~ Monografie Romane ~

Acquedotti
· III parte ·
pagina 3


AQUA VIRGO / ACQUEDOTTO VERGINE

LAqua Virgo (Acquedotto Vergine) fu costruito nel 19 aC allo scopo di alimentare con la dovuta abbondanza d'acqua le Terme di Agrippa, il primo impianto pubblico di questo tipo ad essere aperto in città. Il nome deriva da una leggenda secondo cui ai soldati romani, alla ricerca di sorgenti valide, fu indicato dove trovarle da una giovane del luogo. È l'unico tra gli acquedotti di Roma ad essere rimasto sempre in funzione fin dalla sua inaugurazione.
pianta che mostra il corso dell'antica Aqua Virgo (punti gialli) e quello del suo "clone" moderno,
il Nuovo Acquedotto Vergine Elevato, inaugurato nel 1937 (punti celesti)

Le sorgenti si trovano presso Salone, un'area a circa 10 km a est dell'antica Roma, ora nell'estrema periferia della città moderna, appena oltre il Grande Raccordo Anulare.
Lo speco segue la Via Collatina in direzione ovest fino all'attuale quartiere di Casalbertone; piega quindi bruscamente verso nord, incrociando Via Tiburtina presso il moderno quartiere di Pietralata, poi curva ancora verso ovest. Nel raggiungere le alture che ora appartengono a Villa Ada, cambia direzione verso sud-ovest, passando sulla sommità del colle Pincio, attraverso Villa Borghese, e finalmente scende verso la pianura del Campo marzio, dove un tempo terminava proprio alle spalle del Pantheon, per una lunghezza complessiva di circa 21 km. Lo speco dell'acqua raggiunge la città con un percorso quasi completamente sotterraneo; originariamente correva su archi solo per gli ultimi due chilometri, traversando il Pincio e la parte urbana dell'antica Roma (right).

Dopo il VI secolo l'Aqua Virgo rimase l'unica fonte di acqua corrente a Roma, sebbene con una portata ridotta, per cui al fine di mantenerla in funzione fu restaurata e parzialmente modificata diverse volte. I primi lavori furono commissionati da papa Adriano I alla fine del dell'VIII secolo.

una pianta del 1590 mostra i resti, oggi scomparsi,
delle arcate dell'Aqua Virgo (evidenziate in giallo),
che attraversano il Pincio in direzione del Campo Marzio


lo speco sotterraneo dell'acquedotto, non lontano dalle sorgenti
Col passare degli anni l'ultimo tratto di Aqua Virgo smise comunque di funzionare; quindi al termine del medioevo lo sbocco dell'acquedotto non si trovava più presso le antiche terme, bensì circa 800 m prima di raggiungere il Pantheon, in un luogo dove, secondo diverse fonti storiche, si trovava una piccola fontana, che nel 1453 fu ingrandita in occasione di un secondo restauro promosso da Niccolò V. Un nuovo radicale intervento di restauro (1559-70) che rese possibile la realizzazione di un sistema di tubazioni in alcuni dei rioni di Roma, ripristinò anche le sorgenti originali dell'acquedotto, nell'area di Salone; così per qualche tempo l'Aqua Virgo fu rinominata Acqua di Salone. Ma in seguito tornò in auge il vecchio nome, nella sua forma italiana di Acquedotto Vergine.

Nel 1735 la fontana anzidetta subì una vera e propria metamorfosi, venendo trasformata in uno dei monumenti simbolo di Roma, la Fontana di Trevi, la cui costruzione richiese trent'anni.
Dopo la sua inaugurazione la gente prese a chiamare l'Aqua Vergine anche col nome popolare di Acqua di Trevi. Nel 1753, mentre i lavori per la realizzazione del famoso monumento erano ancora in corso, Benedetto XIV fece nuovamente restaurare l'acquedotto e altre riparazioni minori ebbero luogo sotto Pio VI nel 1788.
Tali interventi venivano solitamente ricordati con l'apposizione di targhe, alcune delle quali sono ancora in sede, come quelle mostrate a destra.

Negli ultimi decenni dell'Ottocento la città si espanse notevolmente oltre i suoi antichi confini. Per fare fronte alle aumentate esigenze idriche, tra il 1932 e il 1937 l'acquedotto venne raddoppiato mediante l'apertura di un secondo, chiamato Nuovo Acquedotto Vergine Elevato, in quanto un'alta torre piezometrica costruita presso le sorgenti naturali consente di aumentare considerevolmente la pressione idraulica necessaria alla propulsione. La sua direzione segue in parte il primo tratto dell'antico acquedotto (cfr. pianta più in alto), ma poi attraversa i rioni centrali con una traiettoria molto più diretta, raggiungendo il luogo dello sbocco finale con una lunghezza complessiva assai minore, di 13 km.

targhe di restauro lungo il tratto di acquedotto
che attraversa la periferia orientale romana;
quello in alto fu posto da Benedetto XIV
nel 1753, con un piccolo fontanile (ora secco),
quello a destra da Pio VI nel 1788
Nel 1961, a causa di infiltrazioni provocate dai quartieri moderni sorti lungo il passaggio della vecchia Acqua Vergine, l'acqua dell'antico acquedotto venne trovata inquinata e fu dichiarata non più potabile, venendo usata da allora solo per le fontane monumentali dei rioni storici.


fornici superstiti dell'antica Aqua Virgo nel centro di Roma
Lungo il colle Pincio il percorso dell'antico acquedotto passa sotto la cinquecentesca Villa Medici (cfr. anche Roma leggendaria, pagina 3), dove per raggiungere lo speco originale fu scavato un pozzo della profondità di 25 m, con una lunga scala elicoidale. Uno analogo (senza scale) fu scavato anche nei giardini della villa.

Oggi la serie di alte arcate che conducevano l'acqua attraverso la città fino alle terme è quasi completamente scomparsa; l'unico frammento ancora visibile è costituito da quattro fornici in travertino, sepolti per buona parte della loro altezza diversi metri al di sotto del piano calpestabile attuale, che col passare dei secoli si è notevolmente sollevato; si notano appena dalla strada, in via del Nazzareno (cfr. qui a sinistra, non lontano dalla Fontana di Trevi), tra un palazzo e l'altro. Sul lato opposto della strada, una porticina del XIV secolo che reca lo stemma di papa Sisto IV permette di raggiungere l'antico speco dell'acquedotto; il passaggio è tutt'ora usato per lavori di manutenzione.

Altri resti appartenenti allo stesso acquedotto sono stati scoperti presso le fondazioni di vicini palazzi storici, quale Palazzo Sciarra, ma non sono accessibili al pubblico.

Invece nulla rimane del fornice speciale con cui l'acquedotto scavalcava il segmento urbano della via Flaminia (l'attuale via del Corso); era conosciuto come Arco di Claudio, in quanto nel 51 dC era stato decorato per ricordare la conquista della Britannia da parte di quell'imperatore, che aveva avuto luogo otto anni prima. Solo un frammento della grande iscrizione affissa nella parte superiore del monumento si conserva ai Musei Capitolini (a destra).


← la porticina quattrocentesca che dà
accesso allo speco dell'antico acquedotto

frammento dell'Arco di Claudio




AQUA TRAIANA

Durante il regno dell'imperatore Traiano (98-117 dC), nonostante fossero già in funzione nove acquedotti, il quartiere sulla sponda occidentale del Tevere, Trans Tiberim, non disponeva ancora di una fornitura di acqua potabile. L'unico acquedotto che giungeva a Roma da nord-ovest, interamente sotterraneo al di fuori di un brevissimo tratto, era l'Aqua Alsietina.

il percorso dell'Aqua Traiana (linea tratteggiata); quello dell'Aqua Alsietina è ignoto
Essendo stata progettata con lo scopo principale di riempire lo stadio navale dell'imperatore Ottaviano Augusto (cfr. Curiosità Romane pagina 4), l'acqua veniva pescata direttamente dal piccolo Lacus Alsietinus, oggi Lago di Martignano, e non era potabile.
Traiano cercò una sorgente di acqua pulita nella stessa area, trovandola presso i monti situati sul versante occidentale del Lacus Sabatinus (oggi Lago di Bracciano).

Furono sfruttate anche sorgenti minori situate sul suo versante orientale, per cui il primo tratto di acquedotto girava attorno al lago, seguendone circa metà del perimetro.
I lavori per l'Aqua Traiana furono portati a termine nel 109 dC. Traiano acquistò tutti i terreni attraversati dall'acquedotto, così poté imporre attorno al suo intero percorso una fascia protetta, della larghezza di 30 piedi (circa 9 metri). Il suo speco correva a terra per gran parte della sua lunghezza; approssimandosi a Roma, però, alcuni tratti correvano sull'alto di un acquedotto.

L'acquedotto entrava a Roma dal Gianicolo, e il suo castello terminale era situato sulla vetta del colle, uno dei punti più alti della città, dove la via Aurelia giungeva a Trastevere proveniente da ovest, e dove attorno al 275 fu edificata la porta che prendeva il nome dalla strada consolare (cfr. anche Porta San Pancrazio). Il salto dalla vetta del colle alla piana di Trastevere garantiva anche una fonte di energia idraulica per i mulini del luogo.
L'Aqua Traiana rimase in funzione fino a che nel 537 i Goti danneggiarono gli acquedotti di Roma. Nel corso del medioevo fu riattivata diverse volte, ma non funzionò mai più bene come una volta, fino al suo completo restauro e parziale ricostruzione all'inizio del XVII secolo. A quel tempo furono poste lungo l'acquedotto dell'Aqua Traiana, ribattezzata Acqua Paola, piccole piramidi di pietra ad intervalli regolari, a segnalare i punti dove il tetto dello speco era provvisto di un'apertura per i lavori di pulizia del condotto.

Ciò che oggi ne rimane visibile nell'area urbana è rappresentato da tre tratti di acquedotto appartenenti all'ultimo miglio prima del castello finale. Seguono la traiettoria della via Aurelia Antica, cioè la strada moderna che corrisponde alla strada consolare in età romana, ancora piuttosto stretta in alcuni tratti e assai spesso congestionata dal traffico.

l'acquedotto lungo via Aurelia Antica




i tratti in rosso rappresentano le parti visibili dell'acquedotto


l'arco commemorativo di Paolo V (o di Tiradiavoli)
Lungo il primo tratto, cioè quello che in origine era più vicino al castello terminale, l'acquedotto raggiunge il massimo della sua altezza, circa 6 metri, per la verità non altissimo in confronto ad altri.
Questo segmento dell'Aqua Traiana delimita il perimetro di un ampio parco pubblico, Villa Pamphilj; una volta questa era la residenza suburbana della famiglia Pamphilj, il cui rappresentante di maggior spicco fu papa Innocenzo X (1644-55).

Nel punto dove la via Aurelia Antica fa una leggera curva, l'acquedotto attraversa la strada per mezzo di un arco, il cui aspetto non è certamente antico romano. Lo fece costruire papa Paolo V nel 1612, quando l'Aqua Traiana fu restaurata; nella parte superiore dell'arco, un'iscrizione commemorativa e il suo stemma di famiglia ricordano il suo patrocinio dell'opera. È detto popolarmente anche Arco di Tiradiavoli.

Il testo, però, rivela un curioso errore: stando alla terza riga, nella quale si legge AB · AVG · CAES · EXTRUCTOS (cioè "costruito dall'imperatore Augusto"), il papa e i suoi architetti evidentemente ritenevano, sbagliando, di aver restaurato l'Aqua Alsietina, effettivamente costruita da Ottaviano Augusto per la sua naumachia o stadio navale, e non l'Aqua Traiana. Lo stesso errore è ribadito nell'iscrizione anche più monumentale di questa che sormonta l'enorme Fontana dell'Acqua Paola (vedi I Rioni, Trastevere).

A destra della strada (procedendo verso ovest) l'acquedotto si abbassa un po' alla volta, finché la serie di arcate si interrompe in modo piuttosto brusco.

particolare dell'iscrizione di Paolo V

Pochi metri dopo la strada incontra una leggera salita, poi corre di nuovo in discesa; appena superato questo punto l'acquedotto ricompare nuovamente, sul lato meridionale della strada. Bassissimo all'inizio, cresce gradualmente fino a formare di nuovo il muro di cinta di Villa Pamphilj; infatti uno degli ingressi al parco è ricavato da uno dei fornici dell'acquedotto.


la terza parte visibile dell'acquedotto
L'ultima parte di questo tratto si riconosce a malapena, perché la trama di mattoni del muro dell'acquedotto è stata ricoperta da intonaco, quindi appare liscia, come un generico muro. Poi, nei pressi di un incrocio, l'Aqua Traiana si interrompe nuovamente.

La terza parte sorge circa 200 metri più a ovest, nei pressi dell'incrocio con via del Casale di San Pio V, davanti a un isolato di fabbricati moderni. L'acquedotto si riconosce dalla serie di arcate, la cui parte sommitale emerge dal terreno per circa 1 m, rimanendo assai basso. Qui la parte visibile dell'intera struttura non supera 3.5 metri di altezza, e corrisponde allo speco, le cui dimensioni (all'interno) misuravano circa 2 metri.

Sull'angolo dove l'acquedotto forma una curva, per dirigersi verso nord-ovest, sul tetto dello speco poggia ancora una piramide superstite.

(↑ in alto) la piramide superstite, situata
presso una stazione di benzina (a destra →)
Il modo migliore per raggiungere i resti dell'Aqua Traiana è quello di camminare dalla stazione San Pietro (autobus 64, o ferrovia regionale FR3) lungo via delle Fornaci, fino all'incrocio con via Aurelia Antica (attenzione al traffico!). Anche l'autobus 31 effettua fermata lungo via Leone XIII. Altri mezzi di trasporto pubblico si possono raggiungere proseguendo lungo via del Casale di San Pio V: da dove termina questa strada, a 300 m ci sono le fermate degli autobus 490 e 495, mentre a 500 m c'è la più vicina stazione della metropolitana, Cornelia (linea A).




AQUA ALEXANDRINA


il percorso dell'Aqua Alexandrina: l'ultimo tratto ( o o o ) è ipotetico
L'Aqua Alexandrina fu l'ultimo acquedotto costruito nell'antica Roma, nel 226 dC, oltre 500 anni dopo la realizzazione del primo. Il suo scopo, secondo l'imperatore Alessandro Severo che lo finanziò, era di portare acqua alle Terme di Nerone, le quali sorgevano nella parte occidentale del Campo Marzio, all'incirca dove oggi si trova piazza Sant'Eustachio (cfr. I 22 Rioni, pagina 8).
Il nuovo acquedotto raccoglieva l'acqua da sorgenti localizzate circa un miglio a sud della via Praenestina, a est di Roma; la direzione correva quasi parallela alla stessa via nel tratto inziale, poi piegava leggermente verso sud per incontrare la via Labicana (attuale via Casilina), e poco prima di avvicinarsi alle mura cittadine si incanalava sottoterra, entrando nell'area urbana probabilmente presso Porta Praenestina (ora Porta Maggiore); da qui verosimilmente seguiva il colle Esquilino, poi il Quirinale, ed infine scendeva verso la pianura del Campo Marzio.

Ne rimangono in piedi dei tratti fino a dopo lo scavalcamento della Casilina, in zona Torpignattara; poi, il percorso è ipotetico perché lì nei pressi (via del Mandrione, cfr. pag.2a) passavano anche l'Aqua Claudia con l'Anius Novus, il triplo acquedotto della Marcia, Tepula e Iulia e persino, ma sottoterra, l'Anius Vetus. Il canale sotterraneo dell'Aqua Alexandrina non è mai stato rinvenuto.
Entro l'area urbana, i segmenti più lunghi dell'acquedotto si possono ammirare nella periferia est, mentre oltre il moderno confine della città l'acquedotto è ancora ben conservato per buona parte della sua lunghezza.

La prima parte rimasta in piedi si trova in viale dell'Acquedotto Alessandrino, dove una serie ininterrotta di archi si estende per circa 250 m lungo un giardino pubblico. Lo stato di conservazione della struttura non è buono, ma il colpo d'occhio è comunque interessante. La sua direzione sembra puntare a convergere verso via del Mandrione (vedi sopra).

l'Aqua Alexandrina nel quartiere di Tor Pignattara


(↑ in alto) il mausoleo di Sant'Elena, o Tor Pignattara;
(↓ in basso) un dettaglio delle poche pignatte ancora nella volta
In via Casilina, a poca distanza dall'estremità sud-orientale di questa porzione dell'acquedotto, si può vedere un altro reperto antico, interessante e non troppo famoso: il mausoleo di Sant'Elena, madre dell'imperatore Costantino I, che morì nel 328 dC. Consiste in un'aula rotonda in laterizio, con un'alta volta (crollata molto tempo fa), che sorgeva presso l'ingresso di un cimitero sotterraneo cristiano, o catacomba, a cui fu dato il nome dei santi Marcellino e Pietro.
Nell'interno otto nicchie sono disposte attorno alla sala; una di esse corrisponde all'ingresso, mentre il grande sarcofago di porfido rosso (un marmo usato solo per i membri della famiglia imperiale), ora conservato nei Musei Vaticani, era situato nella nicchia più larga, in posizione opposta all'ingresso. Lo spazio centrale della sala è ora occupato da una minuscola chiesa, intitolata ai Santi Marcellino e Pietro, costruita nel XVII secolo.

Secondo una particolare tecnica in uso nella tarda età imperiale, il peso della cupola veniva ridotto mediante l'inserimento nel materiale da costruzione di diverse pignatte di terracotta o anfore; qualcuna di esse è ancora lì. Ciò valse al mausoleo di Sant'Elena il popolare appellativo di Tor Pignattara, che divenne anche il nome dell'intero quartiere. In epoca antica, invece, questo sito era chiamato ad duas lauros ("presso i due allori"), perché due arbusti di alloro erano piantati presso il mausoleo, un simbolo indicante che la costruzione era di proprietà della famiglia imperiale.

La seconda porzione di Aqua Alexandrina che ha resisitito al tempo è situata circa 1 km più ad est, all'estremità meridionale di un altro quartiere popoloso, Centocelle.
Questo segmento è all'incirca della stessa lunghezza del precedente, ma il rivestimento esterno in laterizio è molto ben conservato. Fortunatamente la larga e trafficata arteria stradale che lo attraversa centralmente, viale Palmiro Togliatti, non pregiudica affatto l'imponente struttura.

l'Aqua Alexandrina presso Centocelle

Secondo una tecnica edilizia sviluppatasi soprattutto nel secolo precedente, l'Aqua Alexandrina non fu più rivestita con blocchi di tufo, come molti dei precedenti acquedotti, bensì con una cortina di mattoni; invece la parte interna, cioè lo speco che correva lungo l'attico e il calcestruzzo che formava l'anima dei pilastri, rimase la stessa di prima.
Un'interessante caratteristica distintiva dell'Aqua Alexandrina sono quattro piccole mensole bianche di travertino che sporgono alla sommità di ciascun pilastro, appena sotto l'arco; la loro finalità rimane ignota.


(↑ in alto) lo speco dell'acquedotto in sezione
e il suo pavimento allo scoperto (a destra →)
A Centocelle l'Aqua Alexandrina raggiunge la sua massima altezza, oltre 20 metri rispetto al piano stradale locale: infatti qui un tempo l'acquedotto attraversava un largo fosso, che in parte si riconosce ancora dalla pendenza delle due strade che accompagnano la serie di fornici in entrambe le direzioni, cioè via dei Pioppi (rivolta verso la città) e via degli Olmi (che punta verso l'estrema periferia). Lungo queste vie i pilastri dell'acquedotto si fanno mano a mano sempre più bassi, finché l'attico arriva a coincidere col piano stradale. In particolare, a via dei Pioppi lo speco che un tempo correva lungo l'attico non esiste più, ma ne è rimasto qualche metro del solo pavimento, che giace allo scoperto.

Si vede anche qualche frammento del rivestimento idrorepellente, dello spessore di 10 cm, nonchè una parte del calcestruzzo: benché ampiamente incompleti, questi resti fanno apprezzare in sezione la struttura della parte sommitale dell'acquedotto.

Invece nell'altra strada, via degli Olmi (cfr. illustrazioni in basso), dove la porzione superstite di acquedotto giunge al termine, si trovano i resti di una torre di avvistamento medievale, con la sommità coronata da merlatura; una torre analoga assai più alta e meglio conservata è situata a circa 500 metri da questo luogo, presso la via Casilina. La presenza di queste torri ha indotto alcuni ad ipotizzare che nell'alto medioevo l'Aqua Alexandrina fosse ancora parzialmente funzionante: ciò spiegherebbe il motivo della costruzione di tali strutture difensive a breve distanza dall'acquedotto.


la lunga serie di fornici punta verso la città;
si notino le piccole mensole bianche alla sommità dei pilastri
da sinistra: la torre oltre la sommità dell'acquedotto e quella presso via Casilina

Coloro che volessero seguire le ultimissime tracce dell'Aqua Alexandrina entro i moderni confini urbani possono continuare a camminare lungo via degli Olmi, oltre il punto dove l'acquedotto scompare. Circa 200 metri più a est la strada si fa nuovamente in discesa; presso un ampio incrocio, un frammento consistente in due fornici indica che in questo luogo l'acquedotto scavalcava un altro fosso, simile a quello anzidetto ma più piccolo.


la chiesa modernista Dives In Misericordia
Sul lato opposto dell'incrocio, dove via degli Olmi entra nel quartiere di Tor Tre Teste, una sbarra impedisce ai veicoli di accedere all'ultimo tratto della strada; quest'ultimo infatti pochi metri più avanti raggiunge un parco pubblico, che prende il nome dal quartiere. I resti di un piccolo fabbricato situato subito dopo la sbarra probabilmente appartenevano ad una cisterna. Guardando verso sinistra, cioè in direzione nord, a circa 400 metri, in fondo ad un moderno complesso edilizio, si scorgono le candide "vele" della famosa chiesa Dives In Misericordia, costruita da Richard Meier (2003). Vale sicuramente la pena fare una breve digressione per visitare questo singolare capolavoro di architettura modernista (...facendo di colpo un balzo di 1.800 anni!), situato così lontano da qualsiasi parte della città solitamente battuta dai turisti.

Un'altra porzione rimasta di Aqua Alexandrina, lunga circa 150 metri, attraversa il parco, affiorando ancora una volta in modo molto graduale e raggiungendo un'altezza massima di soli 4 metri, assai bassa rispetto al tratto precedente. Qui il rivestimento in laterizio è quasi del tutto andato perduto, ma la struttura nel suo insieme è meglio conservata di quella a Torpignattara.
l'Aqua Alexandrina nel parco di Tor Tre Teste

Quindi l'acquedotto ridiventa così basso che il pavimento dello speco (unica parte rimasta dell'attico) corrisponde nuovamente al suolo, per poi scomparire del tutto.


uno dei due frammenti di acquedotto a cui non c'è accesso diretto
Poco oltre questo punto il parco termina con un tratto in ripida discesa che sbocca su via di Tor Tre Teste; qui si trovano le rovine di un altro piccolo fabbricato di epoca romana, di utilizzo non meglio identificato.
È consigliabile terminare qui la visita, sebbene in un terreno situato a circa 350 metri più ad est (ma che non è accessibile al pubblico) ancora due frammenti dell'Aqua Alexandrina siano visibili dalla strada che gira attorno alla tenuta (il cui lato più distante segue l'andamento del Grande Raccordo Anulare che circonda l'intera città).

Per poter tornare verso i quartieri centrali, alla fermata dell'autobus nella vicina via Angelo Viscogliosi, presso l'incrocio con via di Tor Tre Teste, si prenda la linea n° 556 in direzione di via Casilina (dall'autobus si potrà anche vedere uno dei due frammenti summenzionati) e si scenda al capolinea; poi alla fermata Tobagi della linea ferroviaria urbana Roma-Pantano, a pochi metri da lì, in via Casilina, si prenda il trenino in direzione della Stazione Termini. Come alternativa, si può prendere la stessa linea 556 nella direzione opposta, cioè verso viale delle Gardenie (l'altro capolinea); una volta giunti lì, si prenda la linea tranviaria n° 14 al capolinea situato lì accanto, in viale Palmiro Togliatti: si potrà così raggiungere piazza Vittorio (dove passa la linea A della metropolitana) e poi via Giovanni Amendola (capolinea), vicinissima alla Stazione Termini.
La prima delle due soluzioni è quella più rapida.