, cfr. illustrazione in basso), vi sorgevano solo una piccola ma antichissima chiesa dedicata a Sant'Agnese, citata a partire dalla fine del XII secolo come ecclesia Sancte Agnetis Agonis, o de Agone, e un'altra sul lato opposto, edificata attorno al 1200, dedicata a San Giacomo. Quando nella seconda metà del Quattrocento quest'ultima venne ampliata e sulle antiche fondazioni lungo il perimetro dello stadio sorsero via via abitazioni private, la piazza cominciò a popolarsi. Il nome in Agone fu corrotto in Navone (cioè "grossa nave" forse a causa della sua forma lunga e stretta), per poi infine prendere la sua forma definitiva, Navona, entrata in uso già alla fine del Rinascimento.
Sul retro di uno degli edifici che circonda l'estremità settentrionale della piazza, diversi metri al di sotto del livello stradale attuale, si vedono ancora i resti di uno degli ingressi del'antico stadio [2]; altri reperti si trovano in un piccolo museo , aperto nel 2014. Nel 1933 fu rinvenuto un frammento appartenuto allo stadio anche lungo corsia Agonale, la breve via che dà accesso alla piazza sul suo lato orientale.

piazza Navona (Agon) alla fine del Quattrocento; si riconoscono al centro →
l'antica Sant'Agnese e, affiancate in basso a sinistra, Sant'Agostino e San Trifone

Ciò che a piazza Navona colpisce a prima vista l'attenzione del visitatore sono le sue tre grandi fontane.

Sant'Agnese in Agone
Quella centrale, la celebre Fontana dei Fiumi di Gianlorenzo Bernini (1652), è sormontata da un obelisco: nonostante i geroglifici di cui è ricoperto possano far pensare ad una provenienza dall'Egitto, fu in realtà scolpito a Roma agli inizi del IV secolo (si veda in proposito la monografia Obelischi). Le altre due, invece, chiamate Fontana del Nettuno (all'estremità nord della piazza) e Fontana del del Moro, a prima vista appaiono quasi gemelle, ma in realtà differiscono negli elementi compositivi e soprattutto nella data di costruzione; la loro complessa vicenda è descritta in dettaglio nella monografia sulle Fontane.

Al centro del lato occidentale della piazza, poi, si trova Sant'Agnese in Agone, in sostituzione di una chiesa omonima assai più piccola e antica; il rinnovamento, avvenuto tra il 1652 e il 1672, fu voluto da papa Innocenzo X.
Per tradizione, la chiesa viene attribuita a Francesco Borromini; il caso volle che sorgesse proprio davanti ad uno dei capolavori del suo grande rivale Bernini. Per la storia di queste opere, in parte ammantate di leggenda, si veda la sezione Roma leggendaria. In effetti il cantiere fu avviato da Girolamo Rainaldi, a cui Borromini subentrò un anno dopo; al termine, i lavori furono completati dal figlio di Rainaldi, Carlo. Sant'Agnese è considerata un gioiello dell'arte barocca, nonostante la modesta lunghezza, appena una quarantina di metri, per evitare di invadere via Santa Maria dell'Anima, che corre alle sue spalle.
Fu concepita con un'ampia facciata concava, il cui scopo è di esaltare la vista della cupola e ridurre l'ingombro della scalinata d'accesso su piazza Navona. Così come la chiesa precedente, sorge sul luogo esatto dove, secondo un'antica tradizione, una giovane cristiana di nome Agnese, vissuta attorno all'anno 300, subì il martirio per la sua fede. Il prefetto di Roma Sempronio, infatti, la voleva a tutti i costi dare in sposa a suo figlio, ma la cristiana si opponeva risolutamente al matrimonio con un pagano. Per rappresaglia, fu fatta condurre dai soldati in un lupanare alloggiato nei sotterranei dello stadio di Domiziano, dove venne legata ed esposta nuda ai presenti. Ma i suoi lunghi capelli, prodigiosamente scioltisi, ne coprirono il corpo, preservandone l'onore. A nulla valsero i tentativi di intervento: chiunque osasse toccarla veniva colpito all'istante da cecità. Persino la catasta di legna su cui fu legata per essere arsa viva non volle saperne di prendere fuoco (secondo una versione alternativa, la giovane sopravvisse alle fiamme). Alla fine, uno dei soldati estrasse la spada e la uccise.
Agnese fu tumulata in una necropoli fuori città, lungo la via Nomentana; ma il corteo funebre fu turbato da un'aggressione e, lungo la via, i cristiani furono presi a sassate (illustrazione in basso). La giovane Emerenziana, nonostante fosse pagana, tentò di opporsi e rimase a sua volta uccisa. Così anche lei fu proclamata santa e sepolta accanto ad Agnese, assieme alla quale viene spesso ricordata.

il martirio di Sant'Agnese, di Ercole Ferrata

Gli arredi della chiesa furono curati da valenti artisti della seconda metà del Seicento, alcuni riconducibili alla cerchia di Bernini, quali Baciccio, Ercole Ferrata e Antonio Raggi, mentre spettò a Ciro Ferri (allievo di Pietro da Cortona) affrescare il soffitto della cupola.
Sotto l'altare maggiore è sepolto papa Innocenzo X (Giovanni Battista Pamphilj), committente della chiesa, il cui monumento funebre aggetta sopra l'ingresso, e che in piazza Navona aveva fatto costruire per la propria famiglia anche il grande Palazzo Pamphilj, adiacente al lato sinistro di Sant'Agnese, ora adibito ad Ambasciata del Brasile.

dettaglio del pannello in altorilievo di Ercole Ferrata
raffigurante il martirio di Sant'Emerenziana
Nei sotterranei si conserva ancora qualche traccia dei locali dell'antico stadio, assieme ad alcuni frammenti di affreschi medievali.

Sulla curvatura del muro a destra dell'ingresso alla chiesa, una curiosa iscrizione del 1838 è ora pressoché invisibile in quanto il colore delle lettere è completamente scomparso (in effetti sono ben pochi a conoscerne l'esistenza). Seguendo le lettere incise non senza qualche difficoltà vi si legge:

PER ORDINE DI NOSTRO SIGNORE DE 16 AGOSTO 1838
L'IMMVNITÀ ECCLESIASTICA IN QVESTA CHIESA
SI RESTRINGE ALLA SOLA PORTA
RESTANDO ESCLVSI LI GRADINI DELLA MEDESIMA

Nello Stato Pontificio gli edifici di culto erano considerati luoghi sacri dove per legge nessuno poteva essere arrestato dalla polizia o dalla milizia. Numerosi fuorilegge approfittavano di questa norma, riparando in chiesa dopo aver commesso un reato. Pertanto era molto importante definire i limiti legali oltre i quali era lecito avvalersi dell'immunità. Possiamo immaginare che le scale di Sant'Agnese fossero costantemente occupate da criminali di ogni sorta, dai semplici ladruncoli agli assassini, che bivaccavano lì per settimane, tra il cancello e il portone, per non essere arrestati. Pertanto il provvedimento di restringere l'immunità alla porta (cioè al solo interno) fu molto probabilmente preso allo scopo di tenere sgombra la scalinata.
l'avviso relativo all'immunità ecclesiastica, oggi pressoché invisibile

Meno appariscente di Sant'Agnese è l'altra chiesa sul lato opposto della piazza, quasi all'estremità meridionale. In origine si chiamava San Giacomo degli Spagnoli, essendo stata costruita per la prima volta attorno al 1200 da uno dei figli del re di Spagna Ferdinando III di Castiglia, per ricordare i martiri cristiani che, secondo una credenza dell'epoca, sarebbero stati uccisi nel circo di Domiziano.

i due angeli sul timpano, firmati "OPVS PAVLI" ed "OPVS MINI"
Questo fu il secondo edificio, dopo la primitiva Sant'Agnese, a comparire nell'attuale piazza Navona. Entrambe le chiese, infatti, avevano l'ingresso principale sul lato esterno.
Poi, in occasione dell'anno giubilare del 1450, il vescovo spagnolo Alfonso de Paradinas fece ricostruire ed ampliare San Giacomo, che dalla seconda metà del Quattrocento ebbe anche un portone sul lato che guarda la piazza, col timpano decorato da due begli angeli firmati OPVS PAVLI cioè "opera di Paolo" (Taccone) e OPVS MINI, "opera di Mino" (del Reame); lo stemma che sostengono appare cancellato a colpi di scalpello, quasi certamente da parte dei soldati napoleonici durante l'occupazione francese di Roma (1808-1814).

In quegli anni le relazioni tra la Spagna e Roma erano particolarmente strette, considerando che due papi di quel tempo, Callisto III (1455-58) e suo nipote Alessandro VI (1492-1503), appartenevano alla famiglia spagnola de Borja (italianizzata in Borgia). Anche quest'ultimo pontefice apportò migliorie a San Giacomo, che pochi anni dopo, nel 1506, fu dichiarato ufficialmente chiesa nazionale spagnola di Roma.
Ma già a partire dal Cinquecento, dopo la ricostruzione nel rione Regola di un'altra chiesa della comunità spagnola, Santa Maria in Monserrato, per San Giacomo cominciò un lento e progressivo declino: le sue condizioni cominciarono a deteriorarsi, finché nel 1818 gran parte degli arredi e delle tombe furono trasferiti all'altro edificio e la chiesa in piazza Navona, ormai diroccata, fu sconsacrata e venduta.


veduta della prima metà del Seicento: San Giacomo degli Spagnoli è visibile in alto a destra,
con la facciata sulla piazza, ma la Fontana dei Fiumi non era ancora stata costruita

Solo nel 1879, Virginio Vespignani la restaurò e ristrutturò, consentendone la riapertura col nuovo titolo di Nostra Signora del Sacro Cuore, che porta tutt'ora. Al suo interno restano poche tracce della chiesa originaria, tra cui una cantoria degli inizi del Cinquecento, scolpita nel marmo, con una vivace policromia.

la cantoria del primo Cinquecento


Nel 1931, quando per consentire un più veloce scorrimento del traffico lungo il confine col rione Sant'Eustachio fu aperto corso del Rinascimento, diversi edifici antichi furono abbattuti; i lavori coinvolsero anche questa chiesa, che fu così accorciata quanto basta e provvista di una semplicissima facciata allineata con la nuova direttrice viaria.

Sempre a metà del Quattrocento cominciò a sorgere l'isolato a destra della chiesa di Sant'Agnese, ora occupato dall'unico ampio Palazzo De Cupis, del quale si parla in Roma leggendaria; fu questo il primo gruppo di case a sorgere nella piazza, acquistate a più riprese dai De Cupis, che attorno al 1550 le unificarono nell'attuale palazzo. Quando la famiglia si imparentò con gli Ornani, attorno al 1730 a pianterreno fu aperto il Teatro Ornani, che divenne famoso per gli spettacoli di marionette (pare che già dal Seicento fosse in vigore l'uso di tenerne negli ambienti di Palazzo De Cupis). Attorno al 1840 prese il nome di Teatro Emiliani dal nuovo proprietario e rimase in attività fino alla seconda metà del secolo. Il palazzo, invece, fu rilevato dai Tuccimei, di cui si ricorda, nel periodo della caduta dello Stato Pontificio (1870) un'aspra faida di famiglia, essendone uno dei due rami rimasto fedele al pontefice, mentre l'altro parteggiava per l'unità d'Italia, al punto che l'interno del palazzo venne diviso in due metà, del tutto separate ed indipendenti.


"Giostra del Saracino a piazza Navona il 25 febbraio 1634"
(And.Sacchi, Fil.Gagliardi e Vincent Adriaenssen d. Manciola)
Un tempo piazza Navona aveva una pavimentazione concava; oggi è a malapena possibile distinguerne la pendenza, ma in passato era sufficientemente profonda da essere riempita d'acqua e allagata. A partire dal XVII secolo, questa divenne una delle attrattive popolari della piazza: alle sue uscite venivano collocate delle paratie che impedivano all'acqua di tracimare all'esterno e gli scarichi delle tre fontane venivano ostruiti. Le famiglie nobili del luogo vi organizzavano perfino spettacoli nei quali finte imbarcazioni a grandezza naturale, ma probabilmente provviste di ruote, venivano fatte sfilare nella piazza come se galleggiassero, un'idea ripresa dalle naumachiae (stadi navali) dell'antica Roma, che avevano gran concorso di pubblico. Tra l'altro, sempre nella piazza si tenevano occasionalmente anche altri giochi e manifestazioni, come la Giostra del Saracino (cfr. l'illustrazione a lato, in cui nell'angolo in basso a sinistra si vede anche una delle finte navi a riposo).

Nei secoli XVIII e XIX i divertimenti furono limitati, nei sabati e domeniche durante il periodo estivo, all'allagamento della piazza, che veniva poi attraversata con le carrozze (in basso a sinistra); l'usanza si interruppe nel 1866.
Nei giorni feriali, invece, piazza Navona ospitava un mercato di generi alimentari, che si tenne fin dalla seconda metà del XV secolo, ma vi si vendevano anche libri, nella metà a nord, attorno all'incompiuta fontana dei Calderai, poi divenuta del Nettuno dopo il completamento. Nel 1869 i banchi furono spostati a Campo de' Fiori, accorpandoli a quelli del locale mercato delle erbe.
Due anni dopo fu trasferita qui da piazza Sant'Eustachio la Fiera della Befana, con bancarelle che vendevano dolciumi nei giorni immediatamente precedenti questa festività. Tale tradizione storica è persistita, sebbene a partire dalla seconda metà del XX secolo si sia estesa anche ai giorni precedenti il Natale: per un mese circa, dall'8 dicembre, giorno dell'Immacolata Concezione, al 6 gennaio, l'Epifania, la piazza è affollata di giostre e rivendite di decorazioni, giocattoli, dolciumi, statuine del presepe, dando luogo ad una colorata e vivace kermesse a cavallo delle festività.

l'allagamento estivo in una foto della metà del XIX secolo
All'esterno di piazza Navona, presso un incrocio al confine col rione Ponte, sorge una torre del XV secolo [3], coronata da una merlatura (ora coperta da un tetto), originariamente appartenente alla famiglia Mellini, il cui nome è scritto a grandi lettere sulla parte superiore dell'edificio. Ne è derivato il nome, leggermente corrotto, di Tor Millina, poi dato anche alla stretta strada che le corre alla base.

Seguendo il confine rionale lungo la suddetta via di Tor Millina, che dopo il primo incrocio diventa via della Pace, si arriva sulla sinistra a piazza del Fico [4], un minuscolo slargo così chiamato per via di un antico albero che vi cresce; qui da mezzo secolo si riunisce una comunità di scacchisti amatoriali, che spesso è possibile vedere intenti a sfidarsi all'aperto.

← gli scacchisti sotto l'antico albero di fico


Tor Millina
Da piazza del Fico, nella stradina parallela a via della Pace, chiamata via della Fossa, si può vedere un'interessante casa rinascimentale edificata per la famiglia Amedei, con una decorazione a bugne dipinte che produce uno spettacolare effetto tridimensionale, alternate a fregi graffiti lungo i marcapiano, sebbene questi ultimi purtroppo siano in cattive condizioni.

Appena all'esterno dell'estremità meridionale di piazza Navona si apre una piazzetta dove dal 1501 Pasquino [5], la più famosa delle "statue parlanti" di Roma, esprime la sua graffiante satira, dando fieramente voce al malcontento della gente comune (cfr. Curiosità romane).

casa degli Amedei

Da piazza Pasquino parte via del Governo Vecchio, una strada con numerose case antiche, tra cui ne spicca una alta e stretta al numero 123, Palazzo Turci [6], risalente al 1500 circa, anche detta comunemente ma impropriamente "Palazzo di Bramante".
All'estremità occidentale di Ponte si innalza un'altra torre, di forma e di epoca completamente differenti da quella descritta in precedenza: la Torre dell'Orologio [7] (1647) è in stile barocco e si affaccia sulla piazza omonima; è ornata alla sommità da un mosaico ovale con la Madonna e il Bambino su fondo oro, il cui disegno è attribuito a Pietro da Cortona. In basso, nell'angolo presso la base della torre, è collocata una delle più pregevoli madonnelle romane, della metà del Settecento, con stucchi di Tommaso Righi e dipinto di Antonio Bicchierai.

Palazzo Turci

Torre dell'Orologio

La Torre dell'Orologio funge da campanile per un edificio disegnato da Francesco Borromini, l'Oratorio di San Filippo Neri, la cui facciata guarda verso piazza della Chiesa Nuova, lungo corso Vittorio Emanuele II. La grande chiesa adiacente all'Oratorio è chiamata Santa Maria in Vallicella [8], perchè sorge sopra una depressione naturale del suolo che in età antico-romana veniva creduta uno degli ingressi agli inferi; tuttavia è più nota come la Chiesa Nuova.

la Chiesa Nuova con a sinistra l'Oratorio di San Filippo Neri
Fu eretta dal 1575 al 1600 c.ca, al posto di una più antica del Duecento. Era affidata alla congregazione fondata da San Filippo Neri, il quale vi fu infatti sepolto in una cappella rivestita di splendidi marmi. La Chiesa Nuova è l'unica in Roma a vantare una pala d'altare firmata da Pietro Paolo Rubens (è anche l'unica opera del famoso pittore fiammingo non ospitata in una galleria). Un gran numero di altri artisti di spicco a cavallo dei secoli XVII-XVIII, tra cui Pomarancio, Cavalier d'Arpino, Pietro da Cortona, Federico Barocci, Carlo Maratta, Alessandro Algardi, Guercino, ed altri, contribuirono a decorare gli interni di questa chiesa, sebbene con opere minori, dandole un aspetto sfarzoso.

Sull'altro lato di corso Vittorio Emanuele II si vede la mole imponente del bianco Palazzo della Cancelleria [9], la cui facciata guarda su una piazza stretta e lunga; è considerato un capolavoro dell'architettura del primo Rinascimento (terminato nel 1495 c.ca) e attribuito ad un architetto semisconosciuto, Antonio da Montecavallo, forse il fratello di Andrea Bregno, ma con probabili aggiunte di Donato Bramante. Il palazzo fu commissionato dal cardinale Raffaele Riario, un pronipote di papa Sisto IV; pare che l'opera fosse stata pagata in parte con un'enorme somma di denaro (60.000 scudi) che Riario aveva vinto giocando a carte con Franceschetto Cybo, figlio naturale del pontefice allora in carica, Innocenzo VIII, e genero di Lorenzo il Magnifico, avendone sposato la figlia, Maddalena de' Medici.
il cortile di Palazzo della Cancelleria

Una ventina di anni dopo il palazzo fu confiscato a Riario, colpevole di aver preso parte a un complotto per avvelenare papa Leone X. Divenne così la nuova sede della cancelleria pontificia; ma nel corso del tempo fu anche sede della corte imperiale (come si legge sulla facciata) durante l'occupazione napoleonica (1809-1814), del Parlamento Romano (1848) e dell'assemblea costituente dell'effimera Repubblica Romana (1849). È tutt'ora sede della Cancelleria Apostolica, del Tribunale della Sacra Rota e della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, godendo del beneficio dell'extraterritorialità. Il palazzo è famoso per il suo ampio Salone dei Cento Giorni al primo piano, decorato da Giorgio Vasari attorno alla metà del Cinquecento con episodi della vita di papa Paolo III, affreschi che l'autore si vantava di aver eseguito in appena cento giorni, ma che Michelangelo stroncò, commentando "si vede bene"!
L'enorme edificio ingloba a piano terra l'antica chiesa di San Lorenzo in Damaso, fondata alla fine del IV secolo.

Sempre lungo corso Vittorio Emanuele II si incontrano anche altri importanti palazzi storici.

soffitto affrescato della Piccola Farnesina (fine XVII secolo)
Tra di essi è la Piccola Farnesina [10], un'architettura del 1523, così detta dai gigli in rilievo del marcapiano tra il primo e il secondo piano (a Roma i gigli erano l'impresa dei Farnese); "piccola" si riferiva al fatto che una Villa Farnesina assai più grande sorgeva in Trastevere (cfr. la pagina relativa). In realtà i fiori non avevano alcun riferimento a questa famiglia, bensì allo stemma della corona di Francia: al primo proprietario, il prelato Thomas Le Roy, era stato infatti concesso di aggiungere alle proprie imprese di famiglia il giglio reale. La facciata, attribuita ad Antonio Sangallo il Giovane, guarda verso via dei Baullari (infatti il palazzo è anche detto Farnesina ai Baullari). Invece la parte che guarda corso Vittorio Emanuele II risale alla fine dell'Ottocento quando, nel corso di una campagna di demolizioni per l'apertura dello stesso corso, l'edificio fu restaurato, liberato dalle aggiunte successive e gli fu ricreato un lato in stile con la facciata originale.
La Piccola Farnesina ospita il piccolo ma interessantissimo Museo Barracco di scultura antica, che offre al tempo stesso l'opportunità di visitare l'interno del palazzetto, sui cui soffitti affrescati compare anche un'altra impresa araldica, lo scorpione: questo si riferisce ai Silvestri, la famiglia che lo acquisì nel 1671.

Un'altra magnifica costruzione è Palazzo Massimo alle Colonne [11], architettura di Baldassarre Peruzzi (1535 c.ca), residenza della famiglia Massimo o Massimi. Un primo palazzetto della famiglia sorgeva qui già nel XV secolo, edificato sulle rovine dell'Odeon di Domiziano (piccolo teatro destinato a manifestazioni musicali e di canto, della fine del I secolo dC); aveva la facciata sul retro, nell'attuale piccola piazza Massimi, al centro della quale si erge infatti l'unica colonna superstite (molto restaurata) dell'antico teatro, qui collocata nel 1950.

Palazzo Massimo alle Colonne

Palazzo Massimo di Pirro e la colonna superstite dell'Odeon
In questo palazzetto nel 1467 due tipografi tedeschi aprirono la prima stamperia della città. Andò pressoché distrutto in un incendio durante il sacco di Roma (1527), e fu così che Peruzzi lo ricostruì e lo ampliò, utilizzando le case adiacenti. Dato che le fondazioni poggiano sui resti dell'antico Odeon, l'attuale facciata ne segue la curvatura. Ha un elegante portichetto di accesso sorretto da colonne (da cui il nome, che lo distingue da un altro Palazzo Massimo presso le terme di Diocleziano), con soffitto a cassettoni.
Il retro, cioè il palazzetto originale, è oggi detto Palazzo Massimo di Pirro, in quanto presso le sue fondazioni fu rinvenuta una statua di Marte erroneamente interpretata come Pirro, re dell'Epiro; dopo la ricostruzione, la facciata venne interamente coperta di affreschi di Daniele da Volterra, oggi assai male conservati (illustrazione qui in basso).

Un altro punto di riferimento di Parione è Campo de' Fiori [12]. In origine questa era un'area dove, a partire dal Quattrocento, si vendevano erbe e fiori (donde il suo nome). Solo nella seconda metà dell'Ottocento la gamma dei generi si estese anche alle derrate alimentari, che in precedenza venivano vendute in piazza Navona.
Di mattina è tutt'ora animato da un vivace mercato; dalle ore serali fino a notte inoltrata, invece, la piazza e i suoi dintorni diventano un affollatissimo punto di ritrovo dei giovani.
la statua di Giordano Bruno

← il mercato di Campo de' Fiori

Nell'età della Controriforma Campo de' Fiori era uno dei siti deputati alle esecuzioni; nel suo centro, dove un tempo sorgeva la fontana che oggi si trova davanti all'anzidetto Oratorio di San Filippo Neri, si erge la scura sagoma incappucciata di Giordano Bruno, il filosofo che l'Inquisizione nell'anno 1600 condannò con l'accusa di eresia ad essere arso in questa piazza. Dalla fine dell'Ottocento, quando fu eretta la statua, i liberi pensatori hanno eletto Campo de' Fiori a luogo simbolico di ritrovo.


il borghetto di Arco degli Acetari
Dal lato settentrionale della piazza originano due strette strade, via dei Cappellari e via del Pellegrino; nei primissimi metri di quest'ultima, sul lato sinistro si apre un arco che immette in una piccola corte interna, estremamente pittoresca, circondata da case tradizionali romane, con la tipica scala all'esterno dell'edificio: questo è il borghetto di Arco degli Acetari [13], uno dei gioielli del rione più nascosti ai turisti.
Poco più avanti un altro passaggio, Arco di Santa Margherita, il cui angolo è impreziosito da un'altissima "madonnella" settecentesca a sviluppo verticale, mette in collegamento via del Pellegrino con via dei Cappellari, che verso sinistra porta nuovamente a Campo de' Fiori.

Invece presso l'estremità meridionale di Campo de' Fiori, in epoca antico-romana sorgeva il Teatro di Pompeo (metà del I secolo aC), il primo del suo genere edificato in muratura, quindi permanente; prima di allora i teatri erano costruiti in legno e dopo un po' venivano smontati.
Era anche il più grande teatro di Roma, riccamente ornato da statue, affreschi, rivestito da marmi preziosi, e aveva perfino un piccolo tempio dedicato a Venere alla sommità della cavea semicircolare, dove sedevano gli spettatori. Quest'ultima parte dell'edificio seguiva la direzione dell'attuale via di Grotta Pinta [14], dove tutt'ora i palazzi sono allineati seguendo una curva che corrisponde a quella della cavea semicircolare dell'antico teatro, quasi come uno stampo. Gli edifici corrispondono al retro di Palazzo Pio, descritto qui in basso.
(↑ in alto) dettaglio del palazzetto in piazza del Biscione
e gli edifici ricurvi in via di Grotta Pinta (a destra →)

Uno stretto passaggio pubblico ricavato a lato della minuscola chiesa sconsacrata di Santa Maria di Grottapinta (con ogni probabilità la "grotta pinta" del toponimo è il al passaggio stesso) attraversa la base di uno dei suddetti edifici, mettendo in comunicazione via di Grotta Pinta e piazza del Biscione; sul lato di quest'ultima, il palazzetto a sinistra, del XVII secolo, ha una facciata che conserva ancora graziose decorazioni ad affresco nella metà superiore; il grande edificio a destra, invece, è Palazzo Pio (per esteso, Palazzo Orsini Pio Righetti), costruito nel 1450 in corrispondenza della posizione del Tempio di Venere del teatro; fu poi trasformato in forme barocche alla metà del Seicento, quando dagli Orsini passò ai Pio di Savoia. Nel 1864, nel cortile del palazzo fu rinvenuta una bella statua di Ercole in bronzo, ora esposta ai Musei Vaticani.

← pianta del Teatro di Pompeo (in blu) sovrapposto a quella attuale;
i numeri corrispondono a quelli della pianta di riferimento del rione

Il "biscione" da cui prende il nome la piazza era riferito allo stemma degli Orsini, che contiene, tra le altre imprese araldiche, una biscia.

Sempre sulle rovine del Teatro di Pompeo, sul lato ora costeggiato da via dei Giubbonari, fu edificata la piccola chiesa di Santa Barbara. Questa chiude il fondo di Largo dei Librari [15], una piazzetta di forma triangolare, quasi all'estrema punta meridionale del rione. Sul suo lato destro si trova una popolarissima trattoria, aperta oltre mezzo secolo fa, che vende filetti di baccalà fritto a portar via: verso ora di cena la piazzetta si popola di gente di ogni età che sgranocchia questa leccornia.

largo dei Librari, con in fondo la chiesa di Santa Barbara