NOME
Campitelli è probabilmente una corruzione di Capitolium, il picco più alto del colle ora detto Campidoglio, dove sorgeva il maggiore tempio di Roma (vedi oltre).
A sua volta, l'etimo di Capitolium sembrerebbe legato ad Aulo Vibenna (Aule Vipinas) e suo fratello Celio (Caile Vipinas, da cui prese il nome un altro colle romano): erano condottieri etruschi, che nel VI secolo aC avevano conquistato Roma sotto il regno di Tarquinio Prisco. In una lotta di potere, Aulo fu fatto uccidere dal rivale, il mercenario Mastarna, che secondo le fonti storiche divenne poi il successivo re col nome latinizzato di Servio Tullio. La testa del condottiero fu trovata durante la fondazione del suddetto tempio, per cui da caput Auli ("testa di Aulo") sarebbe poi derivato il nome del picco.
Tuttavia altri sostengono che tale nome deriverebbe da un vicino campus telluris (più o meno "campo sterrato").
Nel Medioevo questo era il dodicesimo rione, chiamato Regio Campitelli in Sancti Adriani, in riferimento all'antica chiesa di Sant'Adriano, costruita sulla Curia Iulia, l'edificio dove si riunivano i senatori nel Foro Romano. Agli inizi del XX secolo la chiesa fu demolita e alla Curia furono restituite le forme originali.

antico basolato in una
via nel Foro Romano


STEMMA
Una testa di drago. Secondo una leggenda medioevale, in una grotta presso il Palatino viveva un terribile drago che uccideva i passanti col suo alito. Papa Silvestro I lo avrebbe affrontato, armato di una croce, alla cui vista il mostro sarebbe divenuto così docile da lasciarsi condurre via al guinzaglio dal pontefice, per essere poi ucciso dal popolo. Il racconto è una metafora della vittoria del cristianesimo sul paganesimo (il drago): Silvestro I fu infatti il papa che battezzò l'imperatore Costantino I (seppure in punto di morte), che nel 313 con l'Editto di Milano aveva cancellato il secolare divieto di professare la religione cristiana nell'Impero Romano.

CONFINI
Piazza di San Marco; via di San Marco; via d'Aracoeli; via Margana; piazza Margana; via dei Delfini; via Cavalletti; via della Tribuna di Campitelli *; via del Foro Piscario, via del Teatro di Marcello *; vico Jugario; piazza della Consolazione; via dei Fienili; via di San Teodoro; piazza di Santa Anastasia; via dei Cerchi; via di San Gregorio; via dei Fori Imperiali; piazza Venezia.
* oggi il collegamento tra via della Tribuna di Campitelli e via del Foro Piscario è chiuso; si può aggirare questo tratto seguendo via del Portico d'Ottavia, oppure piazza di Campitelli e via Montanara

← la cordonata di Michelangelo conduce a piazza del Campidoglio

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta a destra)


Campitelli è il rione con la più bassa densità abitativa, perché occupato al 75% circa della sua superficie da un'estesissima area archeologica, che comprende due colli, Campidoglio [1] e Palatino [2], il Foro Romano [3] e il Colosseo [4]. Prima del 1921 Campitelli si entendeva più a sud degli attuali confini, ma in quell'anno perse una parte del suo territorio originale, che divenne il diciannovesimo rione indipendente, Celio.
Nell'età del ferro vi si trovavano solo alture e valli paludose. Sulle prime vivevano delle tribù autonome, che attorno al IX secolo aC cominciarono ad incontrarsi ed a scambiare bestiame, sale ed altri prodotti. Qui convergevano le due principali culture preromane, quella dei Latini, provenienti dalle pianure del basso Lazio, insediati sulla riva sinistra del Tevere (riva meridionale, tenendo conto del corso extraurbano del fiume), e quella degli Etruschi, di cui la riva destra o settentrionale costituiva la propaggine più a sud (cfr. mappa in basso).

Il progressivo accorpamento di più tribù portò nell'VIII secolo aC alla fondazione di una primitiva città sulla sommità del colle Palatino; la sua posizione godeva della vicinanza del fiume, ma anche di quella del Campidoglio, più alto e dunque di importanza strategica per la difesa dell'abitato.

confini di Lazio, Sabina ed Etruria (Thyrrenia) nel
750 aC circa; le città di Veio, Cere, Tarquinia e Vulci
appaiono coi nomi etruschi e (tra parentesi) latini
Sul Palatino stabilì la sua casa Romolo, mitico fondatore di Roma e suo primo re. Ben presto la città si estese anche alle altre alture vicine, i famosi sette colli.

Nella valle a nord, che confinava col Campidoglio e il Quirinale, ogni otto giorni aveva luogo un mercato. Quest'area divenne così il cuore della vita pubblica dell'antica città; vi sorsero i primi templi e venne bonificata (in origine vi era un piccolo specchio d'acqua circondato da terreni fangosi), fino alla nascita del vero e proprio Foro, il cui nome probabilmente deriva dal latino arcaico foras ("fuori, lontano da casa"), come appunto doveva apparire questo luogo a tutti coloro che abbandonavano le alture abitate per venire a barattare le merci.

Sul Capitolium, il picco più alto del Campidoglio, sorse il maggiore e più antico tempio di Roma, quello di Giove Ottimo Massimo o di Giove Capitolino, dedicato, oltre che a questa divinità, anche a Giunone e a Minerva, che col primo formavano la cosiddetta triade capitolina. All'interno era diviso in tre parti, con tre celle separate; quella centrale conteneva una statua di Giove in avorio e oro.
Secondo le fonti storiche, il tempio fu eretto alla fine del VI secolo aC, iniziato dal re etrusco Lucio Tarquinio Prisco, proseguito da Lucio Tarquinio il Superbo, e completato all'alba della repubblica (509 aC), quando uno dei primi consoli, Marco Orazio Pulvillo, lo inaugurò. Era una costruzione imponente per quell'epoca e, data la posizione, visibile da ogni parte della città.
Andò bruciato due volte, nell'83 aC e poi nel 69 dC, ma in entrambi i casi fu interamente ricostruito.

il Palatino (Palatium e Cermalus), il Campidoglio (Capitolium e Arx)
e i loro dintorni nella prima età repubblicana
Sotto gli imperatori cristiani venne progressivamente spogliato dei materiali preziosi, ma l'edificio rimase in piedi almeno fino al IX secolo. Oggi non ne rimane più quasi traccia, se non un frammento nei Musei Capitolini.

Il termine capitolium fu usato per indicare anche altri templi simili a questo, dedicati alle tre divinità congiunte, di cui si avevano esempi in molte altre città e province romane.
Sul picco minore del Campidoglio (Arx), alla metà del IV secolo aC sorse il tempio di Giunone Moneta, cioè "ammonitrice", presso cui si trovava la zecca di Roma. Ma la sommità del colle era costellata anche di molti altri templi più piccoli, sorti in epoche diverse.

← il Tempio di Saturno, nel Foro Romano, fondato alla fine del V secolo aC;
in età repubblicana vi si conservava il tesoro (aerarium) e l'archivio di stato


Dopo Romolo, nel corso dei secoli il Palatino fu sede di residenze della classe dirigente; in età repubblicana vi dimorarono personaggi illustri, tra cui Cicerone.
Quindi fu la volta degli imperatori, a partire da Ottaviano Augusto che vi edificò il primo vero e proprio palazzo imperiale; questo fu successivamente ricostruito ed ampliato da Domiziano alla fine del I secolo e ulteriormente arricchito da Settimio Severo (200 c.ca) con una sezione eretta oltre il fianco orientale della collina, su possenti sostruzioni. Si trattava quindi di un unico grande complesso edilizio, detto inizialmente Domus Augustana (cioè "residenza degli imperatori") e successivamente Palatium, riprendendo il nome del picco meridionale del colle; quello più a nord era detto Cermalus. Le facciate del complesso erano allineate lungo il lato occidentale del Palatino, guardando verso la Valle Murcia, dove si estendeva il Circo Massimo. Per traslato, il termine palatium passò ad indicare qualsiasi residenza grandiosa.


i palazzi imperiali sul lato occidentale del Palatino, lungo il confine con Ripa


Nel medioevo, se si eccettuano degli ulteriori ampliamenti ad opera del re ostrogoto Teodorico (500 circa) e l'uso come residenza da parte del papa Giovanni VII (705-707), che lo preferì al Patriarchium lateranense (cfr. rione Monti), il Palatino cadde in uno stato di abbandono e il Palatium subì la spoliazione dei materiali preziosi, al pari degli altri monumenti antichi cittadini. La stessa sorte toccò al Foro e ai templi sul Campidoglio, soprattutto a causa dell'iconoclastia cristiana.


il Palatino nella pianta di G.B.Nolli (1748): l'area più a nord
(colorata in giallo) è indicata come Orti e Villa Farnesiana,
a cui si accedeva attraverso un portale collocato lungo il lato nordest
Solo alla metà del Cinquecento il cardinale Alessandro Farnese (nipote di Paolo III e figlio di Margherita d'Austria) acquistò la parte settentrionale del colle (il Cermalus), riempì di terra le rovine della domus di Tiberio e commissionò a Vignola dei giardini. L'intero colle era separato dal Campo Vaccino per mezzo di un muro di cinta. Fino al 1884 si accedeva ai giardini farnesiani dal lato nordest del Palatino, per mezzo di uno scenografico portale, anch'esso attribuito a Vignola, con la scritta Horti Palatini Farnesiorum; nel 1884 fu smontato, e il muro demolito, per unire il Palatino al Foro Romano. Solo attorno al 1948 il portale venne ricollocato sul il versante sudest del Palatino, lungo l'attuale via di San Gregorio, coincidente con l'antica via Triumphalis romana, che marca il confine di Campitelli col rione Celio.
Nella pianta di Giovanni Battista Nolli (1748) la metà settentrionale del Palatino è occupato dalla villa farnesiana, mentre la metà sud, che in precedenti piante di Roma appariva incolta e abbandonata, è lottizzata in varie vigne e orti privati.
L'interesse archeologico per il Palatino cominciò a manifestarsi nel Settecento; tuttavia la vera e propria campagna di scavi che portò allo smantellamento dei giardini farnesiani e riportò alla luce anche altre strutture coperte durante l'età imperiale si ebbe solo dopo la caduta dello Stato Pontificio. L'archeologo che condusse l'opera, Giacomo Boni (1859-1925), per sua volontà fu sepolto sullo stesso colle.

L'area del Foro, dove durante il medioevo il piano di calpestio si era considerevolmente innalzato per l'accumulo di terra e di detriti, seppellendo molti resti antichi, a partire dal XVI secolo riprese a fungere da mercato del bestiame, com'era stato nell'età arcaica, e fu perciò detta Campo Vaccino.
Anche qui gli scavi archeologici cominciarono ad essere condotti intensivamente solo quando Roma divenne la capitale del Regno d'Italia.
Per l'evoluzione del Campidoglio dal medioevo ai nostri giorni si veda la sezione Miscellanea. Così come già dall'XI secolo il primo Palazzo Senatorio alla sommità del colle era stato luogo di riunione degli amministratori pubblici (senatori e conservatori), dal 1870 la sua versione cinquecentesca divenne sede del Municipio di Roma. Quest'ultimo è affiancato sui due lati dai Musei Capitolini, che vantano il primato di essere il più antico museo del mondo visitabile dal pubblico, avendo aperto i battenti nel 1734 per volere di Clemente XII. E come avveniva anche in passato, è dal Campidoglio che vengono calcolate ancora oggi le distanze geografiche da e verso Roma, assumendolo come punto di centro della città.

l'interno della Curia Iulia, nel Foro Romano
La sommità del colle, che in realtà corrisponde alla sella compresa tra i due picchi (Capitolium e Arx), è occupata da piazza del Campidoglio [5], circondata su tre lati da un complesso di edifici disegnato da Michelangelo; fu lo stesso artista a realizzare anche la lunga rampa di scale ampie ed inclinate (cordonata), per mezzo della quale si raggiunge la cima del Campidoglio. Per la descrizione, si veda la pagina relativa nella sezione Miscellanea).

Adiacente alla piazza del Campidoglio, ma raggiungibile anche dalla base del colle a mezzo di una ripida scalinata (124 gradini), è la trecentesca chiesa di Santa Maria in Aracoeli [6].

Santa Maria in Aracoeli
Il suo nome significa "Altare del Cielo", dalla leggenda secondo cui all'imperatore Augusto fu predetto che un giorno lì sarebbe sorto l'altare del figlio di Dio. Più verosimilmente il nome derivò da una corruzione di arx (o arce, in italiano arcaico, cioè roccaforte), che è poi il nome del picco minore del colle su cui poggia l'edificio.
Le colonne che ne dividono le navate sono tutte di spoglio e tutte diverse; non è escluso che tra esse possa esservene qualcuna appartenuta al tempio di Giunone Moneta, che qui sorgeva un tempo. Il soffitto a cassettoni, ricoperto da pregevoli pannelli lignei a colori finemente intagliati, fu realizzato per celebrare la vittoria dell'ammiraglio Marcantonio Colonna nella Battaglia di Lepanto, combattuta contro la flotta turca nel 1571. Tra le altre pregevoli testimonianze artistiche, una cappella affrescata da Pinturicchio (1486) e le tombe duecentesche di Luca Savelli (in parte ricavata da un sarcofago romano antico) e di suo figlio Iacopo, divenuto papa Onorio IV (1285-87), entrambe recanti lo stemma di famiglia in stile cosmatesco.

In un'altra cappella, nel transetto, era conservata una piccola scultura lignea del XV secolo, riccamente vestita ed adorna di gioielli: raffigurava Gesù neonato ed era chiamata "il Bambino dell'Aracoeli", da sempre oggetto di venerazione popolare.
Gli venivano attribuite proprietà taumaturgiche, tanto che un ordine di frati la portava in solenne processione in casa di coloro che soffrivano di gravi malattie. L'enorme popolarità dell'immagine non ha impedito, però, che nel 1994 venisse trafugata.

il Bambino dell'Aracoeli
In attesa che l'originale possa un giorno essere ritrovato, ne è stata realizzata una fedele copia che, come quella autentica, continua a ricevere offerte e lettere da molte località, alcune delle quali sono esposte nella stessa cappella.

Ai piedi della scalinata dell'Aracoeli, le demolizioni per la costruzione del Vittoriano (vedi oltre) hanno fatto emergere un'antica casa romana a quattro piani (insula), risalente al II secolo dC e poggiante su un livello assai più basso del piano stradale attuale. Su di essa si innestano scarse tracce di una chiesa del XIV secolo, San Biagio in Mercatello, sorta sui resti dell'insula, di cui rimangono un piccolo affresco mal conservato e un campaniletto.


gli affreschi di Pinturicchio
nella cappella di San Bernardino

il Vittoriano
Sul lato nord del Campidoglio, il gigantesco monumento che cattura l'attenzione dei turisti è il Vittoriano [7], eretto fra il 1885 e il 1911 per onorare la memoria di Vittorio Emanuele II, re d'Italia, sotto il cui regno fu conseguita l'unità del paese (1870). Curiosamente, il primo concorso fu vinto da un architetto francese, ma venendo giudicato inopportuno che fosse uno straniero a firmare il monumento al padre della patria, fu annullato e ripetuto due anni dopo, quando se lo aggiudicò Giuseppe Sacconi.

Secondo l'orientamento architettonico della fine dell'Ottocento (eclettismo), il monumento si ispira a molti stili differenti del passato, mescolandoli ed includendo anche delle opere nel nuovo stile che andava affermandosi, l'Art Nouveau, quali i mosaici della galleria. Le varie parti di cui si compone sono in massima parte ispirate al sentimento patriottico: le due enormi statue reclinate delle fontane ai lati della base, che raffigurano i due maggiori mari italiani, Tirreno e Adriatico, sopra le quali si trovano i gruppi marmorei dei valori, Forza, Concordia, Sacrificio e Diritto, poi gruppi bronzei sugli enormi pilastri del cancello, a raffigurare il Pensiero e l'Azione, le vittorie alate su prue rostrate di navi romane ai lati della scalinata, a livello della prima terrazza la dea Roma su fondo dorato, al centro di un fregio che rappresente il Lavoro e il Patriottismo, sulla terrazza superiore le figure in altorilievo che circondano la base dell'enorme statua equestre del re, in rappresentanza dei capoluoghi delle regioni italiane (all'epoca erano sedici), fino alle due quadrighe bronzee sulla sommità del monumento (collocate solo nel 1927), che rappresentano l'Unita e la Libertà.
il gruppo dell'Azione (a destra) e, sullo sfondo, quello della Forza


la statua di Vittorio Emanuele II svetta sull'orizzonte
Le dimensioni della statua di Vittorio Emanuele II, lunga una quindicina di metri, sono sorprendenti: in una celebre foto dell'epoca, il proprietario della fonderia dove fu realizzata, Giovanni Bastianelli, brinda al compimento dell'opera assieme ad una ventina tra collaboratori e operai seduti nel ventre del cavallo!
Nel 1921 il monumento fu anche scelto come sede della tomba del Milite Ignoto, un sacrario dove riposano i resti di un soldato non identificato caduto nella Prima Guerra Mondiale. La porzione di monumento sotto la statua della dea Roma, vegliato da un picchetto 24 ore al giorno, è pertanto detto Altare della Patria (nome con cui molti erroneamente chiamano l'intero Vittoriano).
Nel corso del XX secolo, però, il monumento fu oggetto di numerose critiche. In primo luogo perché ostruisce la veduta sul Foro Romano; ma anche perché fu costruito usando marmo di Botticino (Brescia), dal colore bianco candido, che contrasta con le tonalità degli edifici di Roma, dal giallo ocra al rossastro; a volerlo non fu Sacconi (che aveva scelto il travertino), bensì il primo ministro dell'epoca, Giuseppe Zanardelli, nativo di Brescia, che sperava in questo modo di aiutare l'economia della propria città di origine.
Giovanni Bastianelli e collaboratori nel ventre del cavallo (1911)

Al progetto non fu perdonata neppure la colpa di aver stravolto la topografia di piazza Venezia e soprattutto delle strade alle sue spalle, dove per fare spazio al nuovo monumento si tirarono giù senza distinzione vecchie casupole ed edifici di interesse storico. Scomparvero, tra gli altri, la cinquecentesca torre di Paolo III e il camminamento sopraelevato su archi che la collegava al retro di Palazzetto Venezia (cfr. rione Pigna e C'era una volta a Roma...), l'antico convento annesso alla chiesa dell'Aracoeli, la casa del pittore Giulio Romano, quella dove aveva abitato Michelangelo e la casa di Pietro da Cortona. Al Vittoriano vennero quindi affibbiati diversi soprannomi di scherno, quali "la torta nuziale", "la macchina da scrivere", "il calamaio".
Vi fu anche chi propose di abbattere l'ingombrante mole di marmo; oggi però è anch'esso un monumento ultracentenario, discutibile per la commistione di stili, ma dai dettagli raffinati e ben eseguiti, quindi destinato a rimanere al suo posto. I locali al suo interno ospitano il Museo del Risorgimento ed altri spazi espositivi sono riservati alle mostre temporanee.


All'angolo sinistro del Vittoriano, nell'aiuola davanti alla fontana dell'Adriatico, sono situati i resti della tomba di Gaio Publicio Bibulo, un aedile (responsabile della cura degli edifici pubblici) vissuto nel I secolo aC. Il nome del titolare si legge sul retro del monumento, lungo la parte superiore della base, che si trova ancora in buona parte interrata.

la tomba di Gaio Publicio Bibulo


Alle spalle del Vittoriano, in un piccolo spazio ai margini del Foro Romano, si trova la prigione più antica di Roma, il Carcere Tulliano, più conosciuto col nome che prese nell'alto medioevo, Carcere Mamertino [8]. C'è chi sostiene che fosse stato voluto da Tullo Ostilio (il terzo re), donde il nome, chi da Servio Tullio (il sesto re), e c'è chi invece pensa che sia sorto presso un tullus cioè una cisterna, dato che all'interno filtrava - e filtra ancora oggi - una sorgente d'acqua. È formato da due ambienti, uno sopra l'altro, di cui l'inferiore è quello più antico. L'epoca della sua costruzione è ancora incerta; chi lo ritiene risalente all'epoca dei re (tra l'VIII e il VII secolo aC) e chi al III secolo aC. Le pareti sono fatte di grossi blocchi di peperino (varietà di tufo), giustapposti a secco, senza alcuna malta (tecnica dell'opus quadratum). Il soffitto è molto basso per la realizzazione, in epoca successiva (forse II secolo aC), di un livello superiore, chiamato carcer, a pianta trapezoidale. Anche questo ambiente è costruito con blocchi di tufo rosso e giallo, varietà diverse rispetto a quella della struttura più antica. Attorno all'anno 40, l'esterno del carcere fu ricoperto con lastre di travertino; il lato orientale del rivestimento è ancora in parte conservato e vi si leggono i nomi di due consoli, Gaio Vibio Rufino e Marco Cocceio Nerva.
L'antico Tullianum (livello inferiore) è ora raggiungibile mediante una scala, ma un tempo i condannati venivano calati dall'alto attraverso un foro nel pavimento, ancora presente. Nello stesso ambiente i prigionieri di guerra venivano giustiziati strangolandoli, oppure lasciandoli morire di fame; tra i personaggi noti che qui perirono si annoverano Giugurta, re di Numidia (104 aC) e Vergingetorige, capo dei Galli (49 aC). Secondo la tradizione, nel carcere furono anche tenuti prigionieri gli apostoli Pietro e Paolo prima del loro martirio; per tale ragione, agli inizi del medioevo i due ambienti divennero cappelle cristiane. È probabile che nello stesso periodo il luogo mutò nome in Carcere Mamertino. Il significato di tale nome è sconosciuto; tentativi di collegare questo toponimo a Mamers, dio osco della guerra (equivalente a Marte presso i Romani) appaiono del tutto inverosimili, perché gli Osci furono assorbiti dalla civiltà romana già dall'età delle Guerre Sannitiche (tra la fine del IV e l'inizio del III secolo aC).
Oltre mille anni dopo, durante il pontificato di Paolo III, le cappelle furono trasformate in vera e propria chiesa, denominata San Pietro in Carcere; nel 1540 c.ca la prese in affitto l'università (cioè la corporazione) dei falegnami. Alla fine del secolo, la stessa università fece edificare al di sopra del carcere una nuova chiesa, San Giuseppe dei Falegnami, completata nel 1663. Oggi appare sopraelevata, ma un tempo vi si accedeva direttamente dal piano stradale; fu isolata da lavori condotti negli anni '30 del XX secolo, per riportare alla luce l'antico ingresso al carcere.

Di fronte a questo complesso, la chiesa barocca dei Santi Luca e Martina [9] sorge fianco a fianco alla Curia Iulia, aula del Foro Romano dove si riunivano i senatori, fatta costruire da Giulio Cesare. In questo stesso punto, sulle rovine del precedente luogo di ritrovo senatoriale, la Curia Hostilia, nel VI secolo era stata fondata una prima chiesa di Santa Martina, il cui titolo completo era in tribus foris, cioè presso i tre fori (quello Romano, quello di Cesare e quello di Augusto). Circa mille anni dopo, nel 1588, Sisto V concesse la chiesa all'Accademia di San Luca, università (corporazione) degli artisti, che all'epoca aveva sede in un edificio adiacente. Santa Martina, la cui dedica all'epoca fu estesa anche a San Luca, fu così interamente ricostruita, rialzandone il pavimento originale in modo da ottenere una cripta per la sepoltura degli affiliati all'accademia. I lavori procedettero a rilento per quasi mezzo secolo, fino al 1634, quando il ritrovamento dei resti della santa indusse il papa Urbano VIII a finanziare il cantiere, consentendo a Pietro da Cortona di portare a termine l'opera. Ha una pianta quasi a croce greca (i bracci del transetto sono leggermente più corti). Al centro si trova l'altare maggiore, con una statua giacente di Santa Martina, di Nicolò Menghini, e una pala con San Luca che dipinge Maria, di Antiveduto Grammatica, pittore della fine del Cinquecento nella cui bottega lavorò il giovane Caravaggio appena giunto a Roma; il dipinto è in effetti una copia di un soggetto originale di Raffaello che appartiene all'Accademia di San Luca, dov'è conservato nella sua sede attuale, nel rione Trevi
La cripta ha la stessa forma della chiesa soprastante e un altare bronzeo di Pietro da Cortona; l'artista si impegnò strenuamente in questo progetto, al punto che Urbano VIII gli concesse di costruire lì una cappella per la propria famiglia. Pietro da Cortona persino lasciò alla chiesa una rendita per la manutenzione, i cui termini si leggono in un'ampia iscrizione sormontata dal suo busto. Presso l'ingresso alla chiesa superiore, una grande lastra di marmo sul pavimento ne ricorda i meriti. Lungo il passaggio che conduce alla cripta si trovano anche le tombe dell'architetto barocco Girolamo Rainaldi (d.1655), e dell'archeologo e architetto Luigi Canina (m.1856), ricordato per la moderna sistemazione dei giardini di Villa Borghese e della passeggiata archeologica lungo la via Appia Antica.


Via dei Fori Imperiali, l'ampia arteria di scorrimento che attraversa in linea retta l'area archeologica, segna il confine rionale con Monti. Quando fu aperta si chiamava via dell'Impero e per realizzarla, tra il 1924 e il 1932, fu raso al suolo l'intero quartiere Alessandrino, che qui sorgeva dalla fine del Cinquecento, compresa la suddetta Accademia di San Luca, che fu trasferita a Palazzo Carpegna (nel rione Trevi, alle spalle della famosa fontana). Nella parte più settentrionale costeggia i resti del Foro di Cesare, il primo dei fori ad essere intitolato a un governante; al fine di ricavare lo spazio sufficiente per edificarlo, Giulio Cesare fece spostare l'antica Curia (Curia Hostilia), che fu ricostuita a breve distanza. Durante tali lavori i senatori si riunivano in una curia provvisoria, un'aula del Portico di Pompeo, nel Campo Marzio (oggi sul confine tra i rioni Pigna e Sant'Eustachio), dove nel 44 aC il dittatore fu ucciso.
A metà di via dei Fori Imperiali si raggiunge la chiesa dedicata ai Santi Cosma e Damiano [10], fratelli di origine siriana ma convertiti al cristianesimo, nonché valenti medici, in grado di operare guarigioni prodigiose; secondo la tradizione, subirono il martirio sotto il regno di Diocleziano. L'edificio fu fondato nel 527, quando il re ostrogoto Teodorico, risiedente a Ravenna ma ufficialmente titolare della città di Roma, donò a papa Felice IV la biblioteca del Tempio della Pace (facente parte del Foro di Vespasiano) e il contiguo Tempio del Divo Romolo (il figlio dell'imperatore Massenzio, divinizzato dal padre dopo la morte prematura a soli sedici anni), ai margini del Foro Romano. Il pontefice fece adattare i due ambienti antichi a luogo di culto cristiano, usando il Tempio di Romolo come ingresso e atrio della chiesa. La dedica a Cosma e Damiano fu probabilmente scelta in contrapposizione al vicino tempio di Castore e Polluce, anch'essi fratelli, ma il cui culto apparteneva alla religione romana (pagana). L'abside fu decorata con uno dei primi mosaici bizantini in Roma, dall'insolito sfondo blu cobalto, ancora oggi in ottime condizioni benché in parte restaurato.

San Teodoro (particolare dal mosaico absidale, VI secolo) →

Col passare dei secoli, essendosi notevolmente sollevato il circostante piano di calpestio, la chiesa finì col rimanere semisepolta e immersa nell'umidità. Per questo attorno al 1630 papa Urbano VIII ne fece sollevare il pavimento e l'ingresso di oltre tre metri, ristrutturandone anche gli arredi interni; nel soffitto ligneo infatti è presente lo stemma con le tre api dei Barberini.

l'interno del Tempio del Divo Romolo, dalla chiesa
A causa di tali modifiche, il catino absidale appare enorme, quasi sproporzionato alle dimensioni della chiesa, perché si trova molto più vicino al punto di osservazione per il quale era stato originariamente realizzato. Si possono così meglio apprezzarne le differenze stilistiche con i mosaici bizantini tradizionali: le immagini più ricche di dettagli, i volti dei personaggi ancora di gusto romano, i colori vivaci, le ombre delle figure, la semplicità della toga di Cristo (solitamente carico di gioielli e segni di autorità). Nel 1947 fu ripristinata l'integrità del Tempio del Divo Romolo; si rese quindi necessario sacrificare tutta la parte anteriore della chiesa: infatti il pavimento ora termina bruscamente con una vetrata, che lascia vedere l'antico ambiente romano sottostante, su cui un tempo poggiava la prima parte della navata.

La chiesa conserva anche un raro affresco dell'VIII secolo con una delle prime rappresentazioni bizantine della Crocifissione, in cui gli elementi di maestà, tipici di questo stile, prevalgono nettamente su quelli legati al martirio, più realistici, sviluppatisi nell'arte occidentale in epoche successive. Anziché essere nudo, Cristo veste un prezioso abito ormato di gemme e in testa ha una corona regale in luogo di quella classica di spine; inoltre i piedi non sono inchiodati al legno bensì poggiano in terra, e lo sguardo anziché sofferente è solenne e ieratico. Non c'è alcun panorama alle spalle, ma un disco rosso decorato a fiori e bordato d'oro.

Sulla collina Velia, che forma il tratto più meridionale del Foro Romano, sorge la chiesa di Santa Francesca Romana [11], fondata nel X secolo, a poca distanza dalla Basilica di Massenzio. Il suo titolo originale era Santa Maria Nova, per distinguerla da un'altra Santa Maria situata dall'altro lato del Foro, di epoca precedente e perciò detta Antiqua. Da quest'ultima proviene un'antica icona del V secolo conservata in Santa Francesca Romana.

Crocifissione (VIII secolo),
in Santi Cosma e Damiano

mosaico absidale di Santa Francesca Romana (metà XII secolo)
La chiesa fu ricostruita nel XIII secolo e trasformata nelle forme barocche attuali tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento. Poco dopo le fu cambiato il titolo in quello attuale in onore della popolare santa romana, che qui fu sepolta nel 1440, ma fu canonizzata ufficialmente nel 1638.
La tradizione popolare vuole che la chiesa sorga sul luogo dove Simone Mago avrebbe sfidato gli apostoli Pietro e Paolo, levitando davanti a loro per dimostrare di avere poteri superiori; ma i due, inginocchiatisi a pregare, avrebbero provocato la caduta dell'eretico e la sua morte. Una lastra di marmo esposta nel transetto, infatti, reca impronte che, secondo la leggenda, sarebbero quelle delle ginocchia dei due apostoli.
Santa Francesca Romana riserva numerosi spunti artistici che attraversano dodici secoli di storia: dalla succitata icona bizantina del V secolo, conservata nella sacrestia fino alla confessione sotto l'altare maggiore che Gianlorenzo Bernini disegnò per accogliere i resti della santa (dal 1869 sono esposti in una teca di vetro nella sottostante cripta). Ma sono notevoli anche il mosaico absidale, una Madonna col Bambino tra santi della metà del XII secolo, la tomba del cardinale Marino Bulcani (o Vulcani, m.1394) con allegorie delle tre virtù teologali, l'affresco dei Dottori della Chiesa nella prima cappella a destra, attribuito a Melozzo da Forlì o alla sua scuola (1490 c.ca), il ritratto di Paolo III e del cardinale Reginald Pole, sulla porta della sacrestia, forse di Perin del Vaga (allievo di Raffaello, 1540  c.ca), solo per citare i più interessanti.

sepolcro del cardinale Marino Bulcani (1394) →
La santa è attualmente considerata la co-patrona di Roma, assieme a Pietro e a Paolo, nonché protettrice di tutti i guidatori di autoveicoli, ragione per cui la mattina del 9 marzo, il giorno a lei dedicato, una folla di vetture si raduna in prossimità della chiesa per ricevere una speciale benedizione.

La collina Velia un tempo proseguiva verso est e, in epoca imperiale, separava il Foro di Vespasiano dall'Anfiteatro Flavio, o Colosseo. Fu spianata dai suddetti lavori per l'apertura di via dei Fori Imperiali. Per la storia e la descrizione del Colosseo si veda la sezione Miscellanea.


Accanto al Colosseo, proprio all'inizio dell'attuale via di San Gregorio, sorge un altro celebre monumento, l'Arco di Costantino [12], eretto per celebrarne il trionfo nella battaglia di Ponte Milvio (312), in uno scontro per la corona imperiale contro il rivale Massenzio che tentava di spodestarlo.

Arco di Costantino (lato meridionale)
L'arco fu inaugurato qualche tempo dopo, in occasione del primo decennio di regno di Costantino, o forse del secondo. La sua forma sembra essere stata ispirata dall'Arco di Settimio Severo (all'estremità opposta del Foro Romano); è decorato in larga parte con statue e rilievi rimossi da monumenti preesistenti del II secolo, in particolare dell'età di Traiano, Adriano e Marco Aurelio, forse a voler indicare una continuità col regno di tre dei cosiddetti "cinque buoni imperatori". Nel XII secolo l'arco finì inglobato nell'enorme fortezza dei Frangipane (al pari di una porzione di Colosseo e del vicino Arco di Tito, all'estremità del Foro Romano). Nel 1530, durante il pontificato di Clemente VII, un cugino del pontefice, Lorenzo Medici, vandalizzò le statue alla base del monumento, tagliandone le teste e fu per questo cacciato da Roma. Nel Settecento l'arco fu sottoposto ai primi interventi di restauro, ma solo all'inizio dell'Ottocento fu liberato dalle strutture abusive medievali.
In occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 il monumento ebbe di nuovo, seppure per brevissimo tempo, la sua funzione di arco di trionfo, venendovi collocato l'arrivo della maratona.

A lato dell'Arco di Costantino, un tratto in salita di basolato romano originale conduce verso l'Arco di Tito, dove cominciava la Via Sacra, che le cerimonie religiose percorrevano attraversando il Foro Romano, dirette al Tempio di Giove Ottimo Massimo. Secondo la tradizione lungo di essa scelsero di dimorare alcuni dei sette re: Numa Pompilio, Anco Marzio e Lucio Tarquinio Superbo.
Se da qui si segue la strada a sinistra che sale alla chiesa di San Bonaventura (1675), a mezza strada sorge un'altra chiesa, dedicata a San Sebastiano [13], con annesso monastero; secondo la tradizione, questa sorge sul luogo dove il martire fu legato e trafitto da numerose frecce in parti non vitali del corpo. La sua fondazione risale al X secolo, periodo a cui sono databili le scarse tracce di affreschi nell'abside e due epigrafi; ma fu interamente ricostruita nel 1626, quando Urbano VIII acquistò il terreno su cui sorge, un'ampia terrazza artificiale creata in età flavia (fine I secolo) alle spalle dei palazzi imperiali, che divenne quindi la Vigna Barberini (area blu nella pianta di Nolli più in alto). In essa, a lato della chiesa, si trovano le fondazioni di un tempio; questo è stato identificato con quello di Elagabalo (220 c.ca), che l'imperatore dedicò a sé stesso in quanto gran sacerdote del Sol Invictus, culto solare siriano che tentò di introdurre a Roma.


Tornati a valle, seguendo via di San Gregorio, che marca il confine rionale nella valle tra i colli Palatino e Celio, si incrocia il frammento di Arcus Caelimontani [14], l'acquedotto che portava acqua ai palazzi imperiali (cfr. la monografia Acquedotti), e si passa accanto al sito dove un tempo sorgeva il Septizonium (cfr. C'era una volta a Roma...), poi demolito alla fine del Cinquecento. Il confine di Campitelli gira quindi a destra per via dei Cerchi, costeggiando l'area del Circo Massimo (rione Ripa) alla base del Palatino.

Via di San Teodoro prende il nome da un'altra chiesa antichissima [15], fondata nel VI secolo, di forma rotonda perché probabilmente sorta sui resti di un tempio circolare. Conserva un mosaico absidale della stessa età, ma l'edificio fu ricostruito in buona parte alla metà del Quattrocento, e poi di nuovo agli inizi del Settecento. Secondo la tradizione, è qui che fu conservata per un certo periodo la Lupa Capitolina (il famoso bronzo etrusco ora nei Musei Capitolini), che in precedenza, almeno dal X secolo, si trovava presso il Palazzo del Laterano, finché nel 1471 Sisto IV la donò alla città di Roma (cfr. anche la sezione Miscellanea). Dal 2004 San Teodoro al Palatino è una chiesa di rito greco-ortodosso.

Percorrendo via dei Fienili si entra nella valle detta Velabrum, di cui i resti più significativi sono descritti nel rione Ripa, compresa tra Palatino e Campidoglio. Di quest'ultimo se ne vede il versante meridionale, che strapiomba con una parete scoscesa e irregolare chiamata Rupe Tarpea [16]. È da qui che anticamente venivano precipitati i condannati a morte per tradimento, fino al I secolo. Era una forma di condanna molto arcaica, che simbolicamente rappresentava un'espulsione da Roma. Il suo nome è legato a Tarpea (o Tarpeia), la figlia del guardiano del Campidoglio, che nell'VIII secolo aC tradì il proprio popolo per cupidigia. Rivelò infatti ai Sabini, in guerra con Roma, il modo di espugnare la sommità del Campidoglio, a patto che poi le donassero ciò che portavano al braccio. Costoro infatti indossavano a sinistra un'armilla d'oro. Ma quando la giovane si presentò loro chiedendo conto di quanto le era stato promesso, la uccisero schiacciandola con i loro pesanti scudi, che portavano all'altro braccio.


Tarpea, al centro, uccisa con gli scudi dai soldati sabini, in un rilievo della
Basilica Emilia (Foro Romano); a destra, la Rupe Tarpea, che da lei prende il nome →
La piazza verso cui guarda la Rupe Tarpea porta il nome della chiesa di Santa Maria della Consolazione [17], edificata attorno al 1470, poi ricostruita sul finire del secolo successivo su progetto di Martino Longhi il Vecchio; era gestita da un consorzio di famiglie aristocratiche. Conserva all'interno opere minori di autori importanti, tra cui Antoniazzo Romano, Raffaello da Montelupo, Taddeo Zuccari e Pomarancio.
Fino alla fine dell'Ottocento, alle spalle della chiesa, dove oggi si trovano uffici del Comune, esisteva un ospedale con annesso cimitero, gestito dalla Confraternita di Santa Maria in Portico della Consolazione e delle Grazie. L'etimo di tale nome, così come quello della chiesa, è legato ad un doppio aneddoto di cui si parla nella sezione Curiosità romane, nel paragrafo a proposito del suddetto sodalizio.


le colonne del Tempio di Apollo Sosiano
Il vico Jugario, corrispondente all'antica via (vicus Iugarius) che metteva in comunicazione il Foro Romano col Foro Olitorio (cfr. rione Ripa), presso i resti di un portico del I secolo aC si immette nell'ampia via del Teatro di Marcello, che risale verso piazza Venezia costeggiando il Campidoglio. Presso l'angolo è una casa medievale con torre, restaurata con frammenti provenienti da un'altra vicina, andata distrutta.
Sul lato opposto della strada, subito dopo i resti del Teatro di Marcello (rione Sant'Angelo) si innalzano le tre alte colonne superstiti del Tempio di Apollo Sosiano [18], risalente al 431 aC, ma ricostruito più volte nel corso dei secoli successivi, fino alla versione definitiva, del 30 aC circa, a cura di un alto ufficiale chiamato Gaio Sosio. La ricollocazione delle colonne nell'attuale posizione risale al 1940.
Nello stesso anno fu ricostruita nell'attuale posizione la chiesa limitrofa, Santa Rita da Cascia in Campitelli, che poggia in parte sul podio di un altro tempio scomparso, dedicato alla dea della guerra Bellona. Costruita nel 1665 su quella più antica di San Biagio, accanto alla scalinata di Santa Maria in Aracoeli (descritta in precedenza), fu da lì smontata nel 1928, nel corso delle demolizioni per l'apertura di via del Teatro di Marcello (all'epoca chiamata via del Mare). Nella nuova sede, Santa Rita non fu più riconsacrata ed è oggi sede di concerti e riunioni.


Segue sullo stesso lato della via il monastero di Tor de' Specchi [19], della prima metà del XV secolo; qui la già citata Francesca Romana trascorse come badessa i suoi ultimi anni di vita. Tor de' Specchi prende il nome da una più antica torre medievale ora appartenente al complesso, la cui etimologia è rimasta incerta, a sua volta edificata su resti romani. Ne è consentita la visita solo pochissime volte all'anno, il giorno della santa (9 marzo) e, a volte, una o due domeniche successive. Due aule del monastero sono ricoperte da meravigliosi affreschi della seconda metà del Quattrocento, molto ben conservati, attribuiti in parte al pittore Antoniazzo Romano, raffiguranti numerosi episodi della vita della santa, su cui si veda in proposito Gli antenati del dialetto di Roma.
il monastero di Tor de' Specchi