NOME
Ripa (cioè "riva") si riferisce a Ripa Grande, il principale porto fluviale di Roma, abbandonato nel XIX secolo, che sorgeva su entrambi i lati del Tevere. Solo il lato orientale appartiene a questo rione, essendo quello occidentale compreso nel territorio di Trastevere (Rione XIII).
Nel Medioevo questo era l'undicesimo distretto di Roma, chiamato Regio Ripe et Marmorate; il secondo nome faceva riferimento al tratto di riva sotto il colle Aventino dove, sin dall'età imperiale, blocchi grezzi di diverse qualità di marmo (marmora) portate a Roma dall'Oriente venivano stivate negli horrea Galbae (vedi oltre).
Ripa Grande - incisione (fine del XVIII secolo)
Ripa Grande nel XVIII secolo (incisione di G.B.Piranesi)

stemma del rione Ripa stemma del rione Ripa STEMMA
Un timone di nave, in riferimento all'antico porto.

CONFINI
L'Isola Tiberina; lungotevere dei Pierleoni; lungotevere Aventino; piazza dell'Emporio; via Marmorata; viale Manlio Gelsomini; piazza Albania; viale Aventino; via dei Cerchi; via di San Teodoro; via dei Fienili; piazza della Consolazione; vico Jugario; via del Foro Olitorio; piazza Monte Savello.

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta qui a destra)


Ripa è un rione formato da tre parti distinte. La più settentrionale, minore per estensione, si sviluppa in una valle alla confluenza di tre colli, il Campidoglio, il Palatino e l'Aventino; quest'ultimo costituisce quasi per intero la seconda parte più a sud, mentre la terza parte è rappresentata dall'Isola Tiberina, collegata alla terraferma da ponti storici.
La parte più settentrionale di Ripa, dove il rione passa accanto al Campidoglio, era già popolata prima della fondazione della città; vi sono state infatti rinvenute tracce di insediamenti risalenti all'età del ferro.
pianta di riferimento di Ripa


A partire dal V secolo le invasioni barbariche provocarono il declino dell'intera zona, anche se durante il medioevo continuavano ad arrivare via fiume tanto merci che pellegrini, che però approdavano alla sponda opposta, quella di Trastevere, che veniva per questo detta Ripa Romea (romei erano i pellegrini che venivano a Roma); la sponda orientale, invece, era detta Ripa Graeca, per via dell'insediamento di una comunità greca. Qualche convento sorse sulle alture dell'Aventino, in posizione più sicura. Solo alla fine del Seicento le strutture della Ripa Romea furono ricostruite e provviste di nuove rampe di scale, ma un po' più a monte, in quanto nella prima metà del secolo la posizione di Porta Portese era stata arretrata rispetto a quella romana antica (cfr. Le mura dei papi), e il porto prese il nome di Ripa Grande [1b].

Il rione, quindi, si ripopolò di modeste casupole dei pescatori locali. Ormeggiati attorno all'Isola Tiberina, ma anche nel tratto di fiume immediatamente a monte, si trovavano poi alcuni piccoli mulini, costruiti su zattere [2], di cui si parla più in dettaglio nella sezione Curiosità romane.

l'estremità meridionale dell'Isola Tiberina →
l'Isola Tiberina da Ponte Palatino

Quando alla fine dell'Ottocento lungo le rive del fiume furono innalzati i muraglioni, a prevenzione delle frequenti alluvioni, il porto di Ripa Grande, ormai inutilizzato, fu smantellato. Poi nel 1931 anche sulla sponda orientale le costruzioni furono quasi tutte rase al suolo, ad eccezione di quelle di interesse storico ed artistico.

Nel frattempo, una decina di anni prima la porzione più meridionale del rione era diventata indipendente (San Saba). Nonostante ciò, l'estensione di Ripa rimase ragguardevole, ma con una densità di popolazione assai bassa essendo, come pure il rione Campitelli, occupato ormai in larga parte da aree archeologiche.

piazza della Bocca della Verità
(da sinistra) il Tempio di Giove Olivario, già noto come Tempio di Vesta, e il Tempio di Portunus

Tra gli edifici superstiti presso la riva del fiume figurano due piccoli templi, i cui titoli furono inizialmente male interpretati, ma sono quelli rimasti nell'uso comune. Il primo è il cosiddetto Tempio of Vesta [3], attribuzione legata alla sua forma rotonda, come quella del sacello sacro a Vesta i cui resti si trovano nel Foro Romano; in realtà era dedicato ad Ercole Olivario. All'inizio del Settecento gli fu costruita davanti una fontana che non ha neppure un nome (è detta "di piazza Santa Maria in Cosmedin"), con tritoni che reggono gli stemmi di Clemente XI, descritta nella relativa monografia. L'altro tempio, a pianta rettangolare, era stato identificato come sacro alla Fortuna Virile [4], ma in effetti fu dedicato a una divinità fluviale minore, Portunus.
via di Ponte Rotto
la casa dei Crescenzi


Durante il medioevo entrambi i templi furono trasformati in chiese; in particolare il secondo dei due divenne Santa Maria Egiziaca, da cui il vicino ponte (ora rudere, detto Ponte Rotto) prese il nome di Ponte Santa Maria.
Di fronte al Tempio di Portunus si trova anche un'interessante costruzione medievale detta Casa dei Crescenzi [4], impropriamente nota anche come Casa di Cola di Rienzo. La costruzione, a tre piani, è un raro esempio di abitazione aristocratica databile attorno al 1100, costruita utilizzando mattoni e frammenti marmorei quali cornici, mensole, capitelli sottratti ad altri edifici più antichi; in origine era presente anche un busto del proprietario, come citato nell'iscrizione sopra il portone, che però ora è scomparso.

Sul lato della strada opposto al Tempio di Giove (già di Vesta) sorge la chiesa romanica di Santa Maria in Cosmedin [5], in origine chiamata Santa Maria in Schola Greca perché nell'alto medioevo quest'area era abitata, come già accennato sopra, dalla comunità greca di Roma; se ne trova testimonianza anche nei titoli di altre chiese antiche nei paraggi, dedicate a santi popolari nel culto ortodosso, come San Teodoro e Sant'Anastasia (quest'ultime nel rione Campitelli, al confine con Ripa). Lo stesso nome Cosmedin è una corruzione di un vocabolo greco per "bellezza" od "ornamento".
piazza della Bocca della Verità
il mosaico una volta situato in San Pietro
È una delle pochissime chiese di Roma ad aver mantenuto la struttura bizantina. Ha un coro ancora racchiuso dalle transenne originali di marmo, decorate con piccole tessere colorate nello stile cosmatesco; nello stesso tipo di stile è il pavimento, un'opera originale del XII secolo. Un cranio mostrato nella chiesa viene indicato come quello di San Valentino, ma questa reliquia quasi certamente non appartiene al famoso patrono degli innamorati, le cui spoglie si troverebbero invece a Terni.
piazza della Bocca della Verità
Santa Maria in Cosmedin e il suo bel campanile
Nella sacrestia della chiesa, dove ora si vendono le cartoline, ad un pilastro è affisso un mosaico dell'alto medioevo (700 circa) raffigurante l'adorazione dei Magi; si può intuire il soggetto da un braccio superstite, nell'atto di porgere un dono al neonato Gesù. È uno dei frammenti ancora esistenti degli splendidi mosaici che un tempo decoravano l'Oratorio di Giovanni VII, nell'antica basilica di San Pietro, molti dei quali andarono perduti alla fine del XVI secolo nei lavori per la costruzione della fabbrica attuale.
Tuttavia la chiesa è assai più famosa per un reperto situato nel portico, la cosiddetta Bocca della Verità. È un pietrone rotondo, raffigurante un volto grottesco in rilievo, con buchi al posto del naso e degli occhi e un'apertura più ampia per la bocca.
piazza della Bocca della Verità Molto probabilmente, in epoca antica questo era solo il chiusino di una fogna, dato che nelle vicinanze scorreva la Cloaca Massima (vedi oltre); ma nei secoli scorsi nacque la leggenda che qualora un bugiardo avesse introdotto la sua mano in questa bocca, le fauci di pietra l'avrebbero serrata. E questa "prova", resa famosa in tutto il mondo da una scena del film Vacanze romane (1953, qui a destra), è tutt'oggi un rituale irrinunciabile per chiunque visiti Roma per la prima volta: folle di turisti fanno la coda per farsi fotografare mentre infilano la mano in uno dei simboli più conosciuti della città. piazza della Bocca della Verità
(↑ in alto) A.Hepburn e G.Peck in Vacanze Romane;
(← a sin.) la famosa Bocca della Verità

Prossimo alla chiesa è un interessante complesso che comprende due archi romani antichi [6]. Il maggiore è conosciuto come Arco di Giano. È un monumento possente, costituito da un'alto arco e dodici piccole nicchie su ciascuno dei suoi quattro lati. Le nicchie un tempo contenevano delle figure, andate perdute; le uniche ancora parzialmente esistenti sono quelle che decorano la chiave di volta di ciascun arco, raffiguranti divinità femminili, due delle quali, pur senza testa, sono identificabili con una certa sicurezza con Minerva e Roma.
via del Velabro
(↑ in alto) l'Arco di Giano e una delle sue figure superstiti (a destra →)
Secondo alcune fonti letterarie sarebbe stato edificato dall'imperatore Costantino I dopo la sua vittoria su Massenzio (312).
Sebbene il nome comune dell'arco faccia riferimento a Giano, divinità romana dalla doppia testa, una definizione più corretta del monumento è ianus a quattro lati: infatti nell'antica Roma lo ianus era in effetti un passaggio coperto, sito presso incroci dove si intersecavano strade importanti.
Nel Duecento quest'arco fu incorporato dalla famiglia Frangipane nel loro possedimento fortificato che si estendeva sul colle Palatino (la piccola Torre Frangipane all'estremità meridionale dell'area del Circo Massimo, l'Arco di Tito e lo stesso Colosseo facevano parte di questa vasta fortificazione). A tale scopo, le arcate del monumento vennero murate. Nel 1837 qualsiasi sovrastruttura non originale venne rimossa, in modo da ripristinarne la forma originale; ma durante questi lavori anche ciò che rimaneva dell'attico, erroneamente interpretato come una delle aggiunte medievali, andò perduto. Sappiamo come l'arco doveva presentarsi in epoche precedenti grazie ad un certo numero di antichi dipinti ed incisioni. via del Velabro - incisione (fine del XVIII secolo)
un'incisione di G.B.Piranesi (metà del Settecento), cita l'arco come
"Tempio di Giano"; si noti la parte superiore, andata perduta

Alle spalle dell'Arco di Giano c'è quello degli Argentari, molto più piccolo, che prende il nome dalla corporazione dei banchieri che, assieme ai commercianti di bestiame, lo fecero erigere in onore di Settimio Severo nel 204, nel punto dove una stretta via chiamata vico Iugario raggiungeva il Foro Boario, cioè l'ampia area dove si teneva il mercato del bestiame.
via del Velabro
(pilastro sinistro) Caracalla e lo spazio vuoto
dal quale fu scalpellata sua moglie;
si noti anche il danno, riparato con mattoni
È una struttura piuttosto semplice, consistente in due pilastri sormontati da un architrave, sebbene ogni parte del monumento sia riccamente decorata da rilievi di marmo, materiale del quale è rivestito l'intero arco (ad eccezione della base). La dedica non era solo all'imperatore, ma anche a sua moglie Giulia Domna, ai suoi due figli Caracalla e Geta (che furono imperatori a loro volta) e alla moglie di Caracalla, Fulvia Plautilla. Tuttavia poiché Caracalla, dopo la morte del padre, fece uccidere tanto Geta che Fulvia Plautilla (nel 212), ordinò che i loro ritratti e i loro nomi scomparissero da qualsiasi nomumento (damnatio memoriae). Per tale ragione alcune figure tra quelle scolpite sull'arco, riferite ai due personaggi caduti in disgrazia, appaiono mancanti. via del Velabro
(pilastro destro) Settimio Severo e Giulia Domna;
la terza figura, il loro secondo figlio Geta,
fu scalpellato dopo il 212

Nel corso del medioevo si diffuse una leggenda secondo cui anticamente i banchieri avevano nascosto dell'oro presso quest'arco; uno dei pilastri, in effetti, reca evidenti segni di un danno forse provocato da cercatori del tesoro.

via del Velabro
la chiesa di San Giorgio al Velabro
Adiacente al monumento è la splendida chiesa di San Giorgio al Velabro, che nel proprio portico incorpora parzialmente il pilastro destro del suddetto arco. Fu fondata attorno al VI o al VII secolo e subì diverse trasformazioni nel corso della sua lunga storia. Le forme attuali, databili per lo più al al XII secolo, furono ripristinate dopo un restauro condotto negli anni '20 grazie al quale vennero rimosse molte aggiunte successive, tra le quali una facciata barocca del Seicento. È una delle prime chiese del mondo occidentale dedicate a San Giorgio, in quanto il culto di questo santo era nato ad Oriente, nella tradizione greco-ortodossa, espandendosi verso Occidente solo dopo le prime crociate, nel XII secolo. Fu papa Zaccaria (741-52), anch'egli greco, che fece trasferire in questa chiesa, originariamente dedicata a San Sebastiano, alcune reliquie di San Giorgio (in particolare, la testa, la spada e un frammento del suo stendardo), cambiandone quindi il precedente titolo.
Nel 199* la chiesa fu oggetto di un attentato dinamitardo che ne distrusse l'elegante portico, poi perfettamente restaurato.

San Giorgio al Velabro deve il nome al luogo dell'antico Velabrum: questo un tempo era un'area acquitrinosa, il cui toponimo probabilmente deriva da un termine etrusco per "palude". Qui sono da ricercarsi le origini della città di Roma; infatti fu proprio nel Velabro che i due mitici gemelli Romolo e Remo, dopo essere stati lasciati in balia dei flutti lungo il Tevere, vennero allattati da una lupa e in seguito furono trovati dal pastore Faustolo, che li allevò. Vuole poi la leggenda che Romolo, da giovane adulto, fondasse Roma e ne divenisse il primo re.
Ma assai più indietro nel tempo il Velabrum fu visitato anche da Enea, l'eroe greco menzionato nell'Iliade omerica (IX - VIII secolo aC) e protagonista dell'Eneide virgiliana (fine del I secolo aC), tradizionalmente considerato il progenitore del popolo di Roma.
Secondo questi classici della letteratura antica, Enea era figlio di Anchise, un cugino del re troiano Priamo, e della dea Afrodite (Venere, nella mitologia romana); sopravvissuto alla caduta della città di Troia, assieme al padre, al figlio Ascanio e a un manipolo di compagni era fuggito in direzione della penisola italica, approdando nella regione chiamata Lazio, dov'era stato accolto dal re Latino. Enea si era innamorato della figlia del re, Lavinia, che però era già stata promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli. Ciò scatenò una guerra che coinvolse i diversi popoli stanziati nella zona, tra cui gli Etruschi e i Volsci. Enea si alleò con Evandro (figlio del dio Mercurio e dalla dea Carmenta), re di Pallante o Pallanteo, una città-stato sorta sul colle Palatino, sebbene lo stesso monarca e il suo popolo, gli Arcadi, fossero anch'essi di origine greca. Alla fine Enea, uscito trionfante dallo scontro con Turno, sposò Lavinia e fondò l'antica città di Lavinio (50 km a sud di Roma), che prendeva il nome dalla consorte. Una delle discendenti di Enea fu Rea Silvia, la sacerdotessa vestale sedotta dal dio Marte, che diede alla luce i due gemelli succitati, Romolo e Remo, venendo costretta suo malgrado ad abbandonarli a causa del proprio sacerdozio.
Enea, particolare dall'incendio di Borgo,
Stanze di Raffaello, Palazzo Apostolico (Musei Vaticani)
tradizionale iconografia di Enea che fugge da Troia
col padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio,
(particolare da L'incendio di Borgo, di Raffaello)

Questi racconti sono largamente basati sulla leggenda, ma potrebbero contenere un fondo di verità. Infatti non lontano dal Velabrum, presso l'incrocio dei confini dei rioni Ripa, Campitelli e Sant'Angelo, si trova la chiesa di Sant'Omobono. È dedicata ad Omobono Tucenghi, un facoltoso mercante di lane che visse nel XII secolo e spese molte delle sue fortune per aiutare i poveri; alcuni sostennero perfino che dopo la sua morte compì anche dei miracoli. Per questa ragione fu proclamato santo e nel Quattrocento l'anzidetta chiesa fu eretta in suo onore.
via Luigi Petroselli
gli scarsi resti dei due templi con Sant'Omobono sullo sfondo
Scavi archeologici condotti nel 1937 presso Sant'Omobono rinvennero i resti di un importante complesso, consistente in due templi gemelli dedicati alle dee Fortuna e Mater Matuta, risalenti al VI secolo aC (cioè l'epoca degli ultimi due re di Roma, Servio Tullio e Lucio Tarquinio Superbo), ma anche vestigia più antiche, tra cui frammenti di ceramiche greche dell'VIII secolo aC e persino tracce di abitanti pre-romani databili con approssimazione ai secoli XII-XVI aC. Quindi questi reperti sembrerebbero confermare che il mito e la realtà storica in parte coincidono, almeno nell'indicare quest'area come quella dove la civiltà romana affondava le proprie radici.
Probabilmente non è un caso se Porta Carmentalis, facente parte delle mura serviane, così chiamata dalla dea Carmenta (madre del re Evandro), era situata proprio dirimpetto ai templi gemelli.
Un'altra stupefacente coincidenza esiste tra il nome originale dello stesso monarca, Εύανδρος (Euandros), che in greco significa "uomo buono", e Omobono, il santo a cui fu intitolata la vicina chiesa.

lungotevere Aventino
lo sbocco della Cloaca Massima
Nel tratto di fiume che scorre a poca distanza da Santa Maria in Cosmedin, in epoca romana sboccava il maggior collettore fognario di Roma, la Cloaca Massima, una delle prime grandi opere pubbliche (fine VI secolo aC), che raccoglieva le acque reflue dal Foro Romano e scorrendo sotto alle zone del Velabro e del Foro Boario, di cui si è detto prima, si apriva nel Tevere. Oggi, sotto Ponte Palatino è ancora visibile il punto di sbocco del collettore, nella parte bassa di un'ampia apertura rotonda nel muraglione presso la riva orientale del fiume, parzialmente coperto dalla vegetazione.

Invece alle spalle di Santa Maria in Cosmedin si apre uno dei luoghi più sensazionali del rione Ripa: l'area del famoso Circo Massimo [7], l'ippodromo più antico ed importante di Roma antica.
La sua struttura originaria, risalente alla tarda età dei re (seconda metà del VI secolo aC), era di legno, probabilmente smontabile dopo l'uso. La prima opera stabile costruita in gran parte in muratura risale al II secolo aC, mentre i posti a sedere furono aggiunti sotto Giulio Cesare (46 aC circa). A quel tempo il circo aveva già preso la sua forma definitiva, anche se diversi altri regnanti durante l'età imperiale lo ingrandirono, vi apportarono migliorie e lo restaurarono. Le ultime corse coi carri tenutesi nel Circo Massimo furono indette dal re Totila nel 549, quando Roma era già in mano agli Ostrogoti: l'ippodromo rimase quindi in funzione per ben mille anni! Circo Massimo
l'area dove sorgeva il Circo Massimo, a cui fanno da sfondo
i palazzi imperiali sul colle Palatino
Dalla fine del I secolo aC, Ottaviano Augusto ne fece decorare la spina (la stretta piattaforma al centro della pista) con un alto obelisco proveniente dall'Egitto, che oggi si erge in piazza del Popolo; dalla metà del IV secolo, poi, gli fu affiancata una seconda guglia egiziana, ancora più alta e ancora più antica, attualmente collocata presso la basilica di San Giovanni in Laterano (si vedano in proposito i rioni Monti e Campo Marzio, e la monografia Obelischi).
Oggi non rimane nulla dell'originale splendore del circo se non la forma del tracciato, con l'estremità settentrionale dritta, dov'erano situati i carceres (le postazioni da dove partivano i carri, le cui porte si aprivano simultaneamente grazie a un dispositivo), e rotondo all'estremità opposta, dove la pista faceva una brusca inversione ad U. Ora questo non è altro che un lungo campo ovale coi bordi scoscesi, che chiaramente richiamano le gradinate dove un tempo sedevano gli spettatori; si stima che il numero dei posti si aggirasse attorno ai 275.000.
Circo Massimo
Torre Frangipane, anche detta Torre della Moletta
All'estremità meridionale dell'area è presente la piccola Torre Frangipane, anche detta Torre della Moletta, che faceva parte dell'estesa fortificazione dei Frangipane, di cui si è detto in precedenza.


Il circo sorgeva dove in tempi remotissimi era la paludosa valle Murcia, compresa tra i colli Palatino (che appartiene al rione X Campitelli) ed Aventino, in origine attraversata da un corso d'acqua; dopo la costruzione dell'ippodromo, continuò a scorrervi sotto, per cui quando il circo gradualmente scomparve, il ruscello riaffiorò in superficie, trasformando l'arena in un un'enorme lago di fango. Infatti la suddetta Torre Frangipane, situata lungo il corso d'acqua, fu adibita a piccolo mulino per sfruttare la corrente, giustificando così il suo secondo nome.

L'Aventino viene tradizionalmente diviso in due colli distinti, il Grande Aventino e il Piccolo Aventino (quest'ultimo è anche più basso), separati da una stretta vallata. In età repubblicana, la prima cinta muraria seguiva appunto il corso di questa valle; un piccolo tratto di mura serviane [8] è ancora esistente, in piazza Albania e nella vicina via di Sant'Anselmo.
Anche il confine moderno del rione Ripa segue la stessa direzione, includendo quindi il Grande Aventino, mentre il Piccolo Aventino ora appartiene al rione limitrofo, San Saba, staccatosi da Ripa nel 1921.

Sul lato dell'Aventino rivolto verso il Circo Massimo si estende il Roseto Comunale di Roma [9]. Rimane aperto al pubblico solo dalla fine di maggio a metà giugno, quando le migliaia di diverse rose che vi crescono sono in piena fioritura. Nello stesso periodo dell'anno, a partire dal 1933, nel roseto si tiene un concorso internazionale chiamato Premio Roma. Maggiori dettagli sulle sue origini storiche e sul concorso si trovano in Curiosità romane, pagina 13.

Sulla sommità del colle, che ora ha assunto l'aspetto di un quartiere residenziale, all'epoca delle Crociate (secoli XI-XIII) avevano la loro sede romana i Cavalieri Templari.
Qui sorge anche la chiesa di Santa Sabina [10], uno dei migliori esempi di basilica antica a Roma e anche uno dei meglio conservati, riportato alle sue forme originali grazie ad un lungo lavoro di restauro. Il suo portale è un capolavoro originale del V secolo, rivestito da piccoli pannelli di cipresso, intagliati con scene bibliche ricche di dettagli.
piazza Pietro d'Illiria
la pietra tombale di Perna Savelli (particolare)
All'interno, al centro della navata, a terra giace la pietra tombale di Muñoz de Zamora, un generale dell'Ordine dei Domenicani (m.1300); il defunto è ritratto interamente a mosaico: in effetti questa è l'unica tomba terragna esistente a Roma che possa vantare questa forma di decorazione, sebbene nella stessa chiesa esistano altre tombe più antiche parzialmente lavorate a mosaico, come quella di Perna Savelli, membro dell'importante casata dei Savelli (cfr. Rione X, Campitelli), datata 1215 e recante lo stemma di famiglia.

In fondo a un piccolo parco pubblico adiacente alla chiesa, chiamato il Giardino degli Aranci, la vista spazia dalla sommità del colle su gran parte della città di Roma.
piazza Pietro d'Illiria
la tomba di Muñoz de Zamora

Appena oltre, la stessa strada termina con una piazza circondata in parte da pannelli decorati con motivi in rilievo, disegnata dal famoso incisore Giovanni Battista Piranesi (1765).
piazza Cavalieri di Malta
il Priorato di Malta: la fila per guardare dal buco della chiave...
Sul suo lato occidentale si trova una grande villa che appartiene al Priorato di Malta [11]. Il portone ha un buco della chiave attraverso il quale tanto i turisti che i romani amano sbirciare: da questo insolito punto di osservazione, in fondo ad una pittoresca galleria di alberi, in lontananza, si inquadra la cupola di San Pietro.
Ai piedi del colle Aventino non rimane nulla del vecchio porto di Ripa Grande, da cui il rione prende il nome. Sulla riva opposta del fiume, che ufficialmente appartiene al Rione XIII Trastevere, contro una parete è la piccola Fontanella del Timone [12] (1927), la cui forma si rifà allo stemma di Ripa piazza Cavalieri di Malta
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Rione X - SANT'ANGELO Rione XIII - TRASTEVERE

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lungotevere Ripa
la Fontana del Timone di Ripa