NOME
Ponte si riferisce a Ponte Sant'Angelo, l'antico Pons Aelius (Ponte Elio) che l'imperatore Adriano, chiamato per esteso Publio Elio Adriano Traiano, fece costruire nel 134 per consentire l'accesso alla sua stessa monumentale tomba, che all'epoca era in costruzione. Nel corso dei secoli il mausoleo divenne Castel Sant'Angelo, che oggi sorge appena al di là del confine rionale, in Borgo.
Ponte Sant'Angelo, oltre a essere il più bello della città, vanta come primato anche quello di aver resistito - unico tra i ponti romani - quasi duemila anni senza mai crollare per effetto delle piene del Tevere (cfr. Curiosità Romane), nonostante sia posizionato appena a monte di un brusco gomito del corso del fiume.


veduta di Ponte Sant'Angelo e una delle dieci statue di angeli che lo decorano


Ad appena una cinquantina di metri più a sud di Pons Aelius, un altro ponte antico scavalcava il fiume, Pons Triumphalis, anche noto come Ponte di Nerone, che conduceva verso gli Orti di Agrippina, il parco pubblico corrispondente all'incirca all'attuale territorio della Città del Vaticano, dove sorgeva uno stadio per le corse con le bighe chiamato Circo di Gaio e Nerone. Andò in rovina nei secoli successivi (non è noto esattamente quando); oggi ne rimangono scarsi avanzi dei piloni, che affiorano dall'acqua quando il livello del Tevere è basso.
Il nome medioevale del rione, Regio Pontis et Scortichiariorum, si rifaceva a Ponte Sant'Angelo e ai laboratori dove venivano conciate le pelli animali (scortichiarii) prima della loro lavorazione, un'attività che era molto popolare anche nel vicino rione Regola.

← Ponte Sant'Angelo (dal rione Ponte)
con Castel Sant'Angelo sullo sfondo

STEMMA
Un ponte, mostrato in due versioni: una tardo-medievale, con tre arcate e il robusto torrione all'estremità occidentale, e una rinascimentale, con le statue di San Pietro e San Paolo, che però anziché alla testata orientale del ponte (come sono disposte nella realtà) appaiono collocate una a ciascuna estremità.

CONFINI
Lungotevere Marzio; lungotevere Tor di Nona; piazza Ponte Sant'Angelo; lungotevere degli Altoviti; piazza Paoli; lungotevere dei Fiorentini; lungotevere di Sangallo; vicolo della Scimia; via dei Banchi Vecchi; via delle Carceri; vicolo Cellini; via dei Filippini; piazza dell'Orologio; via del Governo Vecchio; via del Corallo; piazza del Fico; via della Pace; via di Tor Millina; via di Santa Maria dell'Anima; via di Tor Sanguigna; piazza di Tor Sanguigna; piazza di Sant'Apollinare; via di Sant'Agostino; piazza di Sant'Agostino; via dei Pianellari; via dei Portoghesi; via del Cancello.


ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre si riferiscono alla pianta sulla sinistra)
La storia del rione è strettamente correlata con quella di Ponte Sant'Angelo, o Pons Aelius [1].
In epoca antico-romana quest'area faceva parte del Campus Martius (cfr. rione Campo Marzio per maggiori dettagli), nella cui estrema parte occidentale si apriva l'accesso a Pons Aelius.
Pons Aelius cominciò ad avere un'importanza strategica notevole quando nel 400 circa l'imperatore emperor Honorius trasformò il mausoleo di Adriano in una roccaforte, grazie alla quale le mura difensive erette da Aureliano nel 275, che seguivano la sponda orientale del tevere, potevano essere tenute sotto controllo. L'importanza crebbe quando il vicino Pons Triumphalis (i cui resti sono indicati con ▪ ▪ ▪ nella pianta del rione) scomparve e Pons Aelius rimase l'unica via di accesso che dalla sponda occidentale del Tevere portava alla metà settentrionale della città.

veduta di Pons Aelius (A) in età imperiale, col mausoleo di Augusto (B)
e Pons Triumphalis (C); il confine della città (mura aureliane) correva
lungo la sponda sinistra del Tevere, circondando il Campus Martius
Ma l'importanza di Pons Aelius era legata anche al fatto che, sempre dopo la scomparsa di Pons Triumphalis, era l'unica via che i numerosi pellegrini provenienti dalla città avevano per valicare il fiume nel recarsi in visita alla tomba dell'apostolo Pietro, all'epoca ancora in un'area extraurbana. Per tale ragione, in territorio urbano in prossimità del ponte cominciarono a fiorire le attività commerciali legate al pellegrinaggio (oggi si parlerebbe di indotto), con taverne, locande, botteghe e venditori di generi di ogni tipo, soprattutto oggetti sacri e finte reliquie, che finirono per dare vita ad un vero e proprio rione densamente popolato.

Ponte Sant'Angelo nel 1493: sono visibili le due cappelle all'estremità
Fino alla metà del XV secolo il ponte mantenne la sua struttura originale romana, con tre archi centrali, mentre alle estremità le rampe di accesso erano sostenute da arcatelle più piccole. Fu papa Niccolò V che attorno al 1450 fece costruire ai lati dell'accesso due piccole cappelle per ricordare un incidente occorso quell'anno; si celebrava infatti il Giubileo e a causa della gran folla che si accalcava sul ponte, una delle spallette si ruppe, provocando la caduta in acqua e l'annegamento di ben 147 pellegrini.
Nel 1527, durante il sacco di Roma, le suddette cappelle furono usate dai Lanzichenecchi per ripararsi mentre assediavano Castel Sant'Angelo in cui si era rifugiato il papa; per cui Clemente VII, terminato l'assedio, le fece demolire, ponendovi invece, come prime due statue, quelle dei patroni della città, Pietro e Paolo.

In realtà ne occorreva solo una, perché quella di San Paolo già esisteva, bell'e pronta, dal 1465 circa; come ricorda Vasari, era stata scolpita da Paolo Taccone dietro commissione di Pio II (Silvio Enea Piccolomini), che voleva collocare davanti alla basilica vaticana due statue di grande formato dei due santi. L'altra avrebbe dovuto scolpirla Mino da Fiesole, ma per un errore tecnico dell'artista l'opera rimase incompiuta (fu completata solo cento anni dopo e, dopo vari spostamenti, è oggi conservata in San Pietro, nella sala del Capitolo dei Canonici). Clemente VII quindi commissionò la statua mancante a Lorenzetto, nel 1534. Lo stemma del papa compare sul retro della base su cui poggia San Paolo.

dettaglio di Ponte Sant'Angelo, come appariva nel 1590 c.ca nelle piante di Ambrogio Brambilla e Antonio Tempesta;
sono visibili le due statue di San Pietro e San Paolo alla testata destra, ma le spallette erano ancora vuote

Secondo alcune fonti il papa successivo, Paolo III Farnese, avrebbe ordinato a Raffaello di Montelupo la realizzazione di altre otto statue per il ponte, raffiguranti gli evangelisti e i patriarchi. Ma tutte le piante rinascimentali di Roma mostrano le spallette del ponte vuote, come si vede nei dettagli qui in alto e nello stesso stemma rionale. È dunque probabile che il progetto non sia mai stato portato a termine.
Perchè sul ponte comparissero i dieci famosi angeli, quindi, si dovette attendere un altro secolo e mezzo, quando nel 1668 Clemente IX diede incarico a Gianlorenzo Bernini e alla sua bottega di scolpire le statue recanti i simboli della passione di Cristo. Le due rifinite personalmente da Bernini, che facevano gola al nipote di Clemente IX, il cardinale Rospigliosi, furono ben presto sostituite da fedeli copie; si trovano oggi nella chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, nel rione Colonna.
Infine, quando nel 1892 furono messi in posa i muraglioni lungo le rive del Tevere, il letto del fiume fu allargato. A ciascuna estremità del ponte si dovette procedere alla costruzione di un'arcata simile alle tre centrali, demolendo le rampe d'accesso originali, per cui ora se ne contano in tutto cinque.

lavori di allungamento di Ponte Sant'Angelo (1892)


piazza di Ponte (Giuseppe Vasi, 1750 c.ca): in giallo è evidenziata
la Cappella della Conforteria; sullo sfondo, lo scomparso Palazzo Altoviti
Ponte Sant'Angelo è anche ricordato per essere uno dei luoghi dove il boia del papa esercitava le sue funzioni (si veda in proposito anche la sezione Curiosità romane); in particolare, per tutto il Cinquecento era consuetudine appendere le teste mozzate dei giustiziati lungo entrambi i lati del ponte, come monito per la popolazione. Cessata la terribile usanza, però, la piazza che dà accesso all'estremità meridionale del ponte continuò ad essere uno dei luoghi principali dove fino al 1870 si tennero pubblicamente le esecuzioni. A tale proposito, sul lato destro esisteva la piccola Cappella della Conforteria dove venivano amministrati i conforti religiosi ai condannati a morte. Quest'ultima scomparve alla fine dell'Ottocento in occasione dei suddetti lavori lungo gli argini del Tevere, che fecero altre vittime ben più illustri, come il grande Palazzo Altoviti (cfr. illustrazione a lato) e il Teatro Apollo (vedi oltre).

Oltre a Ponte Sant'Angelo, oggi dal rione si ha accesso a tre altri ponti moderni: Ponte Umberto I, Ponte Vittorio Emanuele II (che quasi ricalca il percorso dell'antico Pons Triumphalis) e Ponte Principe Amedeo.


vicolo del Leuto
Il rione Ponte non possiede siti famosissimi, sebbene il suo confine sfiori luoghi molto importanti. Ma nonostante tutto, è molto piacevole passeggiare e spesso perdersi nel labirinto di stradine e di stretti vicoli, dove le antiche case hanno resistito al tempo e ancora oggi offrono diversi scorci pittoreschi. Nei nomi delle vie locali ricorre con una certa frequenza il toponimo "arco": Arco dei Banchi, Arco della Fontanella, Arco della Pace, Arco di Parma, Arco degli Acquasparta e c'è perfino una via dei Tre Archi (a destra), a testimonianza di un impianto architettonico medievale, almeno in parte conservato, in cui gli archi svolgevano una funzione di puntello tra una casa e l'altra e, in qualche caso, potevano contenere camere aggiuntive.
vicolo di San Trifone all'incrocio
con via dei Tre Archi

Ponte è attraversato da due strade rinascimentali lunghe e dritte, via dei Coronari, che taglia il rione orizzontalmente in due metà, e via Giulia, la cui parte meridionale entra in Regola.
Via dei Coronari [2] segue il tracciato di un'antica via romana che conduceva verso il Pons Triumphalis, essendovi in asse. Fu nuovamente aperta e raddrizzata nel 1475, col nome di via Recta, cioè "strada dritta", grazie alla quale i pellegrini potevano raggiungere San Pietro seguendo una traiettoria assai più agevole del complesso labirinto di stretti vicoli sorti durante il medioevo.

via dei Coronari, un tempo strada percorsa dai pellegrini
Nel corso del tempo prese il suo nome attuale dai venditori di corone (cioè di rosari) che fino al XIX secolo erano numerosissimi lungo questa strada, che ora invece è rinomata per i suoi esclusivi antiquari. Su entrambi i lati si trovano ancora vari edifici dei secoli XVI e XVII. Quella stretta al n° 148, eretta nel 1516 per Prospero Mochi, commissario generale alle fortificazioni della città, ha motti in latino incisi sui tre marcapiano ("considera tuo ciò che tu stesso fai", "non tutti possono fare tutto", "mantieni le promesse").

All'incirca a metà di via dei Coronari, in fondo ad un breve vicolo senza nome, una rampa di scale porta a un piccolo teatro. Qui il livello del suolo si eleva rapidamente, formando una collinetta, descritta più avanti.

L'edificio più antico della via è quello al numero 157, la cosiddetta Casa di Fiammetta, che risale alla seconda metà del Quattrocento. Vi abitava la giovanissima cortigiana Fiammetta De Michaelis; dapprima divenne l'amante di un anziano cardinale, che ben presto morì lasciandole in eredità quattro case, ed in seguito di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI.

la Casa di Fiammetta in via dei Coronari
Un'altra Casa di Fiammetta si raggiunge in fondo allo strettissimo vicolo di San Trifone (cfr. illustrazione precedente). Una terza casa non esiste più; l'ultima, invece, era situata nel rione Borgo, in stretta vicinanza alla basilica di San Pietro.
Il grande edificio situato alle spalle della seconda casa di Fiammetta è Palazzo Gaddi Cesi [3], sorto nei primi del Cinquecento per la famiglia toscana dei Gaddi, che si era recentemente trasferita a Roma e che nel 1567 ne cedette la proprietà alla famiglia Cesi. Uno dei membri di quest'ultima, Federico Cesi, era uno studioso di storia naturale e di botanica, che assieme ad altri tre colleghi scienziati nel 1603 fondò in questo palazzo uno dei primissimi circoli scientifici, l'Accademia dei Lincei (dalla lince, animale la cui acuta vista richiama l'osservazione scientifica). Il suo giardino divenne infatti il primo orto botanico di Roma.
stemma Cesi Salviati; Isabella Salviati
fu la seconda moglie di Cesi
Appena qualche anno dopo anche Galileo Galilei entrò a far parte dell'accademia, incontrandosi varie volte Cesi in questo stesso edificio. Nell'epoca della Controriforma, però, la ricerca scientifica non era affatto vista di buon occhio dalla chiesa; i Lincei operavano quasi come un'organizzazione semiclandestina e i suoi pochi membri comunicavano solo a mezzo lettera. L'accademia si estinse nel 1651, non molto dopo la morte di Cesi.
Nel 1801, però, venne rifondata, cambiando di nome svariate volte, fino ad assumere quello di Accademia Nazionale (1939) ed infine di Accademia Nazionale dei Lincei (1986), attualmente la massima istituzione culturale italiana, la cui area di interesse, oltre alle scienze, si è estesa anche al campo umanistico; ha sede presso Villa Farnesina, in Trastevere.
La famiglia Cesi rimase proprietaria del palazzo fino alla fine del Settecento; passò quindi di mano varie volte, fino agli anni '40, quando divenne la sede principale dei tribunali militari.

All'estremità opposta di via della Maschera d'Oro, il cui lato nord è occupato interamente dal suddetto Palazzo Gaddi Cesi, si trovano altri notevoli edifici degli inizi del XVI secolo. In particolare, quello al numero 7, Palazzo Milesi [4], un tempo era decorato con stupendi affreschi di Polidoro da Caravaggio e Maturino da Firenze, ispirati alla mitologia romana e greca, che sono quasi completamente scomparsi (ma erano già in cattive condizioni alla metà del Cinquecento); un soggetto curioso dipinto sulla facciata era una maschera dorata, un'aggiunta del 1576, che gli è valso il nome alternativo di Palazzo della Maschera d'Oro, passato poi anche alla via.

la facciata di Palazzo Milesi, anche detto della Maschera d'Oro →

Anche il lato di Palazzo Gaddi Cesi una volta era ricoperto da analoghi affreschi, degli stessi artisti, ma oggi non rimane più alcuna traccia della decorazione originale.
La facciata dell'edificio succesivo a Palazzo Milesi, coevo, è coperta da graffiti monocromi di Jacopo Ripanda, eseguiti direttamente sull'intonaco fresco, ed ha un'antica colonna tortile inserita nell'angolo. I due palazzi adiacenti ora appartengono alla famiglia Lancellotti, la cui residenza, Palazzo Lancellotti, in stile barocco, si trova a pochissima distanza, all'angolo tra via dei Coronari e piazza San Simeone (non va confuso con un altro Palazzo Lancellotti, all'estremità settentrionale di piazza Navona, nel rione Parione).


la lapide in ricordo del Teatro Apollo
L'area compresa tra via dei Coronari e il fiume era chiamata Tor di Nona, corruzione di Torre dell'Annona, da una delle torri superstiti dell'antica cinta muraria costruita dall'imperatore Aureliano lungo il fiume (si veda in proposito la relativa sezione). Nel medioevo fece parte della fortezza degli Orsini (vedi oltre) e dal 1408 fu adibita a prigione, scopo per il quale fu ampliata nel 1490. I suoi malfamati locali avevano stanze di diversa dimensione e grado di comodità a seconda che i carcerati potessero o meno pagare per ricevere un trattamento migliore; la cella per i reclusi più poveri era una segreta situata sottoterra, una specie di oscuro pozzo. Un'altra stanza era usata per le donne e i bambini, una per i religiosi e un'altra per i prigionieri temporanei, che erano stati condannati a remare nelle galere dello Stato Pontificio ed erano in attesa di essere portati a mare. La prigione era tenuta da un guardiano (il soldano) coadiuvato da un capitano di giustizia; poi nel 1568 il papa ordinò che la gestione del carcere passasse alla Confraternita della Carità, un'istituzione a sfondo religioso che si occupava di assistere i carcerati, tra i cui membri fu attivo anche San Filippo Neri (per i romani, Pippo bòno) e che ben presto organizzò a Tor di Nona un'infermeria e una farmacia, a cui attingeva anche un altro carcere lì nei pressi, Corte Savella.

Nel 1658, quando in via Giulia entrarono in funzione le Prigioni Nuove (cfr. Regola), il carcere di Tor di Nona fu completamente smantellato e convertito in teatro. Entrò in funzione nel 1670, ma visto il successo di pubblico, l'anno successivo dovette essere ampliato fino all'argine del Tevere. Alla fine del secolo Innocenzo XII ne ordinò la demolizione (tra le proteste popolari), ma fu interamente ricostruito nel 1733 per volere di Clemente XII e successivamente nel 1795, dopo che un incendio l'aveva raso al suolo. Fu in questa occasione che cambiò nome in Teatro Apollo, ma il popolo continuò a chiamarlo col vecchio nome di Teatro di Tor di Nona. Fu rinnovato per la terza volta dall'architetto Giuseppe Valadier nel 1829, avendo grande fortuna nel corso del XIX secolo. Scomparve definitivamente nel 1888, nell'ambito dei lavori per la costruzione dei muraglioni lungo le sponde del fiume; viene ricordato da una grossa targa con una fontanella alla base.

il Teatro Tor di Nona (poi Apollo) un tempo si trovava a lungotevere Tor di Nona,
già strada dell'Orso: compare nella pianta di G.B. Nolli (1748) al n° 536, indicato
in giallo; anche la Cappella della Conforteria (n° 539) e Palazzo Altoviti (n° 540)
scomparvero; l'allungamento di Ponte Sant'Angelo (✶) lasciò la piazza accorciata

La strada che prende il nome dalla torre, via Tor di Nona [9], esiste ancora e ci ricorda nuovamente la famiglia Borgia; qui infatti alla fine del Quattrocento, la cortigiana Vannozza dei Cattanei, amante del cardinale Rodrigo Borgia (futuro papa Alessandro VI), era la proprietaria di tre locande chiamate del Biscione, del Leone Piccolo e del Leone Grande. Ai gestori del suddetto carcere Vannozza appaltava queste locande, dove venivano preparati i pasti per i prigionieri lì detenuti.

l'asino con le ali in via Tor di Nona
Di quanto fu innalzato il livello del suolo per la costruzione dei muraglioni lo si evince dalla notevole differenza in altezza tra il moderno lungotevere Tor di Nona, che segue la sponda del fiume, e l'antica via Tor di Nona, che gli corre parallela, ma a circa quattro metri più in basso.
La casa ai numeri 28-29 ha sulla facciata un curioso murales di un asino con le ali. Negli anni '70 molti degli edifici lungo la via erano ridotti in uno stato di abbandono; per protestare contro il disinteresse del comune, nel 1976 i residenti locali, coadiuvati dagli studenti della facoltà di Architettura, cominciarono a decorare la via con murales colorati e fantasiosi, che riproducevano negozi al piano terra e soggetti di fantasia sulla rimanete parte delle facciate. Nel tempo sparirono tutti, ad eccezione dell'asino, che fu conservato, a dispetto della ristrutturazione tanto lungamente attesa.

Ad una estremità di via dell'Orso sorge un edificio molto interessante: l'Albergo dell'Orso, o Hostaria dell'Orso [6]. È un raro esemplare di struttura ricettiva del tardo medioevo (fine XV secolo), dove le folle di pellegrini diretti a San Pietro potevano pernottare e di cui una volta questo rione era gremito.
Oggi, nonostante la trasformazione in ristorante di lusso e discoteca, dopo un accurato restauro conserva la caratteristica architettura protorinascimentale (in basso a destra).

Anche l'edificio che gli sorge accanto, Palazzo Primoli, è carico di storia. Il suo nucleo originale risale al XVII secolo, ma nel primo decennio del Novecento, quando furono costruiti i muraglioni lungo gli argini del Tevere, subì una radicale trasformazione: venne ampliato e dotato di un nuovo ingresso all'angolo con via Zanardelli, con logge ai due piani superiori. Il suo ultimo proprietario, Giuseppe Primoli, che lo lasciò al governo italiano, era figlio di Charlotte Bonaparte, pronipote di Napoleone I. Il palazzo, infatti, ora ospita il Museo Napoleonico, che raccoglie numerosi cimeli della famiglia Bonaparte, ed anche il Museo Mario Praz, già casa del noto anglista e saggista, trasformata in museo nel 1995, dov'è conservata la sua collezione di antichità europee datate tra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento.

Palazzo Primoli

Proseguendo lungo via dell'Orso, alla sua estremità opposta si trova un angolo molto caratteristico, un trivio sul confine coi rioni Campo Marzio e Parione, dove una costruzione del XVI secolo, Palazzo Scapucci [7], è dominata da una torre appartenuta ai Frangipane, eretta alla fine dell'XI secolo. Questa è anche nota come la Torre della Scimmia, perché secondo una popolare leggenda, una volta un neonato fu rapito da una scimmia e trasportato fin sul tetto dell'alto edificio (si veda in proposito C'era una volta a Roma...).

← Torre Frangipane, o della Scimmia

l'Albergo dell'Orso

Una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano è ospitata in Palazzo Altemps [8], il cui nucleo fu costruito nel tardo quattrocento su disegno di Melozzo da Forlì, abitato dapprima da Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV.

il sarcofago Grande Ludovisi, 250 circa, in Palazzo Altemps
Nei primi del Cinquecento passò di proprietà al cardinale Soderini, che fece ingrandire il palazzo da Antonio da Sangallo il Vecchio e da Baldassarre Peruzzi; poi nel 1568 fu acquistato dal cardinale austriaco Altemps, un nipote di papa Pio IV, che fece ristrutturare l'edificio nelle sue forme attuali da Martino Longhi il Vecchio.
lo stemma Altemps
Oltre ad una ricca collezione di esposti, tra cui vari marmi romani appartenuti alla famiglia Ludovisi, il palazzo stesso ha delle sale interessantissime, compresa una grande cappella privata interamente affrescata da Pomarancio (1620 c.ca), dove sono sepolti i resti di un papa della metà del II secolo, Aniceto, che papa Clemente VIII donò agli Altemps nel 1604, in segno di amicizia.
Non tutti i pontefici, però, intrattennero buoni rapporti con questa famiglia; Roberto Altemps, il figlio naturale del cardinale, aveva sposato una Orsini, verso cui papa Sisto V nutriva un forte risentimento; nel 1586 il giovane fu accusato di aver usato violenza a una ragazza, commettendo con ciò adulterio, e fu per questo condannato a morte. Nella suddetta cappella la decapitazione del nobile viene ricordata in un grande affresco che fu fatto eseguire dal figlio.

Presso l'estremità orientale di via dei Coronari la piccola chiesa di Santa Maria della Pace [4] sorge presso un altro stretto trivio, al confine col rione Parione. La sua storia risale alla seconda metà del Quattrocento. Su questo stesso sito una volta sorgeva una chiesa più antica, chiamata Sant'Andrea degli Acquarenari; vuole la tradizione che un giocatore d'azzardo, in preda all'ira dopo aver perduto una somma di denaro, colpisse con una sassata un'immagine della Madonna situata sotto al portico della chiesa, da cui scaturì prodigiosamente del sangue.
In quei giorni papa Sisto IV (1471-84) era in conflitto col signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico: i Pazzi, ricchi banchieri fiorentini, appoggiati dal pontefice, avevano cospirato contro Lorenzo attentando alla sua stessa vita, ma questi era scampato alla congiura, nella quale invece era rimasto ucciso il fratello. Ciò fece temere al papa che Lorenzo de' Medici volesse entrare in guerra contro di lui.

Santa Maria della Pace
Quando gli giunse notizia del prodigio, Sisto IV ne rimase colpito e fece voto di costruire una chiesa nuova se la pace con Firenze fosse stata restaurata. E infatti, scongiurato lo scontro, l'edificio fu completamente riedificato e il suo titolo cambiato in Santa Maria della Pace. L'antica immagine che avrebbe sanguinato ora si trova sull'altare maggiore. Nel 1500 circa Donato Bramante dotò la chiesa di uno splendido chiostro (la sua prima opera a Roma), mentre attorno al 1660 Pietro da Cortona rinnovò la facciata, con l'elegante portico semicircolare.
Santa Maria della Pace, cappella Ponzetti (1516)

È un vero peccato che la chiesa sia spesso chiusa, perchè al suo interno può vantare affreschi di Baldassarre Peruzzi (in alto a destra) e di Raffaello Sanzio di altissima qualità.


il pinnacolo del campanile
di Santa Maria dell'Anima
In una stretta stradina parallela, vicolo degli Osti, le antiche case hanno un piccolo casotto pensile che sporge sulla via: si tratta, in effetti, dei servizi igienici, dato che le case popolari, un tempo, non prevedevano simili "comodità", che però qualcuno si faceva aggiungere.

Invece dall'altro lato di Santa Maria della Pace si trova Santa Maria dell'Anima [5], chiesa cattolica della comunità tedesca, o meglio teutonica, perché quando fu costruita, nel primo ventennio del XVI secolo, il Regno di Germania comprendeva anche l'attuale Austria, i Paesi Bassi e le Fiandre. Il suo campanile termina con un pinnacolo ricoperto da tegole gialle, verdi e bianche, un elemento tipico dell'architettura germanica ma davvero insolito per l'Italia centrale. L'ingresso è sulla via omonima, dove prospetta l'ampia facciata di Andrea Sansovino (completata da Giuliano Sangallo).

vecchie case in vicolo degli Osti
Anche l'interno si ispira alle chiese nordeuropee assai più che a quelle locali. Vi si trova la tomba dell'unico papa olandese della storia, Adriano VI (1522-23), disegnata da Baldassarre Peruzzi; vi si conserva inoltre una pala d'altare di Giulio Romano e una copia della celebre Pietà michelangiolesca scolpita da suo cognato Lorenzetto (Lorenzo Lotti).

La collina sul lato sud di via dei Coronari, di cui si è fatto cenno in precedenza, è interamente occupata dal grande Palazzo Taverna [11]. Su questo sito un tempo sorgeva una fortezza medievale appartenuta agli Orsini, una delle più potenti famiglie romane di quell'epoca. L'altura prese poi ad essere chiamata Monte Giordano da uno dei membri della casata, il cardinale Giordano Orsini, che fu titolare della fortezza tra la fine del Trecento e i primi del Quattrocento. Circa un secolo dopo l'edificio fu completamente ristrutturato e convertito in un complesso di case individuali destinate ai vari rami della famiglia. Alla fine del Seicento, poi, la proprietà passò ai Gabrielli, che fecero costruire ali di collegamento tra le singole case, di fatto riunificando il palazzo smembrato.

il teatro di via dei Coronari
Due secoli dopo, estintasi anche quest'ultima casata, ne divennero nuovi proprietari i Taverna, una famiglia di Milano che tutt'ora ne è in possesso.
Di Monte Giordano si fa menzione nella Divina Commedia, seppure in modo marginale, con l'immagine della moltitudine di pellegrini durante il Giubileo del 1300, ...che da l'un lato tutti hanno la fronte / verso 'l castello e vanno a Santo Pietro; / da l'altra sponda vanno verso 'l monte (Inferno, XVIII, 30-33). L'ingresso principale all'attuale palazzo è sul lato opposto a quello che guarda via dei Coronari, cioè in via di Monte Giordano, e nel suo cortile si trova una grande fontana del XVII secolo. Purtroppo la proprietà è ancora privata, quindi non accessibile al pubblico.
Sul retro del complesso si trova il piccolo teatro di via dei Coronari.

l'ingresso di Palazzo Taverna

A poca distanza dall'estremità occidentale di via dei Coronari corre via del Banco di Santo Spirito, in asse con Ponte Sant'Angelo. Il termine banchi, che ricorre nel nome anche di altre vie limitrofe, ricorda le primitive banche: da queste parti infatti nel XVI secolo avevano i loro banchi i cambiavalute, che convertivano in monete romane il denaro dei molti commercianti forestieri. Varie costruzioni lungo queste vie risalgono ancora a quell'epoca.
Sotto un oscuro e stretto passaggio che collega via del Banco di Santo Spirito con via dell'Arco dei Banchi è affissa la più antica targa in ricordo di un'alluvione, datata 1277 [12] (per i dettagli cfr. Curiosità romane). All'angolo con via del Banchi Nuovi, invece, sorge il palazzetto detto del Banco di Santo Spirito. Originò come zecca pontificia, voluta da Giulio II nei primissimi anni del Cinquecento in occasione di una riforma monetaria, ma rimase incompiuto fino al 1524, quando Antonio da Sangallo il Giovane ne realizzò la facciata. Una ventina di anni dopo la zecca fu trasferita altrove e il palazzetto (detto ormai della Zecca Vecchia) rimase a lungo inutilizzato. Nel 1605 fu rilevato dal Banco di Santo Spirito, che ne fece la sua sede centrale. Il banco era stato appena fondato per volere di Paolo V, con un capitale garantito dalle numerose proprietà del vicino Arciospedale di Santo Spirito in Sassia (cfr. rione Borgo e Curiosità romane).

Al di là del trafficato corso Vittorio Emanuele II, aperto alla fine dell'Ottocento, Ponte conserva un'atmosfera rinascimentale: qui ha origine il primo tratto di via Giulia [13], aperta all'inizio del Cinquecento: papa Giulio II (1503-1513), di cui porta il nome, voleva che diventasse il nuovo centro amministrativo ed economico di Roma. Donato Bramante la progettò lunga e diritta, abbattendo senza troppi scrupoli (com'era solito fare) qualsiasi cosa si trovasse lungo il suo percorso.

la cupola di San Giovanni dei Fiorentini
La chiesa di San Giovanni dei Fiorentini [14] apparteneva alla comunità romana originaria di Firenze, a quell'epoca abbastanza numerosa, comprendente soprattutto uomini d'affari e artisti che vivevano nelle strade circostanti. Prese il posto di una chiesa più antica e più piccola, San Pantaleone juxta flumen. Per la sua costruzione furono presentati progetti da pate di architetti del calibro di Michelangelo, Raffaello e Baldassarre Peruzzi, ma venne scelto quello di Jacopo Sansovino perché meno costoso degli altri. I lavori cominciarono nel 1519 e durarono quasi un intero secolo, durante il quale il cantiere fu presieduto da vari altri architetti: Sangallo il Giovane, Giacomo Della Porta e in ultimo Carlo Maderno, autore della cupola dalla forma piuttosto allungata, ragion per cui i romani presero a chiamarla il confetto succhiato. L'interno è sobrio, ma con un magnifico altare, opera di Pietro da Cortona. Sul pavimento della navata sinistra giacciono due pietre tombali abbastanza semplici, che recano i nomi di altrettanti grandi architetti: l'anzidetto Carlo Maderno (m.1629) e Francesco Borromini (m.1667, che di Maderno fu allievo nonché un suo lontano parente, cfr. Roma leggendaria).

Tra i numerosi artisti fiorentini che vivevano a via Giulia c'era Benvenuto Cellini, il famoso orafo della metà del XVI secolo, a cui si rivolgevano spesso esponenti dell'alta aristocrazia e perfino le dinastie regnanti di altri paesi. La storia della sua vita avventurosa - pugnalò e uccise diverse persone, fu imprigionato a Castel Sant'Angelo, riuscì a fuggire e fu nuovamente catturato - è raccontata nella sua autobiografia. Il vicolo che porta il suo nome segna un breve tratto del confine rionale di Ponte.
Anche il celebre pittore Raffaello Sanzio abitò per qualche tempo in una delle case di questo tratto della via.

Un altro antico progetto avrebbe dovuto prendere forma in via Giulia, ma rimase abbondantemente incompiuto [15]. Un enorme palazzo di giustizia (Palazzo dei Tribunali) era stato disegnato da Donato Bramante; ma i lavori per la sua realizzazione subirono molto presto un arresto per carenza di fondi. Le sue scarse tracce si possono vedere lungo due isolati, in forma di una base in bugnato, che in alcuni tratti ha anche un sedile di pietra, un elemento architettonico spesso presente negli edifici del primo Cinquecento, che offriva ai passanti la possibilità di sedersi; a questo fu dato il nomigliolo di sofà di via Giulia.

un tratto dell'incompiuto palazzo di giustizia coi suoi sofà

Proprio all'estrema punta di Parione, il palazzo con le finestre chiuse da spesse sbarre era un tempo il carcere minorile di Roma, costruito nel 1825-27 da Giuseppe Valadier; ora ospita il piccolo ma interessante Museo Criminologico [16]. È seguito da un edificio analogo ma ancora più grande, che si trova appena oltre il confine rionale e viene descritto nella pagina di Regola.

Parallela a via Giulia corre via dei Banchi Vecchi, dove al numero 23 è il curioso palazzetto che l'orafo milanese Pietro Crivelli si fece costruire nel 1538-39; è chiamato Palazzo dei Pupazzi [14], in quanto ha la facciata completamente ricoperta da armature, teste di leone, putti e grottesche in rilievo, col nome del proprietario (Petrus Cribellus) inciso in latino sul marcapiano. Tra coloro che abitarono l'edificio nella seconda metà del secolo vi fu il cardinale Felice Peretti, il futuro papa Sisto V.

← una delle finestre di Palazzo dei Pupazzi

Sull'altro lato della strada, quasi di fronte, un altro cardinale, attorno al 1460 un altro cardinale, il già citato Rodrigo Borgia, si era fatto costruire un grande palazzo [15] ampliando l'edificio della vecchia zecca pontificia; la costruzione all'epoca era anche nota come la Cancelleria, in quanto il cardinale Borgia era stato promosso alla carica di vicecancelliere da suo zio, papa Callisto III. La proprietà cambiò intestatario quando il titolare fu eletto papa (1492) e un cardinale della famiglia Sforza divenne il nuovo vicecancelliere, prendendo possesso del palazzo, che infatti oggi si chiama Sforza Cesarini.
Già dalla fine del Cinquecento l'edificio cominciò a subire il crollo o la demolizione della parte prospettante su via dei Banchi Vecchi, che venne ricostruita alla fine del Settecento. Un secolo dopo, alla fine dell'Ottocento, nel corso dei lavori per l'apertura di corso Vittorio Emanuele II, anche il lato corrispondente, dov'è oggi l'ingresso, fu interamente ricostruito, mantenendo però la coerenza con lo stile architettonico originale.

il cortile di Palazzo Sforza-Cesarini: il lato originale

Non trascorse molto tempo da quando Rodrigo Borgia prese possesso del palazzo che in una casa situata appena dietro l'angolo, nell'attuale piazza Sforza Cesarini (allora chiamata Pizzomerlo), si trasferì la sua amante, Vannozza dei Cattanei. Prima di essere eletto pontefice, il cardinale ebbe con la cortigiana ben quattro figli: Giovanni (Juan), Cesare, la celebre Lucrezia e Goffredo (Jofré).