~ curiosità romane ~

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le targhe di proprietà

uno spaccato della galassia di comunità
attive nella Roma dei secoli passati



II parte
targhe delle comunità forestiere e delle corporazioni di mestieri


Un tempo Roma era sede di diverse comunità di forestieri, che vi risiedevano temporaneamente o stabilmente. Alcune di esse provenivano da città italiane, tra cui Bergamo, Brescia, Firenze, Siena, Ascoli, Napoli, Barletta ed altre ancora; ciononostante all'epoca erano chiamate nazioni, a sottolineare la forte identità di ciascun gruppo.
Altre comunità residenti, invece, erano originarie di terre più lontane, quali la Bretagna, la Francia, la Savoia, la Germania, l'Inghilterra, la Scozia, la Spagna, il Portogallo, l'Illiria, la Boemia e via dicendo.

← targa di proprietà della comunità (Società) dei Bresciani
Anche tutte queste nazioni avevano l'abitudine di acquistare immobili, che poi venivano affittati a membri della stessa comunità, giunti nella Città Eterna per motivi di lavoro, per studio o per pellegrinaggio. In alternativa, le abitazioni potevano essere affittate a chiunque e i proventi della locazione essere poi usati per aiutare economicamente i propri conterranei in trasferta a Roma. Anche tra i le comunità forestiere erano frequentissime le forme di associazione in sodalizi, quasi sempre a carattere assistenziale e/o religioso, come quelle descritte nella I parte.

targa del 1457 relativa alla ricostruzione di un →
ospedale appartenente alla comunità dei Boemi
Una delle più antiche e famose organizzazioni, tutt'ora esistente, è chiamata Arciconfraternita della Misericordia. Era stata fondata a Firenze già nel 1244, ma la sua "filiale" di Roma fu istituita nel 1468, ad opera di fiorentini residenti. Ne facevano parte quasi esclusivamente membri della comunità o nazione fiorentina, tra i quali si ricorda Michelangelo Buonarroti. Sebbene la sua missione originaria fosse il trasporto degli infermi (particolarmente durante le pestilenze), la raccolta di elemosine per dare una dote alle fanciulle povere e la sepoltura dei più indigenti, a Roma la Confraternita era nota soprattutto perché forniva conforto religioso ai condannati a morte (si veda in proposito la pagina 9 della sezione Curiosità romane).
I confratelli indossavano una tunica e un cappuccio neri, colore che in origine era dipeso dalla necessità di mascherare le macchie di sangue dei malati sul tessuto, ma che si adattava bene anche all'accompagno dei condannati. Dal 1540 fu concesso alla Confraternita il privilegio di liberare un condannato a morte all'anno. La Misericordia romana aveva sede nella chiesa di San Giovanni Decollato; questa in origine si chiamava Santa Maria in Petrocia, ma quando la Congregazione prese a seppellirvi i corpi dei giustiziati, le fu cambiato il titolo in San Giovanni Battista (che è il santo protettore di Firenze), ovvero San Giovanni Decollato, una chiara allusione ai giustiziati, il cui emblema, visbile su numerose targhe di proprietà, è la testa recisa del Battista in un piatto. Quando agli inizi del Cinquecento fu costruito un ospedale accanto alla chiesa, questa venne anche chiamata San Giovanni della Misericordia.
Presso la chiesa sono ancora conservati diversi cimeli relativi alle esecuzioni e ai condannati, nella Camera Storica della congregazione, che è possibile visitare una sola volta all'anno, il 24 giugno, giorno in cui si celebra San Giovanni.

Un'altra congregazione della nazione fiorentina residente nell'Urbe era la Compagnia della Pietà. Era stata fondata a Roma nel 1448 dopo una pestilenza, con la missione di inumare i numerosi cadaveri rimasti nelle strade, privi di una sepoltura. Nel 1519 papa Leone X (Giovanni de' Medici, anch'egli fiorentino) aveva concesso alla Pietà di utilizzare come propria sede la costruenda chiesa di San Giovanni de' Fiorentini, situata all'estremità settentrionale di via Giulia, nel Rione V, Ponte. È proprio nelle strade e nei vicoli limitrofi a questa chiesa che risiedeva gran parte della comunità fiorentina locale, della quale facevano parte anche nomi di assoluto prestigio, del calibro di Raffaello, Antonio da Sangallo il Giovane, Benvenuto Cellini ed altri ancora. L'abito ufficiale della Compagnia era un sacco completamente nero. Terminata l'epidemia, il colore del sacco cambiò, divenendo azzurro. I confratelli, inoltre, godevano del privilegio di essere tumulati nella tomba comune della Compagnia, posta proprio di fronte all'altare maggiore nella suddetta chiesa di San Giovanni de' Fiorentini.
L'emblema della Compagnia della Pietà era una figura di Cristo che sorge dal sepolcro.

Un'altra era il Pio Sodalizio dei Piceni, un'associazione di marchigiani residenti a Roma, fondato nei primi del Seicento per iniziativa di un cardinale di quella regione e avente per santa patrona la Madonna di Loreto. Prese il nome di Confraternita della Santa Casa di Loreto nel 1633; poco dopo, nel 1667 fu promossa ad Arciconfraternita della Nazione Picena. Dal 1899, con un nuovo statuto ha acquisito l'attuale nome. Dal 1963 non è più un'Opera Pia bensì una Fondazione, la cui attività è di sostenere studenti marchigiani indigenti con borse di studio. Tra gli immobili di proprietà del Sodalizio vi sono anche alcuni edifici storici, come il palazzo di Sisto V (papa marchigiano) in via di Parione. In questa stessa via ha ufficialmente sede il Sodalizio, ma le sue attività si svolgono principalmente nei locali annessi alla chiesa di San Salvatore in Lauro, nel Rione V, Ponte.
L'emblema che compare sulle targhe è la Madonna di Loreto.

Tra le comunità "realmente" straniere c'era quella inglese, che già dalla fine del VII secolo contava numerosi connazionali giunti a Roma in pellegrinaggio per venerare la tomba di San Pietro (cfr. Rione XIV, Borgo). Nel 1362 presso l'attuale via di Monserrato (nel Rione VII, Regola) fu fondato un ospizio per dare ricovero ai pellegrini inglesi bisognosi e a quelli malati. Dopo lo scisma della chiesa anglicana operato nel 1535-36 dal re Enrico VIII (poi scomunicato da papa Clemente VII per aver divorziato) e la successiva repressione del cattolicesimo in Inghilterra, inaspritasi ulteriormente sotto il regno di sua figlia Elisabetta I, nel 1579, quindi in piena Controriforma, l'ospizio fu trasformato da Gegorio XIII in seminario e denominato Collegio degli Inglesi (Collegium Anglorum).
Vi si insegnava filosofia e teologia ad indirizzo cattolico ad inglesi e gallesi; coloro che vi si diplomavano venivano poi inviati nuovamente in patria, per mantenere vivo il cattolicesimo, a dispetto delle persecuzioni. In quegli anni, infatti, numerosi ex seminaristi provenienti dal Collegio, una volta tornati in Inghilterra, furono messi a morte. Al Collegio era annessa una piccola chiesa, esistente sin dall'VIII secolo, in origine dedicata alla Santissima Trinità degli Scozzesi; ricostruita a spese del cardinale di Norfolk nel 1575, per sottolineare il senso della missione fu intitolata al martire San Tommaso di Canterbury. Fu poi ricostruita una seconda volta, nel 1869-73, ad opera di Virginio Vespignani. Il Collegio è tutt'ora funzionante a carattere di seminario.
Le antiche targhe di proprietà erano molto semplici, col solo nome e numero progressivo (tra le pochissime ad averlo in numeri arabi).

Molte delle comunità straniere gestivano ospedali oppure custodivano cimiteri per i membri della propria "nazione"; per farlo si servivano dei fondi ottenuti dall'affitto delle loro proprietà immobili.

L'Ospedale di San Ludovico della nazione gallicana, cioè francese, faceva parte di un complesso che comprendeva la chiesa attualmente intitolata a San Luigi dei Francesi, nel cuore del Rione VIII (Sant'Eustachio), e un'ampio fabbricato per il clero, oltre ovviamente al nosocomio stesso.
In realtà, un ospedale retto dalla nazione francese per i membri della propria comunità e intitolato a San Ludovico esisteva già in tempi più antichi presso una piccolissima chiesa omonima, situata lungo l'attuale via del Sudario, sempre nel medesimo rione, ma alla sua estremità meridionale.

targa di proprietà dell'Ospedale di
San Ludovico, della comunità francese, coi tre gigli della corona di Francia
Divenuta quest'ultima fatiscente, nel 1468 la nazione francese la cedette all'Abbazia di Farfa, ricevendone in cambio alcune piccole chiese parrocchiali, al posto delle quali sorse la suddetta chiesa di San Luigi. Poi, nella prima metà del Cinquecento, San Ludovico passò nuovamente di mano, venendo acquisita da un'altro sodalizio "straniero" facente capo alla comunità dei Savoiardi e dei Piemontesi: l'Arciconfraternita del Santissimo Sudario. Costoro dapprima ne cambiarono la dedica a Sant'Elena, quindi nel 1605 la ricostruirono nelle forme attuali, convertendone ancora il titolo in Santissimo Sudario dei Savoiardi, in ricordo della Santa Sindone, che era stata custodita per secoli in Savoia e successivamente era stata trasferita a Torino. Nell'iconografia delle targhe di proprietà del sodalizio, infatti, compare proprio l'immagine del sacro lino osteso (qui a destra →).

targa di proprietà dell'Arciconfraternita del
Santissimo Sudario, dei Piemontesi e Savoiardi,
con una Sindone retta da una coppia di angeli

Francese, almeno in origine, era anche l'Ordine degli Ospedalieri di Santo Spirito, fondato da Guy de Montpellier nel 1178 e successivamente approvato da papa Innocenzo III. Agli inizi del Duecento si era diffuso in tutti i paesi europei cristiani, ma la sua sede centrale era a Roma, presso Santo Spirito in Saxia (cfr. in proposito il Rione Borgo), un complesso che era sorto nell'VIII secolo come centro di accoglienza dei pellegrini della comunità sassone ed in seguito, nel 1200 circa, era stato trasformato in ospedale per il ricovero di ammalati e bambini abbandonati ed affidato al suddetto ordine. Il sigillo dell'Ordine era la croce di Lorena, a due bracci trasversali (un simbolo araldico che si faceva risalire a Giovanna d'Arco), che era collocato sopra il portone d'ingresso degli immobili, dove segnalava l'appartenenza di questi agli Ospedalieri di Santo Spirito. Era un ordine economicamente molto potente, come si desume dall'alto numero di case possedute, soprattutto nei dintorni dell'ospedale (quello mostrato a lato è marcato 252).

L'Ospedale di Sant'Antonio dei Portoghesi deve la sua nascita alla fusione da parte di un vescovo portoghese di più strutture assistenziali già esistenti nel Quattrocento, destinate a cittadini del suo paese residenti a Roma. La più antica di queste, l'Ospedale di Santa Maria di Belém, era stato fondato dalle parti del Laterano addirittura nel 1363, da parte di una signora portoghese. La riunione di queste entità portò alla costruzione in Campo Marzio di un ospedale più grande (sul luogo dove esisteva già un'altra delle suddette strutture) e di una piccola chiesa adiacente, intitolata a Sant'Antonio. La Confraternita che si occupava di gestire l'ospedale fu approvata all'inizio del Cinquecento da Giulio II, ma un completo riordino del suo statuto si ebbe nel 1540 sotto Paolo III e poi di nuovo nel 1640 sotto Urbano VIII;. In quegli anni la ristrutturazione e l'ampliamento della chiesa nelle sue forme attuali era appena cominciata; fu terminata verso la fine del secolo. Le targhe di proprietà relative all'ospedale di Sant'Antonio recano lo stemma nazionale del Portogallo. A partire dalla seconda metà dell'Ottocento questa istituzione ha cominciato ad assumere un carattere progressivamente più laico, fino a trasformarsi nell'attuale Istituto Portoghese di Sant'Antonio, una fondazione che assiste economicamente intellettuali ed artisti.

Un vero polo ospedaliero esisteva nell'area di Ripetta, dove si contavano ben tre strutture nosocomiali a brevissima distanza tra loro.
Il piccolo Ospedale di San Girolamo degli Illirici faceva capo alla chiesa omonima ed era gestito dalla comunità proveniente dall'Illiria (o Schiavonia, come si diceva all'epoca, corrispondente all'attuale Croazia). Questa si era insediata presso la riva del fiume fin dalla metà del Trecento, cioè ancor prima che lì nascesse un porto fluviale. Fondato attorno al 1450 come ospizio per dare ricovero ai pellegrini di quella terra, la struttura era stata poi ingrandita per consentirne l'uso ospedaliero; era affiancato da un conservatorio per donne connazionali povere, affinché non avessero a confondersi con le meretrici. Infatti la zona presso il porto di Ripetta era fin dalla metà del XVI secolo il "quartiere a luci rosse" di Roma, dove le cortigiane potevano esercitare legalmente il loro mestiere solo rimanendo confinate entro un vero e proprio recinto, situato proprio accanto al complesso di San Girolamo.
Subito a lato sorgeva l'Ospedale di San Rocco, fondato attorno al 1500 per l'assistenza a coloro colpiti da malattie infettive, soprattutto quelle veneree, data la vicinanza del ghetto delle prostitute. Nel 1616 l'ospedale si era poi arricchito di un reparto di ostetricia dove era possibile partorire con la garanzia dell'anonimato, che per questo era detto Ospedale delle Celate. La struttura aveva annessa una piccola chiesa (forse preesistente), che alla metà del Seicento fu completamente ristrutturata nelle forme attuali. Non è rimasta alcuna targa relativa alle proprietà dell'Ospedale di San Rocco.

A soli 200 metri di distanza, un terzo complesso comprendeva l'Ospedale di San Giacomo degli Incurabili, fondato nel 1347 da un cardinale della famiglia Colonna per assistere pellegrini e poveri che non potevano ricevere cure adeguate a casa, né erano accolti dagli altri ospedali in città.
Dagli inizi del Cinquecento, quando si diffuse in Italia il morbo gallico o mal francese (cioè la sifilide), il San Giacomo prese a specializzarsi nel trattare pazienti colpiti da questa infezione come da qualsiasi altra malattia che provocava piaghe (L’hospitale di S.Jacomo riceve solamente malfranciosati, piagati ed altri simili d’infermità incurabile si legge in un testo della fine del XVI secolo); per tale ragione Leone X nel 1515 lo promosse Arcispedale. Tra i suoi pazienti vi fu anche Camillo de Lellis, uomo d'armi affetto da una piaga al piede, poi convertitosi alla vita religiosa spesa in favore dei malati e fondatore della Compagnia dei Servi degli Infermi, tanto da essere poi proclamato santo e addirittura patrono dei malati e degli ospedali. Il San Giacomo degli Incurabili aveva annessa una cappella dedicata al medesimo santo, detta San Giacomo dell'Agosta (in seguito, in Augusta) per la vicinanza del Mausoleo di Ottaviano Augusto. Tra il 1580 e il 1600 furono ampliati dapprima l'ospedale, poi la cappella, al cui posto sorse la chiesa attuale, lungo la via Lata (oggi via del Corso). L'emblema che si vede sulle targhe di proprietà rimaste è un bastone da pellegrino con una sciarpa annodata, in ricordo di San Giacomo.
Alle spalle del complesso era anche presente una piccola chiesa (tutt'oggi esistente), detta Santa Maria in Augusta e poi, dopo essere stata riedificata nel 1523 da Antonio da Sangallo il Giovane al termine di una pestilenza, Santa Maria in Porta Paradisi, forse perché nelle immediate adiacenze si trovava un luogo di sepoltura del vicino nosocomio, oppure dal nome di una vicina posterula delle mura aureliane, che un tempo seguivano il corso della riva del fiume, a pochi metri. Sulla sua facciata, una buca delle elemosine destinate agli "impiagati" del vicino ospedale (qui a sinistra) raffigura un infermo in carrozzella o, come si sarebbe detto all'epoca, in carriola.


L'Ospedale dei Pazzerelli (il cui titolo per esteso era Casa ovvero Hospitale delli Poveri forestieri et Pazzi dell'Alma Città di Roma) fu il primo manicomio della città. Venne fondato nel 1548 da tre gentiluomini spagnoli ed ebbe la prima sede in alcuni locali presso Santa Caterina de' Funari, nel Rione XI, Sant'Angelo. Fu poi trasferito presso piazza Colonna quando, nel 1563, papa Pio IV diede l'approvazione ufficiale all'istituto e all'Arciconfraternita che lo gestiva, chiamata di Santa Maria della Pietà dal titolo della chiesetta che sorgeva accanto al manicomio.
Nelle rarissime targhe superstiti relative all'istituzione (qui a sinistra, nelle quali viene citato come "ospedale dei poveri dementi") compare come emblema una classica pietà, con la Madonna sorreggente Cristo morto. La sede del manicomio rimase in piazza Colonna fino al 1725 circa, quando Benedetto XIII ne ordinò la costruzione di uno più grande nei pressi di Porta Santo Spirito.
Il vecchio complesso fu quindi concesso alla società dei Bergamaschi, che trasformarono il manicomio in ospedale generico a beneficio dei loro conterranei residenti in Roma e cambiarono titolo alla chiesetta, dedicandola ai Santi Vincenzo, Alessandro e Bartolomeo. L'Arciconfraternita della comunità prese il nome dagli ultimi due, che compaiono nell'emblema effigiato sul gonfalone e sulle targhe di proprietà del sodalizio (in alto a sinistra).

L'Arciconfraternita di Santa Maria della Pietà in Camposanto dei Teutonici, quasi omonima a quella che gestiva il manicomio, è un'istituzione ancora più antica, che risale alla Schola Francorum, un complesso fondato da Carlo Magno nel 796 nelle immediate adiacenze della basilica di San Pietro, a beneficio della comunità romana dei suoi conterranei, i Franchi; comprendeva uno xenodochio, una chiesa dedicata al Salvatore e un piccolo cimitero dove i membri della comunità venivano sepolti. Alla caduta dell'impero carolingio la gestione di questo complesso passò alla basilica stessa, ma poi durante il periodo avignonense del papato cadde in completo abbandono. Nel Quattrocento papa Martino V e i suoi successori diedero nuova vita a questa istituzione, essendo la comunità teutonica a Roma ancora cospicua. Il cimitero fu ampliato, circondato da un muro di cinta e vi fu posto a difesa un guardiano, che viveva in loco. Durante la peste del 1448 la locale comunità fondò una confraternita per dare sepoltura a tutti i germanici che morivano a Roma (il regno di Germania allora comprendeva anche l'attuale Austria e i Paesi Bassi). Furono anche ricostruiti l'ospizio e la chiesa, che prese il nome di Santa Maria della Pietà. Anche in questo caso l'emblema della confraternita era una "pietà". Quando nei primi del Cinquecento fu fondata la chiesa di Santa Maria dell'Anima, che assunse il ruolo di chiesa nazionale teutonica di Roma, l'importanza dell'antico complesso accanto a San Pietro decadde nuovamente. Nel 1876 Pio IX vi fondò un seminario per sacerdoti germanofoni, il Collegio Teutonico di Santa Maria in Camposanto. Attualmente si trova entro lo stato della Città del Vaticano. ma un paio di targhe di proprietà sono rimaste nel centro storico.

Infine, un terzo tipo di entità a cui appartenevano gli immobili erano le corporazioni che riunivano coloro i quali esercitavano determinati lavori, l'equivalente delle odierne associazioni di categoria. Nate con la finalità di garantire l’assistenza reciproca tra i membri e la difesa degli interessi comuni, erano un istituto in vigore a Roma fin dall'età repubblicana, quando si chiamavano collegia; furono riprese a partire dal XII secolo col nome di Università o Arti. Sedi delle università erano solitamente una chiesa o un oratorio, a volte costruiti apposta coi fondi dell'associazione stessa (come l'esempio a destra); altre volte, invece, l'edificio era preesistente al sodalizio, a cui l'uso ne veniva concesso dal papa.

iscrizione dedicatoria sul portale della piccola chiesa dei →
Santi Benedetto e Scolastica, dell'Università dei Norcini

targhe di proprietà dell'Università dei Fabbri
Dal XVI secolo in poi, ben nove delle Università esistenti in Roma, cioè quelle dei Sensali, Mercanti, Pizzicaroli, Fruttaroli, Ortolani, Molinari, Vermicellari, Pollaroli e Scarpinelli (ciabattini) si aggregarono all'Arciconfraternita di Santa Maria dell'Orto, descritta nella I parte, ma tradizione vuole che ne seguissero l'esempio anche quelle dei Vignaroli, Barilari e Mosciarellari (venditori di castagne secche, dette mosciarelle).
Altre invece, come quella suddetta dei Norcini, quella dei Falegnami e altre ancora rimasero autonome; tra di esse c'era anche l'Università degli Orefici, dei Ferrari (fabbri) e dei Sellai, che era nata come corporazione unica.

Poi, nel 1404, furono separate in tre entità distinte; mantennero però in comune la chiesa a cui le Università facevano riferimento, San Salvatore alle Coppelle (eretta nel 1196) e il protettore, Sant'Eligio di Noyon (vescovo ed orafo, vissuto nel VII secolo). Agli inizi del Cinquecento Fabbri ed Orefici costruirono a proprie spese per le rispettive comunità due nuove chiese, dedicate entrambe al medesimo santo e perciò dette Sant'Eligio dei Fabbri (situata nel Rione XII, Ripa, proprio dirimpetto a San Giovanni Decollato, sede dell'Arciconfraternita della Misericordia) e Sant'Eligio degli Orefici (un'architettura del giovane Raffaello, nel Rione VII, Regola). Nelle adiacenze di entrambe le chiese si trovano case coeve con targhe di proprietà: su quelle dell'Università dei Fabbri (qui in alto) è effigiato l'emblema del martello e dell'incudine, mentre quelle dell'Università degli Orefici ed Argentari (a destra) hanno solo il testo.

targa di proprietà dell'Università degli Orefici

L'Università dei Falegnami era stata istituita nel 1525 e riuniva numerose sottocategorie lavorative, quali gli ebanisti, gli intagliatori, i tornitori, gli sediari, gli zoccolari (fabbricanti di zoccoli), i barilari, i fatamburi (fabbricanti di tamburi), i cembalari (fabbricanti di cembali), i facocchi (costruttori di carrozze), i fabarche (costruttori di imbarcazioni), i famole (costruttori di mulini galleggianti, dei quali è fatto cenno nella pagina sulle targhe alluvionali), i manticiari (fabbricanti di mantici), i bastari (fabbricanti di basti per animali) e altri ancora. Aveva sede in San Gregorio a Ripetta, una chiesetta fondata nel 1527 dall'Università dei Muratori, che ospitava anche la corporazione dei carpentieri.
Pochi anni dopo, nel 1540, trenta artigiani fondavano la Confraternita di San Giuseppe dei Falegnami, con sede nella chiesa di San Pietro in Carcere, così chiamata perché edificata proprio al di sopra sopra del Carcere Mamertino, in cui secondo la tradizione furono tenuti prigionieri San Pietro e San Paolo; il sodalizio si occupava di generiche opere di carità.

↑ targa dell'Arciconfraternita
di San Giuseppe dei Falegnami;
il santo e il Carcere Mamertino sono
mostrati nell'ingrandimento a destra →
Attorno al 1600 quest'ultima chiesa fu ricostruita e intitolata a San Giuseppe. In tale occasione l'Università dei Falegnami si aggregò al sodalizio, divenuto Arciconfraternita, prendendo sede anch'essa in San Giuseppe dei Falegnami al Foro Romano. Quella mostrata a sinistra è una delle rarissime targhe di proprietà superstiti, purtroppo in pessimo stato di conservazione: raffigura San Giuseppe in piedi su una rappresentazione schematica del Carcere Mamertino, dove dietro alle sbarre si vedono i Santi Pietro e Paolo, riconoscibili dai loro tradizionali attributi (rispettivamente, le chiavi e la spada).




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