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Fontane
· III parte ·
fontane maggiori

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LE FONTANE DI PIAZZA NAVONA

Nel 1574 una delle nuove diramazioni dell'Aqua Virgo raggiunse il sito dove anticamente sorgeva lo stadio dell'imperatore Domiziano. Un ampio spazio aperto durante il medioevo, che nel Rinascimento era progressivamente diventato piazza, pur mantenendo la sua forma originaria lunga e ovale, con edifici sorti tutt'intorno al suo perimetro. Una volta chiamata ufficialmente piazza in Agone, nel XVI secolo questo nome era già stato corrotto dal popolo in quello più popolare di piazza Navona.

LE FONTANE LATERALI

Secondo il documento della congregazione dei cardinali, in questo luogo dovevano sorgere due fontane, ad entrambe le estremità dell'ovale.
Poiché la conduttura attraversava il centro della piazza, fu deciso di aggiungere al progetto originale una terza fonte d'acqua corrente, un semplice "beveratore" per cavalli, a metà fra le opere più grandi.
Delle due fontane principali se ne occupò Della Porta.

piazza Navona (primi del '600): si vedono bene le due fontane e il beveratore al centro;
nella metà sinistra della piazza una piccola folla circonda un ambulante o un ciarlatano
Su suo progetto vennero realizzate due vasche di marmo di forma mistilinea; nella versione originale poggiavano su due gradini. Poi ciascuna delle due venne circondata da una cancellata marmorea, per impedire che le molte carrozze che transitavano nella piazza arrecassero loro dei danni.
Poiché le due vasche necessitavano ancora di decorazioni, Della Porta pensò di riciclare i quattro grandi tritoni che erano stati già scolpiti per piazza del Popolo (cfr. pagina 2), ma erano stati tenuti da parte.

le maschere e i tritoni attorno alla vasca
Questi furono usati per la fontana all'estremità meridionale della piazza: qui l'acqua sgorgava da un modesto gruppo di rocce nel centro della vasca e dai corni suonati dai quattro tritoni. Piccoli gruppi aggiuntivi, raffiguranti una maschera in mezzo a due delfini, furono scolpiti per ciascuna delle due fontane.
Ma quando fu il momento di scolpire i rimanenti quattro grandi tritoni (o simili figure) per la fontana del lato nord, i fondi erano terminati. Anche le maschere che avrebbero dovuto ornare la sua vasca spoglia furono dirottate ai lavori di costruzione di un'altra fontana che Della Porta stava conducendo, davanti al Pantheon.

Tale disposizione rimase invariata per quasi un secolo.
Quando nel 1651 il beveratore al centro della piazza fu rimpiazzato dalla famosa Fontana dei Fiumi di Bernini (descritta nella seconda metà di questa pagina), con i fondi che avanzavano venne ingrandita anche la fontana meridionale.
Per quale ragione i soldi furono spesi per questa e non per quella sul lato opposto, ancora incompiuta, lo si comprende facilmente osservando che a sud della piazza, dirimpetto alla fontana, sorge Palazzo Pamphilj e colui che aveva ordinato i lavori era lo stesso proprietario dell'edificio, papa Innocenzo X, al secolo Giovanni Battista Pamphilj.
Bernini, incaricato anche di questo lavoro, sostituì le rocce con un gruppo formato da tre delfini sormontati da una grossa conchiglia, un murice, che il popolo di Roma non tardò a soprannominare "la Lumaca".


la fontana nel 1630, prima degli interventi di Bernini e (a destra) Palazzo Pamphilj →


Innocenzo X non fu molto soddisfatto delle dimensioni piuttosto ridotte del gruppo e solo un anno dopo se ne sbarazzò regalandolo a sua cognata, la famosa (e malfamata) Donna Olimpia. A Bernini fu quindi chiesto di creare qualcosa di più grande.


la soluzione finale per la Fontana del Moro,
compresa la piscina aggiunta da Bernini
Dopo un ulteriore tentativo non andato a buon fine, il versatile artista finalmente soddisfece il papa disegnando una figura barbuta discinta, nell'atto di trattenere un delfino per la coda, mentre dalla bocca di quest'ultimo, fra le gambe dell'uomo, esce l'acqua. Stanti le proporzioni fra le due statue, o l'uomo è un gigante, oppure il delfino è nano!
L'espressione facciale della figura maschile, vagamente somigliante a quella di un africano (benché Bernini non l'avesse scolpito così di proposito), fece sì che la si indicasse comunemente come "il Moro", donde il nome Fontana del Moro, che tutt'ora viene usato ufficialmente.
Invece l'altra fontana, all'estremo nord della piazza, priva di alcun particolare gruppo o decorazione, veniva chiamata Fontana dei Calderai, dalle vicine botteghe che vendevano pignatte, padelle e altre stoviglie di metallo.

Nel disegnare la figura del moro - almeno la sua metà superiore - è probabile che Bernini si sia ispirato alla popolare "statua parlante" di Pasquino (vedi le statue parlanti di Roma), situata a soli 50 metri da questo punto, come il confronto diretto fra le due figure sembra chiaramente suggerire.
Ciò è strano, perché a causa delle sue pessime condizioni, nessun artista avrebbe pensato a scegliere Pasquino come modello.
Inoltre, in quel periodo le "statue parlanti" costituivano il peggior nemico del papa-re (che in questo caso era il committente di Bernini) e il vecchio torso senza arti si assumeva la paternità di gran parte dei cartelli satirici contro i potenti, che spesso gli venivano affissi nottetempo.
Ma Bernini era notoriamente un uomo di spirito e la sua scelta potrebbe non essere stata una pura coincidenza, magari una vendetta per come Innocenzo X lo aveva trattato in precedenza.

il Moro (a sinistra) e
il vicino Pasquino

Essendo stati racimolati i fondi per le opere di piazza Navona, Bernini tolse tanto i gradini che le cancellate da entrambe le fontane, quella a nord e quella a sud, e realizzò per la sola meridionale una vasca a terra più grande, o piscina, che circondava completamente la struttura originaria, ripetendone la forma e senza dubbio migliorandone l'aspetto.

Intanto, all'estremità settentrionale della piazza, la sempre più negletta Fontana dei Calderai rimaneva senza tritoni, senza maschere e soprattutto senza gruppo centrale. Il papa successivo, Alessandro VII, gli fece costruire una piscina come quella del lato sud. Ma per essere completata, questa fontana dovette attendere la caduta del papato.

la Fontana del Nettuno ed alcuni dei suoi gruppi (XIX secolo)

Nel 1873, non più i capricci di un pontefice, ma un concorso pubblico indetto dal Comune scelse il gruppo centrale disegnato da Antonio della Bitta, raffigurante Nettuno nell'atto di infilzare un grosso polpo col tridente, circondato da figure più piccole di cavalli, putti e naiadi, in ordine alterno, di Gregorio Zappalà. Ovviamente il nome mutò in quello di Fontana del Nettuno.


la "Lumaca" di Bernini (copia)
Il lettore potrebbe domandarsi quale fine toccò alla "Lumaca".
Questa fu effettivamente utilizzata per un'altra fontana, un'opera tarda di Alessandro Algardi, situata nel cuore di Villa Pamphilj, una volta giardino privato della nobile famiglia, ed oggi parco pubblico. In epoca recente il gruppo originale fu sostituito con una copia e trasferito alla Galleria Doria-Pamphilj.


E il vecchio abbeveratoio?
Dapprima fu trascinato all'estremità nord della piazza e semplicemente abbandonato accanto all'incompiuta Fontana dei Calderai, finché quest'ultima non fu ultimata. Poi fu trasferito a Villa Borghese, in uno spiazzo accanto al laghetto, dove tutt'oggi lo si può vedere.
Ma mentre accadeva tutto questo, a piazza Navona aveva luogo un'altro cambiamento, piuttosto scellerato.

Poiché i tritoni e i gruppi con le maschere scolpiti da Della Porta già mostravano evidenti segni del tempo, anziché restaurarli, si pensò di trasferire anche loro a Villa Borghese. A piazza Navona furono rimpiazzati con delle copie scolpite dallo sconosciuto Luigi Amici, mentre gli originali, esposti alle intemperie e agli occasionali vandali, continuarono a deperire sempre più.
In tempi recentissimi i tritoni furono rimossi, per essere sottoposti a restauro. Il beveratore e una delle maschere, invece, sono ancora lì.


Villa Borghese: (in alto) il vecchio abbeveratoio e (a destra) una delle maschere
originali di Della Porta, su un sarcofago anch'esso adattato ad abbeveratoio



LA FONTANA DEI FIUMI


Con l'approssimarsi dell'anno 1650, un anno giubilare, papa Innocenzo X aveva in mente di costruire una terza fontana in piazza Navona, dove sorgeva il suo palazzo di famiglia, rimpiazzando il beveratore al centro con qualcosa di più maestoso.


la Fontana dei Fiumi
Sotto il pontefice precedente Urbano VIII (Barberini), il fontaniere ufficiale era stato il famoso architetto Gianlorenzo Bernini. Le famiglie Barberini e Pamphilj, però, erano in conflitto, al punto che dopo la morte di Urbano VIII e l'elezione di Innocenzo X alcuni membri della famiglia Barberini, responsabili della dilagante corruzione negli anni precedenti, furono perseguitati e dovettero fuggire da Roma travestiti da donna.
Ciò spiega perché Innocenzo X scelse di non patrocinare Bernini (che aveva realizzato numerose splendide opere per la famiglia del suo predecessore), preferendogli un altro famoso architetto: Francesco Borromini.
Per la fontana centrale di piazza Navona il papa indisse un concorso, a cui presero parte gli architetti più di spicco dell'epoca; solo Bernini non fu invitato a presentare un progetto.

Borromini avrebbe potuto vincere facilmente se solo la sua creazione fosse stata un po' meno semplice di quanto riuscì a disegnare: un obelisco, la cui base era circondata da quattro conchiglie marine che gettavano acqua. In effetti Borromini non era un fontaniere e il suo nome non è rimasto legato ad alcuna delle fontane di Roma.
Bernini invece fu relegato da Innocenzo X a un ruolo di secondo piano, affidandogli l'incarico di costruire una nuova conduttura per raccogliere acqua dal punto terminale dell'Acqua Vergine (cioè l'attuale Fontana di Trevi) e condurla direttamente a piazza Navona; la vecchia diramazione, infatti, non consentiva un sufficiente flusso idrico per una terza fontana di grandi dimensioni.
In questa circostanza Bernini ricorse alla sua leggendaria astuzia.
La cognata di Innocenzo X, Donna Olimpia Maidalchini (più semplicemente Pimpa o Pimpaccia per il popolo romano, che la detestava), era una donna molto avida; specialmente dopo la morte del marito, il fratello del papa, ella era nota esercitare una forte influenza sulle decisioni di Innocenzo.
Bernini, pur non prendendo parte al concorso, elaborò ugualmente un magnifico progetto e ne realizzò un modello in argento, che poi offrì in regalo a Donna Olimpia, facendole luccicare gli occhi.

lo stemma dei Pamphilj sui due lati della fontana;
la mano che lo sostiene sul lato meridionale
appartiene all'allegoria del Danubio
Papa Innocenzo, che nel frattempo aveva respinto tutti i progetti degli altri architetti, venne senz'altro convinto dalla cognata a scegliere la fontana di Bernini.
Esiste anche un'altra versione della storia, secondo cui Bernini realizzò il modello del suo progetto in terracotta, come tutti gli altri architetti, e lo introdusse di nascosto in Palazzo Pamphilj con la complicità del cardinale Niccolò Ludovisi; quando Innocenzo X lo vide se ne innamorò al tal punto che decise di sceglierlo.
L'irascibile Borromini andò in bestia quando il papa assegnò la vittoria al suo acerrimo rivale! Le leggende sul conflitto tra questi due architetti (cfr. Roma leggendaria) nacquero in seguito a questo episodio.

Le spese per la nuova fontana si rivelarono così elevate che per soddisfare la cognata Innocenzo X dovette imporre una tassa sul pane e al tempo stesso ridurre leggermente il peso standard della pagnotta. E così il popolo ebbe una ragione in più per odiare Pimpaccia, che ritenevano responsabile di questa nuova vessazione.
Ciò che Bernini concepì per piazza Navona è senza dubbio la composizione più complessa e ingegnosa mai progettata per le fontane di Roma. Egli sapeva che al papa avrebbe fatto piacere che un obelisco sormontasse la fontana, in particolare quello antico romano che era stato recentemente rinvenuto presso il Circo di Massenzio, realizzato a imitazione di quelli egiziani più famosi (cfr. anche Obelischi, II parte), e che a quei tempi si riteneva originale. Bernini fece sembrare l'obelisco assai più alto poggiandolo su una piramide di rocce, che in basso formano uno spazio concavo, a forma di caverna. A quei tempi ciò era davvero una soluzione innovativa, perché i canoni architettonici classici proibivano l'uso di un basamento cavo per strutture di grande peso, quali gli obelischi. Ma Bernini dimostrò che ciò era perfettamente possibile.
↑ in alto, l'allegoria del fiume Gange
e l'alta palma che richiama l'Africa;
← a sinistra, l'obelisco sulla sommità della fontana

Per la piramide centrale, un lavoro che impegnò Bernini e la sua équipe per ben due anni, fu scelto il travertino di Tivoli, sufficientemente resistente a sopportare il pesantissimo obelisco.
Quattro enormi allegorie in marmo bianco siedono agli angoli delle rocce; esse rappresentano i maggiori fiumi di ciascuno dei quattro continenti conosciuti nel XVII secolo: il Danubio (scolpito da Antonio Raggi) per l'Europa, il Gange (di Claude Poussin) per l'Asia, il Rio de la Plata (Francesco Baratta) per l'America e il Nilo (Antonio Fancelli) per l'Africa.

L'allegoria del Nilo fu scolpita con la testa velata, in riferimento alle sorgenti del fiume allora sconosciute, essendo state scoperte solo nel XIX secolo.

il Nilo velato
Sui lati settentrionale e meridionale sono affissi due magnifici stemmi dei Pamphilj, riccamente ornati, idealmente rappresentanti l'autorità religiosa di Innocenzo X sull'intero mondo.
L'acqua si raduna in una grande vasca a terra scaturendo da diverse aperture nelle rocce e scorrendo su di esse; un tempo queste erano di colore dorato (la vernice è ormai pressoché scomparsa ovunque), ma probabilmente erano anche in parte ricoperte da vegetazione spontanea, un effetto previsto dall'autore. I numerosi rivoli e cascatelle, il cui rumore fa anch'esso parte della composizione, erano un'assoluta innovazione, perché fino ad allora le fontane avevano sempre gettato acqua attraverso uno o più zampilli convenzionali.

la teatrale posa del Rio de la Plata


Una varietà di animali fa capolino tra le rocce, in riferimento ai quattro continenti.
Sul lato orientale un leone esce dalla sua tana, cioè la caverna sotto le rocce, per bere sotto un'alta palma, che sale in alto quasi fino alla base dell'obelisco. Sul lato opposto un cavallo emerge in modo analogo, sollevando le zampe anteriori in uno sfrenato galoppo; l'animale è l'unica parte della fontana scolpita personalmente da Bernini.

il cavallo, scolpito da Bernini
Sotto il Rio de la Plata un bizzarro armadillo fa capolino dallo spigolo settentrionale della fontana. Bernini aveva avuto modo di vederne uno di persona, a Roma, perché il gesuita Athanasius Kircher, famoso egittologo che era stato consultato a proposito del testo che compare sui quattro lati dell'obelisco, possedeva una piccola raccolta privata, che conservava nel Collegio Romano; di questa faceva parte anche un armadillo impagliato (all'epoca l'animale veniva chiamato taitù), inviatogli dal Sudamerica da altri gesuiti. Fu certamente questo il modello che Bernini copiò.
il curioso armadillo

Alla base dell'allegoria, una pila di monete ci ricorda che nel Seicento era ancora viva la leggenda della Sierra del Plata, la "montagna di argento" che fin dai tempi della conquista spagnola si credeva esistesse da qualche parte in Sudamerica, e da cui lo stesso Rio de la Plata (cioè "fiume dell'argento") prende il nome. E sempre in argento doveva essere forse l'elaborata cavigliera indossata dall'allegoria. Sul lato opposto della stessa roccia, invece, spunta un gruppo di cacti, mentre alla sommità striscia un serpente che spalanca le fauci in modo sinistro.

Un grosso pesce e un serpente d'acqua nuotano in superficie nella grande vasca, ingoiando l'acqua e costituendo quindi un fantasioso dispositivo di drenaggio.


il serpente sulle rocce e il pesce che trangugia l'acqua

Non fu solo Innocenzo X ad apprezzare il capolavoro di Bernini, ma l'intera città di Roma (tranne il povero Borromini!). Quando la fontana fu finalmente scoperta al pubblico, il 12 giugno 1651, l'impressionante composizione lasciò tutti di stucco. Compiere un giro completo della fontana, infatti, era un po' come fare virtualmente il giro del mondo.

Una fedele descrizione in versi delle fontane di piazza Navona si trova nel famoso poema epico di Giuseppe Berneri Meo Patacca, scritto in un dialetto ancora arcaico e pubblicato per la prima volta nel 1695. Il passaggio relativo è contenuto nel Canto III, mentre altre immagini della Fontana dei Fiumi sono disponibili nella pagina i luoghi di Meo Patacca.




altre pagine nella III parte


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I PARTE
FONTANE ANTICHE

II PARTE
FONTANELLE