NOME
Campo Marzio (o Marzo secondo l'ortografia arcaica) è il rione che prende nome dal Campus Martius (cioè campo di Marte) dell'antica Roma. Era così chiamata l'estesa area pianeggiante a nord del Campidoglio compresa tra il corso del Tevere a ovest e i colli Pincio e Quirinale a est. Fino al 275 c.ca, quando l'imperatore Aureliano fece edificare la seconda cinta muraria ampliando considerevolmente il territorio urbano, tale area si trovava all'esterno dei confini della città. La dedica al dio della guerra si spiega col fatto che in età repubblicana vi si praticavano essenzialmente attività militari e sportive.

veduta della parte centromeridionale del Campus Martius in età imperiale,
già coperto da numerosi edifici pubblici e attraversato dalla via Lata (a sinistra)
In età imperiale, con la progressiva espansione della città oltre le vecchie mura, vi sorsero numerosi edifici pubblici, soprattutto nella sua parte più meridionale: stadi per le gare di atletica, palestre, teatri, una naumachia (stadio navale), templi e sacrari dedicati non solo a Marte ma anche a molte altre divinità. Sul finire del I secolo il Campus Martius era ormai completamente urbanizzato, come si vede qui a sinistra.

Il rione Campo Marzio attuale occupa la porzione più settentrionale dell'antico Campus Martius, estendendosi fino alle alture del colle Pincio (cfr. pianta in basso). Quindi corrisponde in parte alla Regio IX (Circus Flaminius) e in parte alla Regio IV (Via Lata, dal nome della principale arteria, oggi chiamata via del Corso, che partendo dal Campidoglio si congiunge alla via Flaminia, correndo in linea retta per circa 1.5 km).

La rimanente parte del Campus Martius è ora suddivisa tra molti altri rioni, in particolare Colonna (R.III), Ponte (R.V), Parione (R.VI), Regola (R.VII), Sant'Eustachio (R.VIII) e Pigna (R.IX).

Nel medioevo il rione era chiamato Regio Posterule et Sancti Laurentii in Lucina, riferendosi alle molte porte minori (posterule) delle mura aureliane, allora esistenti lungo la riva del Tevere, e alla chiesa di San Lorenzo in Lucina, che però oggi si trova appena al di là del confine rionale, nel territorio di Colonna.

STEMMA
Una semiluna falciforme, variamente orientata.


CONFINI
Piazzale Flaminio; via Luisa di Savoia; lungotevere Arnaldo da Brescia; lungotevere in Augusta; piazza del Porto di Ripetta; lungotevere Marzio; via del Cancello; via dei Portoghesi; via della Stelletta; piazza Campo Marzio; via degli Uffici del Vicario; via di Campo Marzio; piazza San Lorenzo in Lucina; via Frattina; piazza Mignanelli; via dei Due Macelli; via Capo le Case; via Francesco Crispi; via di Porta Pinciana; viale del Muro Torto.



   estensione dell'antico Campus Martius
   estensione dell'attuale rione Campo Marzio

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta a sinistra)


Durante il medioevo Campo Marzio cadde in un millenario oblio: sul ripido Pincio (all'epoca chiamato Collis Hortulorum (cfr. Curiosità Romane), le ville dei ricchi romani furono abbandonate, mentre degli edifici pubblici in pianura rimase un tappeto di rovine.
Alla fine del medioevo una piccola comunità di immigrati dall'Illiria e dalla Schiavonia (odierne Croazia e Slovenia) si insediò nei terreni accanto al fiume. A quei tempi era senz'altro una zona molto povera, dove avevano sede primitivi enti assistenziali, come l'Ospedale di San Rocco per coloro affetti da malattie contagiose e quello di San Giacomo degli Incurabili per i poveri.
Poi, quando dal 1570 questa parte di Roma potè disporre nuovamente di acqua corrente, il rione cominciò a ripopolarsi e ad espandersi nuovamente, acquisendo un carattere signorile, come testimoniano i numerosi palazzi storici dell'epoca appartenuti alle famiglie nobili o agiate.
L'impianto viario del rione è rimasto quello dei secoli XVII-XVIII, con strade strette, pressoché inaccessibili al traffico automobilistico.

La parte alta conserva ancora oggi un carattere bucolico: vi si estende l'oasi verde dei giardini del Pincio [1], sistemati nel corso dell'Ottocento, con una serie di oltre duecento busti di italiani famosi, (cfr. Curiosità Romane, pagina 14), da cui si gode una delle più belle viste su Roma.
immagini del Pincio: uno dei busti, i fantastici colori al tramonto e statue lungo viale D'Annunzio

In nettissimo contrasto, la parte a valle è oggi sede delle più affollate vie dello shopping, costellate da migliaia di negozi alla moda, bar, ristoranti, night club.
Infatti pressoché ovunque in Campo Marzio il commercio è diventato la vera anima del rione: al piano terra e al primo piano di molti edifici storici si sono insediate le attività più disparate, che in qualche caso risultano decisamente invadenti.

l'oratorio convertito in spazio espositivo
Ne è un tipico esempio il piccolo oratorio della Confraternita del Santissimo Sacramento [12] (1724), in via Belsiana, quasi al confine con Colonna, recentemente convertito nel salone espositivo di una famosa ditta che produce borse da donna.

lo storico Caffè Greco
C'è anche qualche locale di interesse storico, come il famoso Caffé Greco [13], in via dei Condotti, fondato nel 1760, frequentato da celebrità internazionali quali Hector Berlioz, Nikolaj Gogol, Giacomo Leopardi, Felix Mendelssohn, Richard Wagner, Orson Welles, Gabriele D'Annunzio, Arthur Schopenhauer e persino William Frederick Cody, meglio noto come Buffalo Bill!

Durante le ore lavorative, in questo rione regna ovunque la confusione, soprattutto il sabato; ma poi, quando le strade si svuotano, fortunatamente l'atmosfera torna ad essere quella più tradizionale. Il momento migliore per visitare questo rione è infatti la domenica, nelle prime ore della mattina.

Il punto focale del rione, quello da cui si dipartono tre strade lunghe e dritte che lo attraversano per l'intera lunghezza, è l'ampia piazza del Popolo [2], alla sua estremità settentrionale. È chiusa a nord dalla Porta del Popolo (anticamente Porta Flaminia, cfr. le mura aureliane), a cui si addossa la storica chiesa di Santa Maria del Popolo. Il toponimo Popolo fa forse riferimento ad un boschetto di pioppi (in latino populi) che un tempo si estendeva in quest'area. In passato, appena fuori di questa porta, venivano sepolti in fosse comuni tutti coloro che non avevano diritto ad avere una tomba in una chiesa o in un camposanto, quali i banditi, le prostitute, i non cristiani e persino gli attori. È facile comprendere come la sinistra fama di questo luogo potesse far nascere leggende.
veduta di piazza del Popolo verso ovest, dai giardini del Pincio
Secondo una di esse, si sarebbe aggirato nei dintorni il fantasma di Nerone. La chiesa di Santa Maria del Popolo sorge sul luogo dove in origine era un grosso sepolcro della famiglia dei Domizi Enobarbi (Domitii Ahenobarbi). Anche il famoso imperatore vi fu sepolto nel 68 dopo Cristo, essendo figlio di Agrippina e Gneo Domizio Enobarbo.


piazza del Popolo col tridente sullo sfondo
Nel medioevo la credenza del fantasma di Nerone era così diffusa che nel 1099 il papa Pasquale II fece demolire l'antico sepolcro, alzando sul sito una piccola cappella, dove in seguito venne edificata una vera e propria chiesa. L'edificio attuale risale al 1475 circa e vanta il primato di essere la prima chiesa di Roma ad avere una cupola. Dei preziosi arredi al suo interno si occuparono rinomati artisti dell'età rinascimentale, tra cui Pinturicchio, Lorenzetto, Andrea Bregno (che con ogni probabilità ne fu anche il costruttore); comprendono anche due celebri dipinti di Caravaggio, e la sontuosa cappella che il ricco banchiere Agostino Chigi commissionò a Raffaello (1520 circa), poi completata da Gianlorenzo Bernini alla metà del secolo seguente, su commissione del papa Alessandro VII, anch'egli un Chigi.


il pavimento della cappella Chigi (Bernini)
Al centro di piazza del Popolo si erge l'alto obelisco flaminio, descritto nella monografia Obelischi), poggiante su un'ampia base con quattro leoni egizi e altrettante fontane agli angoli, opera di Giuseppe Valadier, l'architetto che attorno al 1820 ristrutturò la piazza nelle sue forme attuali. Una fontana di dimensioni minori che dalla fine del Cinquecento si trovava accanto all'obelisco è ora in piazza Nicosia, sempre in Campo Marzio (per i dettagli si veda la monografia Fontane).
Dal lato meridionale di piazza del Popolo originano tre lunghe vie, dritte e divergenti: assieme, formano il cosiddetto tridente, i cui due spigoli sono scanditi da una coppia di chiese quasi gemelle, edificate nella seconda metà del Seicento, all'epoca in cui la piazza stessa fu spianata e prese un aspetto simmetrico.

La strada a sinistra, via del Babuino [3], fu realizzata tra il 1520 e il 1535 circa. In origine si chiamava Paolina Trifaria, in onore di papa Paolo III che l'aveva ufficialmente inaugurata (l'aggettivo Trifaria si riferiva all'essere una delle tre strade che originano dalla piazza). Ben presto mutò nome, prendendolo da una popolare fontanella situata a metà della sua lunghezza, detta del Babuino [4] descritta in Curiosità romane e in Fontane, che faceva parte delle cosiddette statue parlanti. La fontanella è situata presso la chiesa di Sant'Atanasio, di rito cattolico bizantino, edificata da Giacomo Della Porta (1583); l'orologio sul campanile sinistro, ora senza più lancette, fu un dono del papa Clemente XIV, nel 1771.
L'edificio adiacente alla chiesa dal finire del Settecento fu l'atelier del famoso scultore Antonio Canova; alla sua morte, nel 1822, fu rilevato dal principale allievo dell'artista, Adamo Tadolini, da cui a sua volta lo ereditarono i discendenti, per tre generazioni di scultori. Scomparso l'ultimo dei Tadolini nel 1967, l'atelier, ancora zeppo di modelli originali, studi e sculture, rimase chiuso; nel 2000 è stato riaperto e trasformato in un piccolo museo, con un elegante caffé al pianterreno.
Canova abitava ed aveva un grande studio a poca distanza, di cui si parla più avanti.

il Museo Canova-Tadolini


"100 pittori a via Margutta"
Parallela a via del Babuino, alle pendici del Pincio, corre l'incantevole via Margutta [5], una strada pittoresca in cui gli attici sono in larga parte adibiti a studi artistici; il silenzio e la tranquillità di questa via contrastano fortemente con la solita folla e il traffico caotico tipici del rione. Chi ha visto il famoso film Vacanze romane la riconoscerà per essere la via dove al numero 51 abitava il giornalista impersonato da Gregory Peck. Tra le personalità autentiche che hanno abitato in via Margutta si ricordano il regista Federico Fellini, il pittore Renato Guttuso e vari altri. Qui si trova la fontanella rionale di Campo Marzio (1927), detta degli Artisti, composta da maschere teatrali, pennelli da pittore e cavalletti. Dal 1953 in questa strada si tiene ogni anno una suggestiva e colorata mostra-mercato di arte contemporanea, "100 pittori a via Margutta".

In fondo a via del Babuino, al numero 115, una piccola targa ricorda la casa natale del celebre poeta dialettale Trilussa.

Qui la via si apre in uno dei luoghi più amati dai turisti, piazza di Spagna [6], che prende il nome dall'antica Ambasciata di Spagna (attualmente Ambasciata presso la Santa Sede), che vi fu aperta alla metà del Seicento. Su un lato della piazza, la celebre scalinata di Trinità dei Monti sale scenograficamente verso la cinquecentesca chiesa omonima, preceduta dal piccolo obelisco sallustiano, di fabbricazione romana, imitazione su scala ridotta di quello di piazza del Popolo.

la scalinata di Trinità dei Monti fa
da sfondo ad un'affollata via dei Condotti
Fu costruita tra il 1721 e il 1725, per sugellare simbolicamente la pace tra le due comunità residenti a monte e a valle, rispettivamente quella francese e quella spagnola, tra le quali in precedenza non era corso buon sangue. Prima che fosse costruita, al suo posto non vi era altro che un ripido e brullo sentiero sul nudo versante del Pincio.

Alla base della scalinata, la famosa fontana barocca detta la Barcaccia di Pietro Bernini, padre del più famoso Gianlorenzo, orna il centro della piazza, affondando nel terreno più in basso del piano stradale (la sua storia è raccontata in Fontane, III parte pagina 15).


la Fontana della Barcaccia

Nell'adiacente piazza Mignanelli si leva l'alta colonna dell'Immacolata Concezione, eretta nel 1857 e voluta da Pio IX in ricordo dell'omonimo dogma da lui proclamato tre anni prima. È qui che ogni anno l'8 dicembre i Vigili del Fuoco si inerpicano fino alla statua della Madonna alla sommità del monumento per deporre una corona di fiori e, nel pomeriggio, anche il papa fa visita al monumento, una tradizione che ha avuto inizio negli anni '20.

In cima alla scalinata di Trinità dei Monti, proprio di fronte alla chiesa, si erge l'obelisco sallustiano, una copia romana in piccolo di quello egizio di piazza del Popolo.

A pochi metri di distanza originano le ripide via Sistina e via Gregoriana, separate da Palazzetto Zuccari [7], costruito attorno al 1590 dal celebre pittore tardo-rinascimentale Federico Zuccari per abitarvi egli stesso. Nel corso del tempo ebbe diverse destinazioni d'uso tra cui, nei primi del Settecento, quello di fungere da residenza romana della regina di Polonia, che vi fece aggiungere un portichetto con sopra un balcone (il portone ancora conserva lo stemma polacco). Ma è l'ingresso che guarda verso via Gregoriana quello che colpisce di più per la forma bizzarra: le fauci spalancate di un mostro, con ai lati due finestre analoghe. È ora sede della tedesca Biblioteca Hertziana, che la filantropa Henriette Hertz donò a Roma nel 1913.

Palazzetto Zuccari

Dall'altro lato di Trinità dei Monti, a circa 200 m di distanza sorge l'imponente Villa Medici [8]. Risale al periodo compreso tra il 1564, quando ne iniziò la costruzione su un preesistente edificio, al 1576, quando fu acquistata da Ferdinando I de' Medici, cardinale e futuro granduca di Toscana; questi ampliò tanto il fabbricato quanto anche il già vasto giardino alle spalle, ora confinante con quello del Pincio, con cui forma l'intera parte orientale del rione. Il cardinale, grande appassionato d'arte antica, accumulò nella villa una straordinaria collezione di reperti romani, in parte riaffiorati nei suoi stessi terreni, in parte acquistati.
La collezione fu però trasferita a Firenze un secolo e mezzo dopo quando, estintosi il ramo mediceo a cui apparteneva Fernando, l'intera proprietà passò a Leopoldo di Lorena, nuovo granduca di Toscana. Nel 1803 Napoleone I volle fare di Villa Medici la sede romana dell'Accademia Francese per giovani artisti, istituzione che tutt'oggi occupa l'edificio.

anelli per legare i cavalli: il "parcheggio" di Villa Medici →

La strada centrale del tridente è via del Corso [9]; in epoca antico-romana questo era il primo tratto della via Flaminia, che attraversava un'area urbanizzata a nord dei confini della città (che fino al 275 c.ca si fermavano ai piedi del Campidoglio). Era chiamata via Lata, dando nome alla Regio, mantenendo la definizione per tutto il medioevo, finché a partire dall'età rinascimentale, quando durante il Carnevale (cfr. Curiosità Romane) si cominciarono ad organizzarvi delle corse: prese così ad essere definita il corso, da cui poi i nomi di corso Umberto I e poi l'attuale via del Corso. Oggi è la principale via commerciale di Roma.

Al numero 18 c'è la casa dove lo scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe visse durante i suoi due anni di soggiorno a Roma (1786-88), ora adibita museo.

Superata la chiesa di San Giacomo in Augusta, sulla destra si apre via Antonio Canova, dove il celebre scultore già citato in precedenza abitava ed aveva un grande studio [10], che era stato ricavato comprando varie case, già appartenenti ai Domenicani di Santa Maria del Popolo, ed unendole in un unico complesso.

frammenti antichi presso lo studio di Canova ed il busto dello scultore
Lo scultore è ricordato all'esterno con un busto e una targa del 1871, circondati da numerosi frammenti antichi inseriti nel muro. Gli ambienti dello studio sono ora adibiti a galleria d'arte privata, ma per la maggior parte ospitano un ambulatorio medico. L'ospedale a cui fa riferimento quest'ultimo è quello storico di San Giacomo, che occupa il lungo l'edificio sul lato opposto della strada; fu fondato addirittura nel 1339, quando questa parte del rione era ancora pressoché disabitata, ed era chiamato San Giacomo degli Incurabili perché dava ricovero solo agli affetti da malattie per cui all'epoca non esistevano rimedi, quali la sifilide e le piaghe). una targa su via del Corso ricorda che l'ospedale vanta il primato di avere avuto nel 1572 la prima allacciatura idrica dopo il ritorno dell'acqua corrente a Roma (cfr. in proposito anche la monografia Fontane).


Acora più a sud lungo via del Corso si trova la grande chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso [11] (più spesso chiamata semplicemente San Carlo al Corso), che apparteneva alla comunità di residenti provenienti dalla Lombardia. Nel 1471 a questi ultimi era stata assegnata una chiesa preesistente, dedicata a San Nicola; il titolo le fu poi cambiato in quello del santo patrono milanese, Ambrogio. Il secondo titolo gli fu aggiunto dopo il 1610, quando il cardinale Carlo Borromeo, vescovo di Milano, fu canonizzato. Nella stessa occasione la chiesa venne completamente ricostruita, per la maggior parte ad opera di Onorio Longhi (figlio del più famoso architetto Martino Longhi il Vecchio), ma fu Pietro da Cortona a terminarla, realizzando la grande cupola. I lavori si protrassero dal 1612 al 1669. L'interno, in stile tardo barocco, è particolarmente luminoso e sfarzoso, con abbondanza di stucchi dorati e finti marmi. Il soffitto della navata è quasi completamente coperto da un grande affresco di Giacinto Brandi raffigurante la caduta degli angeli ribelli.

La terza strada del tridente è via di Ripetta [14], che corre in direzione del Tevere. Prende il nome dal porto fluviale minore di Roma, scomparso agli inizi del XX secolo (cfr. C'era una volta a Roma...), ma in origine si chiamava via Leonina, perché fu aperta da Leone X attorno al 1520. È quindi più antica della succitata via del Babuino. Per trovare i fondi per il completamento e la pavimentazione della via il papa istituì un tributo annuale sulle numerose meretrici (o "cortigiane") che abitavano ed esercitavano nei vicoli limitrofi, ciò che passò alla storia come la tassa sulle puttane.

soffitto affrescato della chiesa
dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso
Una soluzione di questo tipo non dovrebbe destare stupore se si considera che un censimento condotto nel 1490 per volere di Innocenzo VIII aveva rivelato che il numero di meretrici attive a Roma a quel tempo era di 6.800, più del 10% della popolazione residente. Nel 1526 un successivo censimento praticamente confermò tale proporzione; ma il dato più significativo veniva dal rione Campo Marzio dove, su 4.750 abitanti, ben 1.250 - oltre un quarto! - vivevano di prostituzione (cfr. anche oltre).

Circa a metà della lunghezza di via di Ripetta, in un'ampia piazza sita a ridosso della sponda del fiume, sorgono uno di lato all'altro due importanti monumenti dell'antica Roma: il mausoleo dell'imperatore Ottaviano Augusto [15] e l'Ara Pacis [16], entrambi risalenti agli inizi del I secolo dC.

vedute aeree della piazza nel 1925 c.ca (in alto) e 1970 c.ca (in basso) mostrano la rimozione dal
monumento delle strutture aggiunte, quali il tetto dell'auditorium, e la demolizione delle case
circostanti; nella foto del 1970, in basso, c'è il primo edificio che conteneva l'Ara Pacis, con le
chiese di San Rocco e San Gerolamo sulla destra e, più dietro, l'abside di San Carlo al Corso
L'enorme tomba costruita per il primo imperatore di Roma è costituita da tre cilindri concentrici in laterizio, di diversa altezza, ricoperti di terra; il più interno ed alto dei tre racchiude la cella dove erano conservate le ceneri dell'imperatore e di molti suoi parenti e successori della dinastia Giulio-Claudia: in particolare, la moglia Livia (m. 29), la sorella Ottavia (m. 11 aC), il giovane nipote e genero Marcello (m. 23 aC, il primo a essere accolto nel mausoleo), il secondo genero Marco Vipsanio Agrippa (m. 12 aC) coi figli Lucio (m. 2) e Caio (m. 4), il terzo genero nonché secondo imperatore Tiberio (m. 37), Druso (figlio di primo letto di Livia, m. 9 aC), Germanico (figlio di Druso, m. 19) e sua moglie Agrippina (m. 37), il loro figlio e terzo imperatore Caio detto Caligola (m. 41), Claudio (altro figlio di Druso e quarto imperatore, m. 54). Ma vi furono collocate anche le urne di Vespasiano (m. 79), di Nerva (m. 98) e perfino della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna (m. 217). L'unica assenza importante è la figlia di Ottaviano Augusto, Giulia, morta in esilio perché accusata di adulterio e tradimento.
Il suo ingresso, in origine, era fiancheggiato da due obelischi di fattura romana, che oggi adornano piazza del Quirinale e piazza di Santa Maria Maggiore (cfr. la monografia Obelischi).
Essendo stato saccheggiato dei contenuti già agli inizi del medioevo, nel Duecento i Colonna ne fecero una loro fortezza. Durante il Rinascimento fu riattato a giardino, con siepi disposte a formare un elegante disegno. Dal Settecento divenne un'arena per spettacoli pubblici, quali corride e spettacoli pirotecnici, chiamato Anfiteatro Correa (o Corea). Poi nella seconda metà dell'Ottocento la sua popolarità declinò e fu utilizzato come deposito di materiale da costruzione. Nel 1907 fu trasformato in auditorium, fino al 1937, quando tutte le parti moderne vennero demolite, come pure numerose palazzine circostanti. La piazza assunse così il suo aspetto attuale e il mausoleo fu dichiarato monumento di interesse storico.
Solo l'antica chiesa di San Rocco, ricostruita in epoca barocca, con un alto idrometro all'esterno (di cui si parla nella sezione Curiosità Romane), fu risparmiata dalla demolizione, e ora sorge fianco a fianco con un'altra chiesa tardo-rinascimentale, San Giacomo degli Illirici, eretta dalla comunità slava che nel secolo precedente era stata la prima a stabilirsi in questo rione.


il mausoleo di Ottaviano Augusto come appare oggi...

...e la sua ricostruzione (plastico nel Museo della Civiltà Romana)

L'Ara Pacis ("Altare della Pace"), ora situato di fronte alla tomba dell'imperatore, in realtà fu eretto a circa 150 m di distanza, nell'attuale Rione III, Colonna, per celebrare il tempo di pace che fece seguito alle vittoriose campagne di Ottaviano Augusto in Spagna e in Gallia. A lato del monumento si estendeva il complesso del Solarium Augusti, gigantesca meridiana, fatta costruire dallo stesso imperatore, a cui l'obelisco attualmente in piazza di Montecitorio fungeva da gnomone; il 23 settembre, giorno del compleanno di Ottaviano Augusto, l'ombra della guglia andava a cadere proprio al centro dell'Ara Pacis (per maggiori dettagli sull'obelisco si veda la relativa monografia).
Il monumento è uno dei massimi esempi di arte marmoraria antico-romana, in quanto è coperto da fregi in rilievo di altissimo livello artistico, alcuni dei quali ritraggono lo stesso imperatore assieme a membri della sua famiglia nel corso di una processione rituale.
Il luogo dove sorgeva in origine corrisponde all'attuale via in Lucina (nel rione Colonna, appena oltre il confine con Campo Marzio). Nel corso del tempo il monumento crollò e fu sepolto dai detriti. Alcuni dei suoi frammenti furono trovati nel 1564 presso le fondazioni di un palazzo presso piazza San Lorenzo in Lucina, lungo il confine rionale meridionale; molti altri furono rinvenuti nella stessa area tra la seconda metà del XIX secolo e i primi anni del XX. Ma poiché gli scavi mettevano a rischio la stabilità del Teatro Olimpia (attualmente è un cinema), la ricerca dei frammenti mancanti subì una battuta d'arresto.

il controverso complesso modernista che ora racchiude l'Ara Pacis

un particolare dei rilievi sul fianco del monumento
Nel 1937, ricorrendo il 2000° anniversario della nascita di ottaviano Augusto, i lavori ripresero e l'anno seguente i frammenti furono assemblati, collocando il monumento nell'area ora priva di edifici compresa tra il mausoleo dell'imperatore e il fiume. Alcuni frammenti mancanti, di cui ora sono in possesso altri musei, tra cui il Louvre di Parigi, sono stati integrati con calchi che riproducono fedelmente le parti originali.
L'Ara Pacis fu racchiusa in un edificio protettivo in vetro e cemento armato che, divenuto non più efficace a salvaguardare il monumento dallo smog e dagli sbalzi termici, negli anni 2002-2006 è stato sostituito con un complesso in stile modernista disegnato dal famoso architetto statunitense Richard Meier; la sua creazione, però, ha subito scatenato grandi polemiche, essendo stata reputata "troppo bianca, troppo moderna e troppo ingombrante" per il contesto in cui è inserita.

Pochi metri più avanti sorge l'imponente Palazzo Borghese [17], tutt'ora residenza del ramo romano dell'aristocratica famiglia. L'edificio è considerato per la sua architettura una delle "quattro meraviglie di Roma". Il primo nucleo, opera di Vignola (Jacopo Barozzi), risale al 1560, ma il successivo ampliamento, a cui dal 1590 al 1613 lavorarono Martino Longhi il Vecchio, Flaminio Ponzio e Carlo Maderno, si ebbe quando ne divenne proprietario Camillo, allora cardinale e in seguito papa Paolo V. Palazzo Borghese è anche detto il cembalo per via della sua forma particolare a quadrangolo asimmetrico. Sul lato più corto ha una doppia balconata (la tastiera); la facciata dell'edificio, col portone principale (solitamente chiuso), occupa un intero lato di piazza Borghese.
la tastiera e la facciata su piazza Borghese


il cortile di Palazzo Borghese
Un secondo portone d'ingresso si trova su largo della Fontanella di Borghese; quando è aperto, si può ammirare, purtroppo solo da fuori, lo splendido cortile circondato da cento colonne, da statue e da fontane. L'importante raccolta di pitture un tempo alloggiata nel palazzo è ora quasi interamente esposta alla Galleria Borghese (anch'essa un tempo di proprietà della famiglia, assieme all'omonima villa).

Come detto in precedenza, durante il Cinquecento Campo Marzio brulicava di residenti che vivevano di prostituzione. Nella seconda metà del secolo, sulla spinta della Controriforma, papa Pio V decise di promuovere una campagna moralizzatrice e pensò di cacciare via dalla città tutte le meretrici. Ma gli amministratori capitolini protestarono, sostenendo che la perdita di un sostanzioso introito derivante dal tributo annuo sulla prostituzione avrebbe nuociuto non poco alle casse del Comune. Così fu emanata una legge che costringeva tutte le prostitute della città a vivere e ad operare in una piccola area di Campo Marzio, il rione dove il loro numero era più alto. E poiché molte erano riluttanti a sottostare alle regole, nel 1569 il perimetro dell'area venne recintato con delle mura, proprio com'era accaduto al ghetto ebraico da parte del papa precedente circa quindici anni prima (cfr. Curiosità romane).
Il quartiere a luci rosse di Roma era chiamato l'ortaccio e si estendeva attorno all'attuale piazza Monte d'Oro, tra un ostello per donne slavoniche adiacente a San Girolamo e il convento di Santa Monica dei Martelluzzi, non più esistente, che confinava col suddetto Palazzo Borghese. Tutte coloro che vivevano lì avevano l'obbligo di rientrare entro le mura prima del tramonto, quando i portoni venivano chiusi. A chiunque era fatto divieto frequentare il recinto durante la Quaresima, per non subire distrazioni dalle pratiche religiose (ma di giorno le donne potevano uscire, rendendo il provvedimento inutile).
Sul finire del secolo, le operatrici del sesso erano diventate così tante che si chiese di estendere il serraglio ad altre strade del rione. Ma poiché nel frattempo molte famiglie facoltose e nobili avevano già edificato le loro residenze un po' ovunque in Campo Marzio, la proposta fu respinta. Di lì a poco il serraglio cessò di esistere.