~~~ 1ª parte ~~~






NOME
Trastevere è la versione italiana dell'espressione latina trans Tiberim, cioè "al di là del Tevere". Questa fu la prima area abitata sulla riva occidentale del fiume.
Lo stesso nome Regio Transtiberim (talora scritto Transtyberim) fu adottata nel tardo medioevo dopo che già in epoca romana alla Regio XIV, una delle regiones la cui istituzione era stata decretata da Ottaviano Augusto, era stato imposto questo nome.

STEMMA
Una testa di leone.
La relazione tra questo simbolo e il rione non è nota; l'unica spiegazione è quella fornita alla fine dell'Ottocento dal romanista Giuseppe Baracconi (poi ripresa anche da Mario Dell'Arco e da altri romanisti), secondo cui ai piedi del Campidoglio, a partire dal 1100 vi fu l'usanza di tenere in gabbia un leone, quale simbolo di forza e regalità di Roma. Finché nel 1414 un giovane, avvicinatosi troppo imprudentemente, finì sbranato dalla fiera; questa fu soppressa e la tradizione si interruppe. Le spoglie dell'animale furono allora consegnate al caporione di Ripa, che provvide a seppellirle sull'altra sponda, cioè in Trastevere. Quando quest'ultimo divenne ufficialmente uno dei rioni di Roma, scelse per simbolo la testa di quel leone.

stemma del rione Trastevere
Seppure è riscontrabile in tale racconto un elemento verosimile, cioè l'esistenza di un leone in gabbia presso il Campidoglio (durante il medioevo, per un certo periodo, nello stemma di Roma il leone sostituì la celebre lupa), è la seconda parte della storia che lascia qualche perplessità. Se infatti la scelta di sotterrare l'animale in Trastevere, cioè fuori dal rione Ripa, fosse dipesa dall'essere quelle spoglie considerate foriere di cattiva sorte, non si comprende perché Trastevere dovesse poi adottare come proprio simbolo la testa della fiera. Se, viceversa, fossero state considerate positivamente, perché andarle a seppellire in un altro territorio? Infatti sebbene Trastevere entrò ufficialmente a far parte di Roma attorno al Trecento, già da qualche secolo prima veniva percepito come un'area a sé stante (cfr. l'elenco dei rioni nelle prime guide per pellegrini pubblicate in quel periodo, citate nell'introduzione). C'è anche da notare che nessuna fonte antecedente a Baracconi (1889) ha mai documentato tale episodio.

via di San Francesco di Sales
le alture del Gianicolo dominano
la parte settentrionale del rione
CONFINI
Piazza della Rovere; galleria Principe Amedeo di Savoia; viale delle Mura Aurelie; viale delle Mura Gianicolensi; viale Aurelio Saffi; viale delle Mura Portuensi; piazzale Portuense; porto di Ripa Grande; lungotevere Ripa; lungotev. degli Alberteschi; piazza della Gensola; lungotevere degli Anguillara; lungotevere Raffaello Sanzio; lungotevere Farnesina; lungotevere Gianicolense.
vicolo del Leopardo
anche la biancheria stesa contribuisce a dare colore a Trastevere

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta a sinistra)
pianta di riferimento di Trastevere L'esteso rione, secondo per dimensioni solo a quello di Monti, tradizionalmente contende a quest'ultimo la palma di più "verace" tra i rioni di Roma. Dalla sponda orientale del Tevere vi si accede attraverso ben sette ponti e, da solo, copre l'intero settore sud-occidentale del nucleo storico della città.
Prima della fondazione di Roma, rappresentava l'estrema propaggine a sud dell'Etruria, il cui confine coi Latini era il Tevere. Dall'età repubblicana vi risiedette la comunità siriaca e, a partire dalla fine del II secolo aC, anche quella ebraica. Venne ufficialmente inclusa tra le regiones urbane dall'imperatore Ottaviano Augusto, che vi fece costruire una naumachia, cioè uno stadio per battaglie navali.
Poi, durante il medioevo, la popolazione di Roma si ridusse considerevolmente; la comunità ebraica si trasferì un po' alla volta sulla sponda orientale del fiume (più vicino al centro della città) e l'area rimase deserta. Per tale motivo, quando verso la metà del XII secolo gli amministratori romani fissarono i nuovi confini di dodici rioni, Trastevere non fu incluso tra di essi. Rientrò a far parte del contesto urbano solo due secoli più tardi, quando la popolazione di Roma aveva già ricominciato a crescere di numero.

Il rione può essere diviso in tre parti, ciascuna delle quali con un proprio carattere: il versante orientale del Gianicolo, la striscia di terra compresa tra quest'ultimo e il fiume, e infine un'area più a sud, racchiusa entro una profonda ansa del Tevere.
La prima parte, delimitata dalle poderose mura costruite nella prima metà del Seicento sotto papa Urbano VIII (cfr. Le mura dei papi), è ancora per lo più un'area verde, sebbene disseminata di monumenti e testimonianze della storia di Roma del XIX secolo.
piazza Giuseppe Garibaldi
la statua di Garibaldi sul Gianicolo
La seconda parte ha conservato il suo tessuto fatto di stretti vicoli dall'andamento spesso tortuoso, ma le vie principali sono prese d'assalto dai turisti di giorno e dai giovani di sera, anche a causa dell'elevato numero di bar, ristoranti, pub, vinerie ed altri locali pubblici sorti negli ultimi decenni, risultando spesso troppo affollata. L'estremità meridionale, più tranquilla e in alcuni angoli un po' decadente, è ancora ricca di tesori artistici e scorci pittoreschi.
piazza Giuditta Tavani Arquati
una bizzarra finestra
in piazza Tavani Arquati

Il Gianicolo è l'altura maggiore e più estesa del nucleo storico di Roma, ma non fa parte dei famosi sette colli su cui la città venne fondata; è per questo anche detto "l'ottavo colle". Il suo nome probabilmente deriva da Giano, dio a due teste protettore dell'inizio di tutte le cose e dei luoghi di transito; poi, durante il medioevo, venne chiamato Mons Aureus ("monte d'oro") per il colore ambrato della sua sabbia, ma in seguito il nome fu corrotto in Montoro o Montorio (cfr. più in basso nella pagina). È il punto panoramico migliore, specialmente nel tardo pomeriggio quando la città ai suoi piedi al tramonto viene inondata di luce giallastra, che esalta il tipico colore degli edifici romani. passeggiata del Gianicolo
strepitosa vista dalla sommità del Gianicolo
Una strada percorre l'intera sommità del colle, con vedute mozzafiato che si spingono fino all'orizzonte; è chiamata la Passeggiata del Gianicolo e fu aperta nel tardo Ottocento, quando le aree verdi che in origine erano vigne private o terreni di ville, furono adibite a giardino pubblico, trasformandosi in uno dei luoghi di ritrovo più alla moda per la buona società romana del tempo.

È consigliabile affrontare la passeggiata cominciando dalla sua estremità settentrionale, cioè dal punto in cui Trastevere confina con Borgo.
Da piazza Della Rovere due rampe parallele, divise dal confine rionale, si inerpicano lungo il lato orientale del colle, all'imbocco del traforo che corre sotto il Gianicolo; sul lato che appartiene a Borgo la strada segue un massiccio bastione del XVI secolo che scavalca la cima del colle (cfr. Le mura dei papi).
via di Sant'Onofrio
la sommità di via di Sant'Onofrio
Tuttavia se si vuole evitare almeno per un tratto il traffico automobilistico, è preferibile seguire la stretta via di Sant'Onofrio, un vicolo che origina dal lungotevere circa 100 m più a sud e che culmina in una ripida rampa di scale.
Per l'una o per l'altra via si giunge ad un complesso comprendente la chiesa di Sant'Onofrio e l'annesso convento [1], appartenenti alla Città del Vaticano e dunque insignito del privilegio dell'extraterritorialità. Risale alla prima metà del Quattrocento, quando col denaro raccolto attraverso elemosine fu edificato un romitorio, in un luogo che a quei tempi era ancora fuori mano; infatti l'anzidetta via di Sant'Onofrio fu aperta solo qualche decennio dopo, per consentire una via di accesso dal basso, e perché fosse lastricata si dovette attendere il secolo succesivo.
Il complesso si sviluppa sui due lati di un piccolo giardino, che ha anche una fontana (una copia di quella attualmente in piazza delle Cinque Scole, cfr. la monografia Fontane), le cui parti superiori, cioè il catino e il balaustro, trasferite qui nel 1924 da piazza Giudea, vi rimasero fino al 1930, quando furono riportate e rimontate accanto alla loro sede originaria. Sotto il portici, presso il portone della chiesa, si trova la pietra tombale del fondatore del complesso, il beato Nicola da Forca Palena (m.1449), mentre le lunette sono decorate da affreschi di Domenichino (Domenico Zampieri, 1605).

piazza Sant'Onofrio
scene della vita di Maria (1516)
All'interno della chiesa sono conservate alcune opere del primo Rinascimento, tra cui i dipinti absidali di Baldassarre Peruzzi (qui a sinistra) e un'Annunciazione di Antoniazzo Romano della seconda metà del Quattrocento; qui è anche la tomba di uno dei maggiori poeti italiani dell'epoca, Torquato Tasso, che dimorò nel convento durante gli ultimi mesi della sua vita, morendovi nel 1595. piazza Sant'Onofrio
il giardino di Sant'Onofrio

Dal giardino, un passaggio coperto conduce al chiostro, anch'esso decorato con un ciclo di affreschi ben conservati, con didascalie in italiano e in latino, dipinti in occasione del Giubileo del 1600 dal Cavalier d'Arpino (Giuseppe Cesari) o dalla sua scuola. Narrano la vita di Onofrio (Onuphrius), figlio del re di Persia, che visse nel IV o nel V secolo e che divenne un eremita cristiano.
Il vasto istituto che circonda il complesso di Sant'Onofrio è l'ospedale pediatrico di Roma, uno dei maggiori d'Italia, fondato nel 1869; fu offerto in dono a Pio XI nel 1924, quindi è anch'esso una proprietà del Vaticano in regime di extraterritorialità.

Dove la strada fa una curva a gomito a destra, sul lato della strada opposto all'ospedale si vede in alto una struttura metallica che sostiene i resti di un albero vecchissimo e ormai morto; è popolarmente detto "quercia di Torquato Tasso" [2], in quanto pare che il poeta, durante il suo soggiorno presso il vicino convento, amasse trascorrere lunghe ore sotto i suoi rami, quando questi erano ancora coperti di foglie.
Anche San Filippo Neri (1515-95, che i romani chiamavano Pippo Bòno) era solito condurre qui i bambini delle classi sociali più basse a cui faceva da insegnante, intrattenendoli con giochi, per toglierli dalla strada. L'albero si seccò nel 1843, quando fu colpito da un fulmine.
La vecchia quercia guarda verso un minuscolo teatro all'aperto, costruito nel 1619 sul sito di una cavità naturale del fianco del colle, dove in passato si tenevano feste popolari. Dopo essere caduto in abbandono per un tempo lunghissimo, a metà degli anni '60 è stato ristrutturato e da allora viene usato nel periodo estivo per tenervi rappresentazioni di opere classiche.
passeggiata del Gianicolo - rampa della Quercia
la quercia di Torquato Tasso

La rampa di scale presso l'antica quercia è una scorciatoia che permette di evitare due stretti tornanti della strada.

passeggiata del Gianicolo
passeggiata del Gianicolo
il faro del Gianicolo
di giorno e al tramonto
In cima alle scale, appena qualche metro più avanti, un alto monumento bianco a forma di faro [3] è certamente un incontro insolito sulla sommità di un colle. Fu regalato a Roma nel 1911 come pegno di amicizia da parte della comunità italiana risiedente in Argentina. Dal tardo Ottocento all'inizio del Novecento migliaia di famiglie lasciarono l'Italia alla ricerca di una vita migliore in Sudamerica; partendo per nave, l'ultima immagine che conservavano della loro terra natia era per l'appunto un faro. Quindi il monumento, che potrebbe apparire bizzarro, è in realtà una toccante testimonianza della storia d'Italia più recente. Al tramonto il faro si accende di una luce verde bianca e rossa, i colori della bandiera nazionale.

La terrazza lì accanto, dove la vista sulla città è già notevole, è famosa anche perché da questo luogo i detenuti nel carcere di Regina Coeli [4], situato a valle, erano soliti ricevere messaggi vocali da parenti ed amici, che li gridavano dalle alture del Gianicolo; fino a qualche decennio fa quest'usanza era ancora in auge.
Il carcere, un enorme complesso che si estende dalle pendici del colle fino alla riva del fiume, risale alla fine del XIX secolo e prende il nome dal titolo di una chiesa preesistente. Fa parte della tradizione popolare romana al punto che una vecchia canzone della malavita dei primi del Novecento (cfr. la canzone romana) recita: "drento Reggina Cèli c'è 'no scalino, chi nun salisce quello nun è romano" ...il che la dice lunga!

Proseguendo in direzione sud, la strada giunge ad un piccolo spiazzo sulla destra, dove un monumento di una giovane donna a cavallo [5] ricorda Anita Garibaldi (1821-49), eroina romantica dei moti risorgimentali che portarono all'unificazione d'Italia. Brasiliana di nascita, era la moglie del celeberrimo generale ed eroe nazionale Giuseppe Garibaldi, che ella accompagnò nelle sue campagne militari, compresa quella del luglio 1849 in cui Roma tentò invano di respingere gli Zuavi, mercenari francesi a cui si era appellato papa Pio IX dopo essere stato spodestato dalla Repubblica Romana. Nello scontro durissimo, che vide il Gianicolo come principale teatro dello scontro, il popolo combatté fianco a fianco con le Camicie Rosse di Garibaldi (si veda oltre nella pagina per altre memorie di questo episodio storico). passeggiata del Gianicolo
il complesso carcerario di Regina Coeli, visto dal Gianicolo

passeggiata del Gianicolo Nel monumento Anita è ritratta mentre regge un bambino con una mano e solleva una pistola con l'altra, sottolineando il suo duplice ruolo di madre e di combattente rivoluzionaria; infatti era in attesa del quinto figlio quando si ammalò durante l'assedio di Roma, morendo circa un mese più tardi all'età di 28 anni.
I suoi resti riposano alla base del monumento, dove furono trasferiti nel 1932 da Nizza, in Francia. L'autore della statua è Mario Rutelli, tra le cui altre opere a Roma è anche la Fontana delle Naiadi. passeggiata del Gianicolo
← il monumento ad Anita e il suo sepolcro ↑

Nei giardini che da ambo i lati fiancheggiano la strada si trovano circa 80 busti di personalità militari che presero parte alla suddetta battaglia. La loro forma e disposizione ricorda molto quella dei busti di italiani famosi situati nei giardini del Pincio (cfr. Curiosità romane pagina 14).

Proprio sul punto più alto del colle la strada si apre a formare un'ampio piazzale, al cui centro si erge il maestoso monumento equestre a Giuseppe Garibaldi [6], l'Eroe dei Due Mondi, indubbiamente uno dei personaggi storici italiani più popolari per aver combattuto campagne d'indipendenza tanto in Europa che in Sudamerica. Il monumento è qui dal 1895, cioè 17 anni dopo la sua morte. L'intero lato del piazzale che guarda ad est è chiuso da una lunga balconata: affacciandosi da qui la vista sull'intera città si estende fino ai colli che circondano Roma.
Appena più in basso, invece, è la piattaforma dove ogni giorno ha luogo la cerimonia dello sparo del cannone a mezzogiorno (cfr. Curiosità romane), una delle tradizioni romane più amate da grandi e piccini, a cui assiste solitamente una piccola folla, soprattutto nel fine settimana.


lo sparo del cannone a mezzogiorno
piazza Giuseppe Garibaldi
il monumento a Giuseppe Garibaldi

Da questo punto la strada principale si divide in due rami distinti, separati da un giardino e poi da Villa Aurelia [7], una residenza costruita nel Seicento per un cardinale della famiglia Farnese; l'edificio cambiò proprietari diverse volte, e nel 1849 funse anche da quartier generale di Garibaldi. Infine nel 1913 divenne la sede dell'Accademia Americana di Roma.

piazza Giuseppe Garibaldi
il panorama da piazza Giuseppe Garibaldi

passeggiata del Gianicolo
il busto di Goffredo Mameli e di altri patrioti che difesero Roma
Prendendo il ramo destro della strada, quasi al termine si scorge la cosiddetta Casa di Michelangelo [8]. È la facciata di un edificio del XVI secolo che un tempo sorgeva accanto al Foro Romano, molto probabilmente prossima all'abitazione del famoso artista. Quando l'intero quartiere fu demolito nei primi anni del '900, il prospetto di questa casa fu risparmiato, per essere poi ricostruito sul Gianicolo, dove ora fa da copertura ad una semplice cisterna d'acqua sul retro.

Dove termina l'area verde si erge la massiccia e squadrata Porta San Pancrazio [9], anticamente appartenente alla cinta di mura cittadine (cfr. Mura aureliane); fu ricostruita nella prima metà del Seicento e divenne parte delle mura innalzate da Urbano VIII. Anche questa seconda porta fu danneggiata nel 1849, durante l'assedio di Roma. La struttura attuale (cioè la terza porta) risale al 1854.

La strada che attraversa la porta e si dirige a valle prende il nome da Garibaldi; assai presto arriva alla gigantesca Fontana dell'Acqua Paola [10], realizzata nei primi anni del Seicento (descritta in Fontane, III parte pagina 12 e Le mura dei papi, III parte), conosciuta a Roma come er funtanone, uno dei luoghi imperdibili per qualsiasi visitatore, anche per la magnifica vista sulla città dal balcone dirimpetto l'enorme mole.
Una scalinata, la cui parete sinistra ingloba alcuni resti delle antiche mura aureliane (cfr. Le mura dei papi), fa da scorciatoia verso la parte più a valle di via Garibaldi; ma vale la pena di continuare a seguire la strada principale, perché conduce ad altri siti di interesse storico ed artistico.

Infatti, appena più a valle, via Garibaldi passa accanto ad un grosso monumento quadrato, con archi che si aprono su tutti e quattro i lati [11], situato al centro di un giardinetto; il suo candore contrasta nettamente col verde scuro degli alberi che lo circondano. Si tratta di un sacrario dedicato ai caduti dell'anzidetta battaglia del 1849; il monumento fu edificato nel 1941 (cioè quasi un secolo dopo gli eventi storici che commemora) e pertanto è fortemente imbevuto dello stile retorico e roboante dell'architettura fascista, tipica di quegli anni. Nella cripta sono ricordati i nomi dei militari e civili che persero la vita, e vi sono conservati i resti di Goffredo Mameli, il poeta patriota che scrisse i versi dell'inno nazionale italiano, qui traslati dal cimitero monumentale. via Giuseppe Garibaldi
il monumento sacrario ai caduti del 1849

piazza di San Pietro in Montorio
il Tempietto di Bramante
Appena più a valle, sul lato opposto di via Garibaldi, una piccola piazza è occupata dal complesso di San Pietro in Montorio [12] (dal nome medievale del Gianicolo), che comprende una chiesa e un edificio annesso che attualmente ospita l'Accademia di Spagna a Roma. La chiesa fu fondata nel medioevo, sul luogo erroneamente ritenuto quello dove San Pietro fu crocifisso; venne poi ricostruita dal re spagnolo Ferdinando IV alla fine del Quattrocento, per cui da allora è sempre stata una delle chiese nazionali spagnole della città. Tra le opere d'arte che vi sono conservate spiccano una cappella costruita da Gian Lorenzo Bernini e un dipinto (una Flagellazione, 1520 circa) di Sebastiano del Piombo, famoso pittore veneziano che forse ricevette i disegni preparatori da Michelangelo.
Al centro di un minuscolo cortile adiacente alla chiesa si trova il celebre Tempietto di Donato Bramante (1502), un capolavoro dell'architettura rinascimentale, le cui forma armoniose hanno ispirato le creazioni di numerosi artisti nei secoli seguenti. Sul pavimento della cripta del piccolo tempio si apre un foro rotondo che, secondo l'antica credenza, fu lasciato dalla croce di San Pietro piantata nel suolo.

La lunga e tortuosa via Garibaldi termina presso un incrocio, il cui lato sinistro è caratterizzato dalla presenza di una porta romana, Porta Settimiana [13], completamente ristrutturata nel Seicento (è descritta più in dettaglio in Le mura dei Papi).
Da qui comincia il rettifilo di via della Lungara, un tempo semplicemente la Lungara (cioè la "strada lunga"), che si estende per circa 1 Km in direzione del Vaticano. Fu una delle primissime strade di questo tipo della Roma rinascimentale, voluta da papa Giulio II agli inizi del Cinquecento aprendo un passaggio diretto in direzione della tomba di San Pietro attraverso il labirinto di vecchi vicoli medievali che formavano il rione Trastevere. Rifletteva un tipico gusto cinquecentesco per le strade lunghe e rettilinee, che collegavano punti di una certa importanza: in questo caso, le Porte Settimiana e Santo Spirito; quest'ultima era uno degli ingressi all'area del Vaticano. Strade analoghe furono aperte anche nel rione Ponte (via Recta, attualmente via dei Coronari), nel rione Regola (via Giulia), e in varie altre parti di Roma. via della Lungara
Porta Settimiana

Su via della Lungara, appena superata la porta, si affaccia Villa Farnesina [14], la grande residenza che il ricco banchiere senese Agostino Chigi, trasferitosi a Roma, aveva fatto costruire a Baldassarre Peruzzi lungo la riva del fiume nei primi anni del XVI secolo.
via della Lungara - lungotevere della Farnesina
Villa Farnesina
Molte delle sale sono riccamente decorate con affreschi di Raffaello, Giulio Romano (suo allievo) e Sebastiano del Piombo. La famiglia Farnese acquistò la villa nel 1590, da cui l'attuale nome Farnesina. La stessa famiglia aveva anche progettato di costruire un ponte attraverso il Tevere, per collegare la villa alla loro grande residenza urbana, Palazzo Farnese (cfr. Rione VII, Regola), situato in corrispondenza ma sulla sponda opposta del fiume.
I Farnese organizzavano spesso a Villa Farnesina delle sontuose feste e banchetti. Per mostrare la loro grandezza, dopo ogni pasto gettavano nel fiume i piatti e le posate appena usate, che erano di argento massiccio. Ma una lunga rete lungo la riva del fiume, tesa strategicamente sotto il pelo dell'acqua, permetteva ai proprietari di recuperarle in seguito.

Villa Farnesina è attualmente la sede di rappresentanza dell'Accademia Nazionale dei Lincei, la più alta istituzione culturale italiana, delle cui origini si parla anche nel rione Ponte. Il confine meridionale dei giardini della villa è ancora demarcato da un breve tratto superstite dei mura aureliane, con due torri, una delle quali si vede sul fondo di vicolo Moroni, l'altra dal lungotevere della Farnesina (cfr. Le mura dei papi).

Un altro grande palazzo situato sul lato opposto della via, proprio di fronte all'anzidetta villa, è Palazzo Corsini. Fu costruito da Clemente XII (Lorenzo Corsini, papa tra il 1730 e il 1740), ampliandone e ristrutturandone uno più piccolo appartenuto a Raffaele Riario, nipote di papa Sisto IV (1471-84); questi si era dovuto trasferire a Trastevere quando il suo primo palazzo, attualmente detto della Cancelleria (cfr. Parione), gli fu espropriato in quanto era rimasto coinvolto in un complotto contro un terzo papa, Leone X. Ora ospita una galleria d'arte, che comprende una collezione di dipinti del Seicento e del Settecento.

Un centinaio di metri più avanti, sul lato destro di via della Lungara, si trova l'antica chiesa di San Giacomo alla Lungara [15]. Sulla parete accanto al'altare maggiore si conserva un bizzarro monumento alla memoria di Ippolito Merenda (m.1636), giurista dell'inizio del Seicento, vicino alla famiglia Barberini, che lasciò alla chiesa una cospicua somma; è costituito da uno scheletro volante a grandezza naturale che dispiega un drappo recante l'iscrizione, opera attribuita a Gianlorenzo Bernini.
via della Lungara - San Giacomo
il monumento in ricordo di Ippolito Merenda
con lo scheletro volante di Bernini
Ma la chiesa vanta anche un altro curioso primato: possiede l'unico campanile romanico di Roma con semplici finestre monofore (cioè non a bifore o polifore, divise da una o più colonnine, come si trovano comunemente negli altri campanili di questo stile); infatti quando agli inizi del Novecento la zona subì delle pesanti ristrutturazioni per la costruzione dei muraglioni lungo le rive del Tevere, la chiesa sarebbe stata demolita, come tutte le altre antiche costruzioni lungo il fiume, se non fosse stato per la sua torre campanaria che la fece risparmiare, per cui venne in seguito parzialmente incorporata in un edificio più moderno. lungotevere della Farnesina
il campanile della chiesa di San Giacomo

Via della Lungara prosegue passando davanti al carcere di Regina Coeli, di cui si è detto in precedenza, per raggiungere infine il punto di partenza, piazza Della Rovere.


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