NOME
Sant'Eustachio è il nome di un martire cristiano dei primi anni del II secolo, a cui nel centro di questo rione è intitolata un'antica chiesa che, per tradizione popolare, sorge sul luogo del suo martirio.
La sua denominazione medioevale, Regio Sancti Eustachii et Vinee Tedemarii, fa riferimento anche ad un terreno coltivato (vinea) di proprietà di Tedemario, un personaggio oggi sconosciuto, che visse forse attorno all'anno 950.


vicolo delle Coppelle
STEMMA
Sant'Eustachio fra le corna di un cervo.
Secondo la leggenda, attorno all'anno 100, un generale di nome Placidus era a caccia, quando vide uno splendido cervo. Ma al momento di prendere la mira, una croce luminosa apparve tra le corna dell'animale e sulla sua coscia e si udì una voce che diceva Placidus perché mi perseguiti?. Il prodigio convinse il militare a convertirsi al cristianesimo e cambiò così il proprio nome in quello di Eustachius. In seguito, rifiutatosi di venerare il dio Apollo durante una pubblica celebrazione, fu condannato ad bestias, cioè ad essere sbranato dalle fiere, assieme ai suoi familiari; ma le belve miracolosamente li risparmiarono, per cui furono successivamente uccisi introducendoli in un toro di bronzo arroventato.
In versioni più antiche, nello stemma tra le corna dell'animale al posto del santo si trova una croce.


CONFINI
Corso del Rinascimento; piazza delle Cinque Lune; piazza di Sant'Agostino; via di Sant'Agostino; via dei Pianellari; via dei Portoghesi; via della Stelletta; via di Campo Marzio; piazza di Campo Marzio; via della Maddalena; via del Pantheon; piazza della Rotonda; via della Rotonda; piazza di Santa Chiara; via di Torre Argentina; largo Arenula; via Arenula; piazza Benedetto Cairoli; via dei Giubbonari; via dei Chiavari.


ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta qui in basso)
A causa della sua forma lunga e stretta, i confini di questo rione attraversano verticalmente molte dei siti storici di Roma, senza però includere alcuno dei monumenti più famosi della città.
Nell'antica Roma Sant'Eustachio corrispondeva alla parte più centrale del Campus Martius, dove sorgevano diversi edifici pubblici importanti, nessuno dei quali è rimasto in piedi oltre il primo millennio.

Nel corso del tardo Medioevo il rione venne ricostruito, con un'elevata densità di piccole case ad uso privato, abitate dalle classi sociali media e bassa. Qui ebbe la sua sede storica la prima Università di Roma, fino al 1935.

Alla fine dell'Ottocento Sant'Eustachio subì diverse demolizioni per l'apertura dell'asse viario di corso del Rinascimento, che attualmente ne rappresenta buona parte del confine occidentale.

Il cuore di questo rione è la pittoresca piazza [1] che prende il nome dal santo. Qui sorge la chiesa di Sant'Eustachio, il cui timpano è sormontato da una testa di cervo su cui poggia la croce. Infatti l'edificio fu eretto sul luogo dove, secondo la tradizione, sarebbe avvenuta l'uccisione del soldato romano e della sua famiglia. Le sue forme attuali risalgono al 1720 circa, ma il campanile è ancora quello della struttura medioevale (tardo XII secolo).
piazza Sant'Eustachio: a sinistra è la chiesa,
al centro il palazzo di Tizio da Spoleto

Dirimpetto alla chiesa è un palazzetto dei primi del XVI secolo appartenuto a Tizio da Spoleto, maestro di camera del cardinale Alessandro Farnese (futuro papa Paolo III); è coperto di affreschi di Federico Zuccari, una delle sue prime opere in Roma, con scene della vita di Sant'Eustachio e uno stemma mediceo riferito a Pio IV (Angelo Medici), che permette di datare il lavoro attorno al 1560.

Nella stessa piazza si trova un bar molto conosciuto, che prende nome da quello del rione, dove si serve uno dei migliori caffè di Roma; per tutti coloro che passano lì accanto, fermarsi a bere un espresso è quasi un obbligo, ma vi si trovano in vendita anche una quantità di dolci e prodotti vari aromatizzati al caffè.

Sul fianco destro della chiesa, lungo via di Sant'Eustachio, due alte colonne sono tutto ciò che rimane delle antiche terme di Nerone (62 dC). L'impianto, piuttosto esteso, subì danni legati a incendi e fu restaurato più d'una volta, fino a quando nel III secolo l'imperatore Alessandro Severo lo riedificò per intero sullo stesso luogo, dando alle terme il proprio nome. Purtroppo oggi ne rimangono solo esigui frammenti; di un altro si parla più avanti.

le due colone superstiti dalle terme di Nerone

Il lato ovest di piazza Sant'Eustachio è chiuso dal complesso detto La Sapienza [3], di cui svetta l'alta e bizzarra lanterna a spirale; il suo ingresso principale è situato lungo corso del Rinascimento, ma vi si può accedere anche dal retro, da un portone a pochi metri dalla piazza. Comprende un edificio del XVI secolo con un largo cortile al centro, circondato su tre lati da un portico su due livelli (opera di Giacomo Della Porta), mentre il quarto lato è occupato dalla chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, un'architettura di Francesco Borromini. Questa è stata la sede della prima Università di Roma (Studium Urbis), dalla complessa evoluzione architettonica che vide l'interesse di molti pontefici lungo un arco di tempo di circa 350 anni.
L'istituzione fu fondata nel 1303 sotto Bonifacio VIII, sull'esempio di quelle già esistenti in altre città italiane (Bologna, Padova, Siena, Napoli) ed estere (Parigi, Oxford, Cambridge), ma non aveva una sede propria. Anticamente gli insegnanti erano soliti riunirsi nella vicina chiesa di Sant'Eustachio. Nel 1431 Eugenio IV assicurò dei fondi economici, grazie ai quali fu possibile far venire a Roma insegnanti qualificati, ma solo alla fine del secolo (c.1495) venne costruita la prima sede universitaria, poi ampliata all'inizio del Cinquecento da Leone X con l'aggiunta di due cortili e una cappella. Sotto Pio IV (1560 circa) ne fu avviata la ristrutturazione, affidata inizialmente a Pirro Ligorio. Circa dieci anni dopo, Gregorio XIII passò i lavori a Giacomo Della Porta, che li completò nel 1587, sotto Sisto V, per cui il nome di questo pontefice compare sul portone. Nella ristrutturazione andò persa la cappella; per tale ragione poco dopo il 1630 Urbano VIII incaricò Borromini della costruzione della nuova chiesa, che richiese circa venticinque anni e fu completata sotto Alessandro VII (1660).

← il cortile della Sapienza con Sant'Ivo
Divenuta Roma capitale del Regno d'Italia, dal 1870 si rese necessario trovare all'università nuove succursali, a causa dell'imponente aumento del numero di studenti, procedendo però parallelamente alla costruzione di un nuovo polo universitario in tutt'altra parte della città (fuori delle mura aureliane), che fu inaugurato solo nel 1935. Da allora il complesso della Sapienza fu adibito ad Archivio di Stato.

la lanterna di Sant'Ivo
Sant'Ivo è un gioiello dell'architettura barocca. Ha una facciata concava, le cui finestre si integrano prospetticamente coi due livelli del portico, anziché interromperli. Ma l'elemento più stupefacente è il lanternino, formato da sei sezioni concave separate da coppie di colonnine terminanti in pinnacoli; quest'ultimi proseguono verso l'alto lungo un coronamento a spirale che si stringe, culminando in un cerchio di fiamme, una gabbia e un globo con la croce, che nell'insieme suggeriscono l'idea di una corona. Il disegno interno della cupola, non meno insolito, ha la forma di un triangolo equilatero con gli spigoli convessi, al centro dei cui lati si aprono dei semicerchi, che descrivono un secondo triangolo incrociato col primo.
schema della cupola di Sant'Ivo

Sempre lungo corso del Rinascimento, a breve distanza, Palazzo Madama [4] ospita il Senato della Repubblica.

Palazzo Madama
Il suo primo nucleo risale alla fine del XV secolo, quando in questo luogo sorse un palazzetto che nei primi del Cinquecento fu abitato anche dal cardinale Giovanni de' Medici (figlio di Lorenzo il Magnifico e futuro papa Leone X). In seguito rimase proprietà dei Medici, che lo fecero ingrandire. Divenne quindi la residenza romana di Margherita d'Austria, la figlia dell'imperatore Carlo V, anche lei membro della stessa famiglia, avendo sposato da giovanissima un Medici; assassinato quest'ultimo e unitasi in seconde nozze a un Farnese (nipote di papa Paolo III), continuò a risiedere nel palazzo durante i suoi soggiorni romani. Poiché a lei ci si rivolgeva chiamandola "Madama", anche all'edificio rimase il nome di Palazzo Madama. Assunse le forme attuali nei primi del Seicento; nel secolo successivo passò di mano più volte e fu adibito a varie funzioni: tribunale, carcere, poi dalla metà dell'Ottocento a Ministero delle Finanze e sede dell'estrazione del lotto (che prima avveniva a Palazzo di Montecitorio, nel rione Colonna).
Nel 1870 fu scelto per ospitare il Senato del neonato Regno d'Italia. Al crescere del numero dei senatori, per esigenze di spazio nel 1905 fu ampliato sul retro, ed infine nel 1929 fu unito con un passaggio sopraelevato al vicino Palazzo Carpegna, che per l'occasione fu interamente ricostruito. Inoltre dal 1938 Palazzo Madama è anche collegato da un passaggio sotterraneo al retrostante Palazzo Giustiniani (della fine del Cinquecento, poi ampliato su disegno di Borromini a partire dal 1655), dove nel dicembre del 1947 fu firmata la Costituzione e che ora funge da uffici di presidenza del Senato. La via lungo cui sorge è detta della Dogana Vecchia perché qui originariamente si trovavano gli uffici della dogana di terra, prima che a metà del Seicento fossero trasferiti a Piazza di Pietra (rione Colonna).

In via degli Staderari, che divide Palazzo Carpegna dalla Sapienza, si trova la fontanella rionale di Sant'Eustachio (1927), chiamata Fontana dei Libri, con una testa di cervo tra quattro volumi, che fanno riferimento alla vicina Università.


la Fontana dei Libri



la vasca antico-romana
Lungo la medesima via, in un piccolo spiazzo alle spalle di Palazzo Carpegna, un'altra fontana è stata ricavata da una colossale vasca di granito egizio, rinvenuta durante operazioni di scavo presso il Senato. Apparteneva alle terme di Nerone, che nell'antichità si estendevano nell'area ora occupata da Palazzo Madama e dal succitato Palazzo Giustiniani; alcuni resti dello stabilimento romano, infatti, sono ancora esistenti nei sotterranei del Senato.
La vasca era già nota nel medioevo, quando veniva citata nelle guide cittadine come concha Sancti Eustachii, ma col passare del tempo finì ricoperta dalla terra. La fontana è ora provvista di una piscina ottagonale moderna, nella quale si raccoglie l'acqua che tracima dal bordo della conca.

Alcune chiese del rione abbondano di opere d'arte di artisti famosi.
Una di esse è San Luigi dei Francesi [5], una delle numerose chiese "straniere" di Roma, fondata nel 1518 per volere del cardinale Giuliano de' Medici (cugino del summenzionato Giovanni e anch'egli futuro papa col titolo di Clemente VII). I lavori tuttavia si interruppero abbastanza presto e furono ripresi solo nel 1580 su commissione di Caterina de' Medici (già moglie del re francese Enrico II, nonché madre del suo successore Enrico III). Sulla facciata si trovano le statue di re e regine di Francia (tra cui Carlo Magno) e, nella parte inferiore, due grandi medaglioni in rilievo con la curiosa impresa araldica del monarca francese Francesco I, regnante all'epoca della fondazione, raffigurante una salamandra dall'aspetto di drago, che sopravvive alle fiamme: a quei tempi, infatti, si credeva che tale animale fosse in grado di resistere al fuoco.

l'impresa araldica del re Francesco I

In una delle sue cappelle, appartenuta al cardinale Mathieu Cointrel (o Cointerel, poi italianizzato in Contarelli) si conservano ben tre dipinti di Caravaggio ispirati agli episodi della vita di San Matteo.

le due versioni di San Matteo e l'Angelo
Nel 1577 allo scultore olandese Jacob Cobaert fu commissionata come pala d'altare un gruppo (San Matteo e l'Angelo), a cui l'artista lavorò per più di venti anni; poi, verso la fine del secolo, fu chiamato Caravaggio per le due pareti laterali della cappella. Ma alla fine l'opera di Cobaert, peraltro ancora incompiuta, venne rifiutata e a Caravaggio fu data nuovamente commissione di dipingere lo stesso soggetto. Anche la sua prima versione, però, considerata troppo spregiudicata, fu rifiutata; per cui ciò che ora si ammira sulla parete di fondo della cappela è la seconda versione del dipinto (1602 c.ca). Quella respinta andò purtroppo distrutta a Berlino, durante un bombardamento della Seconda Guerra Mondiale. Invece il gruppo di Cobaert, con l'angelo completato da Pompeo Ferrucci, finì nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, nel rione Regola.

Un'altra chiesa a breve distanza è Sant'Agostino [6], uno dei primi edifici rinascimentali di Roma (1483). Al suo interno, uno dei pilastri è decorato con un affresco di Raffaello (il profeta Isaia) e sotto di esso è collocato un bel gruppo marmoreo di Andrea Sansovino (la Madonna col Bambino e Sant'Anna), entrambe opere del 1512 ed entrambe commissionate da un cardinale lussemburghese, Johann Goritz, a ornamento di un altare, oggi scomparso, che si trovava presso il pilastro stesso.
cartelli stradali intagliati nel legno in via dei Pianellari

da sinistra: la Madonna dei Pellegrini (Caravaggio), il profeta Isaia (Raffaello) e la Madonna del Parto (Jacopo Sansovino)

Sant'Agostino è quasi una piccola galleria d'arte, in quanto vi si trova anche un'altra opera di Caravaggio, la Madonna di Loreto, anche detta dei Pellegrini dalle due figure in primo piano; nel dipinto due anziani contadini si rivolgono con venerazione alla Vergine, raffigurata come una comune popolana; tale interpretazione realistica, senza quasi alcun segno della sua natura divina, e la crudezza dei particolari, come i piedi sporchi dei pellegrini, furono considerate inopportune per un tema religioso, ed inizialmente scatenarono aspre critiche.
Sempre nella stessa chiesa, un altro capolavoro è una splendida scultura della Vergine col Bambino detta Madonna del Parto (1518), di forte influsso michelangiolesco, opera di Jacopo Sansovino, che per scolpire il gruppo si ispirò ad un'antica statua seduta di Apollo (ora in un museo di Napoli), tanto che la gente del popolo a lungo ravvisò nelle sembianze delle due figure Agrippina Minore e il figlio neonato Nerone. L'opera è tradizionalmente venerata dalle donne in gravidanza, donde il titolo; a parto avvenuto, le madri vi lasciano accanto come ex voto nastri, fotografie, bavaglini, biglietti di ringraziamento.
la targa presso Sant'Agostino

All'esterno della chiesa, sul lato sinistro, in alto, si vede una delle prime targhe che vietano di accumulare rifiuti (cfr. in proposito Curiosità romane), che minaccia i trasgressori di «...pena della cattura personale, XXV scudi d'oro, tre tratti di corda et altre pene come per decreto del VI luglio MDCXXXXVI".

La porzione più settentrionale del rione è attraversata da via delle Coppelle, un nome che rimanda ad un'antica misura di volume, la coppella, o copella (dal latino cupa = "botte"), pari a cinque litri, usata per il vino e per l'acqua. Lungo la via si apre una piazzetta omonima [6], in buona parte occupata dalla piccola chiesa di San Salvatore delle Coppelle, fondata attorno al 1200 ma poi ricostruita per l'anno giubilare del 1775 (il campaniletto romanico è tutto ciò che rimane dell'edificio originale).

← una madonnella sulla facciata di un'antica palazzina in piazza delle Coppelle
Sul suo lato sinistro si trovano affisse due interessanti targhe antiche. Una, del 1749, con un minuscolo sportello, ordina ad albergatori e locandieri di dare notizia, inserendovi un biglietto, di qualsiasi ospite forestiero si fosse ammalato, nel timore dello scatenarsi di epidemie durante l'affluenza di pellegrini per l'anno giubilare 1750.
L'altra, assai più semplice, riporta il duplice nome della chiesa: questa infatti nel medioevo era detta San Salvatore della Pietà, un toponimo sulla cui origine si dirà tra breve. Ciò che colpisce maggiormente è la data della targa, 1195, che se fosse autentica la renderebbe la più antica iscrizione pubblica conosciuta in lingua volgare (all'epoca gli avvisi erano solo in latino).
le targhe sul lato di San Salvatore


Lungo il lato orientale del rione il confine passa per piazza della Rotonda [2], tagliandola in due metà: quella a sud, nella quale sorge il Pantheon, appartiene al rione Pigna, mentre rientra in Sant'Eustachio l'altra, con una splendida fontana del 1575, arricchita da un gruppo centrale aggiunto nel 1711, che sostiene un piccolo obelisco egizio proveniente dal Tempio di Iside (per i dettagli si vedano le monografie Fontane e Obelischi).
Prima di essere trasferita in piazza della Rotonda, la guglia sorgeva a 200 metri di distanza, nel sito dov'era stata rinvenuta verso la fine del medioevo, cioè presso la piccola chiesa di San Macuto, al confine tra i rioni Colonna e Pigna. Per tale ragione l'obelisco è anche chiamato Macuteo.
(← a sin.) la fontana davanti al Pantheon e
il suo movimentato gruppo centrale (qui in alto ↑)


La piazza è ora letteralmente circondata da bar, caffé, e persino da un ristorante fast food il quale, secondo l'opinione di molti amanti di Roma, non avrebbe mai dovuto essere aperto di fronte ad un sito storico di enorme importanza qual è il Pantheon.

Anche nei secoli passati il luogo era stato deturpato da numerosi banchi di vendita, che avevano finito col formare un vero e proprio mercato, sviluppato su tre dei lati della piazza, finendo col coprire la vista sul famoso monumento. Per tale ragione nel 1822 papa Pio VII fece rimuovere i banchi, così da ripristinare l'originale bellezza di questo sito, come viene ricordato in una grossa targa in latino, sulla quale si legge:

in alto: veduta della piazza alla fine del Seicento
in basso: il ristorante sotto la targa di Pio VII, mostrata in dettaglio a destra →

Per scherzo del destino questa targa ora sovrasta proprio l'anzidetto ristorante, quasi un monito che eccheggia dal passato, sebbene né i proprietari del locale né tantomeno i suoi numerosi avventori sembrano essere consapevoli della paradossale situazione.
PAPA PIO VII NEL XXIII ANNO DEL SUO REGNO
A MEZZO DI UN'ASSAI PROVVIDA DEMOLIZIONE
RIVENDICÒ DALL'ODIOSA BRUTTEZZA
L'AREA DAVANTI AL PANTHEON DI M. AGRIPPA
OCCUPATA DA IGNOBILI TAVERNE
E ORDINÒ CHE LA VISUALE RIMANESSE LIBERA IN LUOGO APERTO



In passato, al centro della piazza, più o meno dov'è ora la fontana, sorgeva un monumento ad arco dei primi del II secolo, con rilievi probabilmente raffiguranti allegorie delle province romane, ma che nel medioevo il popolo interpretava come la raffigurazione di un'antica leggenda: Traiano, in partenza per una campagna, sarebbe stato fermato da un'anziana vedova che invocava giustizia per il figlio ucciso e l'imperatore, mosso a pietà dalla sua insistenza, avrebbe accettato di scendere da cavallo e avrebbe condannato l'uccisore (la leggenda è citata anche da Dante nel X Canto del Purgatorio). Per questo il monumento era noto come Arco della Pietà. Fino alla metà del Quattrocento nella piazza ne rimanevano i resti, per cui l'area a nord del Pantheon veniva indicata come contrada della Pietà (il che spiega il primitivo titolo della vicina chiesa di San Salvatore).

Nella parte meridionale del rione, il fondo di corso del Rinascimento è chiuso dall'ampia facciata di Sant'Andrea della Valle [7], sorta a partire dal 1590 c.ca sul sito del palazzo della famiglia Piccolomini, che fu donato a tale scopo da Costanza Piccolomini, duchessa di Amalfi, il cui patrono è per l'appunto Sant'Andrea. I lavori, condotti da Carlo Maderno e Giacomo Della Porta, furono completati da Carlo Rainaldi solo nel 1665. Poiché a Roma esistono altre due chiese dedicate allo stesso santo, Sant'Andrea al Quirinale (nel rione Monti) e Sant'Andrea delle Fratte (nel rione Trevi), a questa fu dato il titolo dal palazzo del cardinale Andrea Della Valle, che gli sorge di fronte, un'architettura di Lorenzetto del primo Cinquecento, e la distingue dalle altre due dedicate allo stesso santo: . La chiesa è conosciuta per la sua enorme cupola, terza in altezza dopo quelle del Pantheon e della basilica di San Pietro in Vaticano, primato perduto negli anni '50 con la costruzione di due grandi chiese periferiche.* Nella cappella della famiglia Barberini, decorata da sculture di Pietro e Gianlorenzo Bernini e di Francesco Mochi, il compositore Giacomo Puccini volle ambientare il primo atto dell'opera Tosca.
* le basiliche dei Santi Pietro e Paolo (1939-1958, quartiere EUR) e di San Giovanni Bosco (1953-59, quartiere Don Bosco) oggi vantano rispettivamente la terza e la quarta cupola per diametro dopo quelle del Pantheon e di San Pietro in Vaticano.

Sant'Andrea della Valle
Sul lato sinistro della facciata si vede la statua di un angelo, mentre a destra manca. Allo scultore Giacomo Antonio Fancelli (della cerchia di Bernini) erano state commissionate due figure complementari. Ma quando la prima fu collocata in sede, piovvero aspre critiche per la sua ala, giudicata eccessivamente lunga; persino il pontefice mostrò di non apprezzare molto il risultato. Lo scultore, risentito dalla stroncatura, si rifiutò di eseguire la seconda statua, commentando che il papa avrebbe certamente fatto di meglio scolpendosela da solo. Così la metà destra della facciata rimase senza angelo.
il criticato angelo solitario sul
lato sinistro della facciata

In Sant'Andrea della Valle riposano due papi del primo Rinascimento, Pio II (Silvio Enea Piccolomini, fine umanista, 1458-64) e Pio III (suo nipote, il cui pontificato durò soli undici giorni, nell'ottobre del 1503).

monumento funebre di Pio II
I loro alti monumenti funebri, quasi gemelli, erano originariamente situati nell'antica basilica di San Pietro, appoggiati alla controfacciata, da dove furono trasferiti nel 1615, durante i lavori di ultimazione della nuova basilica vaticana. In realtà, in San Pietro i due papi non erano sepolti all'interno del rispettivo monumento, bensì in semplici tombe a terra. Queste ultime furono traslate in Sant'Andrea otto anni dopo il trasferimento dei cenotafi. Anche in questa chiesa i resti furono collocati sotto il pavimento della tribuna. Riemersero alla metà del Settecento, durante lavori di rifacitura e furono rimessi al loro posto. Ma del punto esatto si perse traccia e da allora le loro tombe non sono più state rintracciate.
La chiesa vanta inoltre importanti affreschi di Domenichino (nell'abside e sui pennacchi) e di Giovanni Lanfranco (soffitto della cupola), entrambi eseguiti a partire dal 1621 ma in due stili estremamente differenti, che furono alla base della rivalità tra i due famosi pittori.

uno dei pannelli →
affrescati da Domenichino

La graziosa fontana davanti a Sant'Andrea della Valle, di Carlo Maderno, fu qui trasferita nel 1958, dopo essere stata rimossa dalla sua collocazione originaria, piazza Scossacavalli, scomparsa nel corso delle demolizioni che sconvolsero il rione Borgo (1936-1937).


Sul lato sinistro della chiesa, in un angolo, si trova una delle cosiddette statue parlanti di Roma, chiamata l'Abate Luigi.

Alle spalle dell'isolato davanti a Sant'Andrea (che comprende il summenzionato Palazzo Della Valle) corre la stretta e breve via dei Redentoristi [8].
Al numero 9, in un piccolo slargo, c'è una casa che ha all'angolo una colonna antica sormontata da un capitello corinzio e da una curiosa testa grottesca con ali da pipistrello. Nella seconda metà dell'Ottocento il marchese Capranica del Grillo l'aveva fatta ristrutturare per la moglie, l'attrice Adelaide Ristori, all'epoca assai famosa (non a caso, l'edificio di fronte ospita il Teatro Valle). Nella prima metà del Novecento la stessa casa fu abitata anche dal poeta Aldo Palazzeschi, ricordato da una targa.

← il capitello con la testa grottesca

In fondo alla via, al numero 13, un'altra targa, affissa presso un portone che reca la data 1864 (relativa ad un restauro), ci informa che nel 1791 lì nacque il celebre poeta dialettale Giuseppe Gioachino Belli.

la casa natale di Belli


la Casa del Burcardo in via del Sudario
Lungo il confine rionale con Pigna, in largo Arenula, sorge il più antico teatro di Roma [9a], detto Argentina dal nome di un'antica torre oggi scomparsa che un tempo esisteva sul retro, a sua volta legata ad un edificio della fine del Quattrocento che ha la facciata al numero 44 della stretta via del Sudario, la cosiddetta casa del Burcardo [9b].
Poco dopo il 1490 il vescovo alsaziano Johannes Burckardt (italianizzato in Burcardo) aveva fatto edificare la propria abitazione ampliando delle costruzioni preesistenti in parte diroccate, che comprendevano tra l'altro un'antica torre. Essendo dei dintorni di Strasburgo (antico nome: Argentorarum, dalle vicine miniere di argento), nei documenti si firmava episcopus argentinus; ecco perché la torre prese a essere chiamata Argentina.
Alla morte del vescovo (1506) passò ai Cesarini, che già da tempo ne rivendicavano la proprietà. Nel 1730 la famiglia Cesarini Sforza volle edificare un teatro, per la costruzione del quale fu demolita la parte posteriore della casa del Burcardo, mentre altre parti furono adibite a locali di servizio del teatro. Alla fine del secolo anche la parte sommitale della torre scomparve. Nella prima metà dell'Ottocento il teatro fu acquistato dai Torlonia e infine dopo il 1870 passò al Comune di Roma.


All'estremità meridionale di Sant'Eustachio si trova la chiesa di San Carlo ai Catinari [11].
Quest'ultima, edificata a partire dal 1611 a spese della comunità milanese di Roma, prese il posto di una del XII secolo dedicata a San Biagio; fu dedicata al vescovo di Milano Carlo Borromeo, cardinale e nipote di Pio IV, canonizzato l'anno precedente, ed affidata all'ordine milanese dei Barnabiti. Il titolo per esteso è infatti Santi Biagio e Carlo ai Catinari (l'ennesimo toponimo derivante dagli artigiani del luogo). La sua cupola svetta sugli edifici circostanti, al punto che fu colpita più volte da fulmini e nel giugno 1849, all'epilogo della breve Repubblica Romana (cfr. in proposito anche Trastevere), subì danni da colpi di artiglieria provenienti dal colle Gianicolo, poi restaurati nel 1860. Al suo interno conserva opere di maestri dell'arte barocca, quali Domenichino (pennacchi dei pilastri della cupola), Pietro da Cortona (pala dell'altare maggiore) e Giovanni Lanfranco (pala d'altare di una cappella).