NOME
Pigna si riferisce a una famosa scultura bronzea di origine romana, nella forma appunto di una colossale pigna. Fungeva probabilmente come fontana nelle Terme di Agrippa, le più antiche di Roma (tardo I secolo aC), che sorgevano alle spalle del sito del Pantheon. Attorno al 750 la pigna fu trasferita alla primitiva basilica di San Pietro, dove nel cortile davanti alla chiesa fu usata di nuovo come fontana fino ai primi del '500. Ora si trova nei Musei Vaticani, nel vasto cortile che proprio da questa scultura fu denominato della Pigna.
Anche il nome medioevale del rione, Pinee et Sancti Marci, si riferisce alla pigna e all'antica chiesa di San Marco, di cui verrà detto oltre.

la pigna originale
STEMMA
Una pigna.


CONFINI
Piazza della Rotonda; via del Seminario; via del Caravita; via del Corso; piazza Venezia; piazza di San Marco; via di San Marco; via delle Botteghe Oscure; via Florida; via di Torre Argentina; via della Rotonda.

ELEMENTI DI INTERESSE
(i numeri neri fra parentesi quadre nel testo si riferiscono alla pianta qui in alto)


Di forma pressoché quadrata, il rione attuale corrisponde alla parte meridionale della Regio VII augustea, Via Lata.
Vi sorgeva un grande tempio tempio dedicato alle divinità egizie Iside e Serapide, detto Iseo Campense (cioè "del Campo Marzio", per distinguerlo da templi analoghi in altre parti della città), del quale purtroppo non resta traccia; ne rimangono però numerose testimonianze frammentarie in forma di piccoli obelischi (cfr. la monografia  Obelischi) e frammenti di statue, sparsi nel rione.

l'aspetto attuale del Pantheon

Nonostante la sua superficie sia relativamente poco estesa, Pigna ha un'elevata concentrazione di siti di interesse storico ed artistico.

Nell'angolo nord-ovest, prossimo ai confini con i rioni Colonna e Sant'Eustachio, sorge il Pantheon [1], forse il più famoso e glorioso degli edifici romani antichi e anche quello che meglio degli altri si è mantenuto nella sua interezza, o quasi. Correva l'anno 31 aC quando il generale e console Marco Vipsanio Agrippa, amico di infanzia dell'imperatore Ottaviano Augusto, poi suo commilitone e infine suo genero, sconfiggeva la flotta della regina Cleopatra, guidata da Marco Antonio, nella battaglia di Azio. La vittoria pose fine al millenario regno di Egitto, che di fatto divenne una delle province dell'Impero Romano. Al suo ritorno, il generale Agrippa volle innalzare un grandioso tempio in ricordo dell'impresa, dedicandolo a Marte, dio della guerra, Venere, divinità cara alla gens Iulia (da cui discendeva Ottaviano Augusto) e al divo Giulio (cioè Giulio Cesare, divinizzato dopo la sua morte).
il Pantheon e i suoi dintorni (plastico nel Museo della Civiltà Romana)
A - Pantheon e Arco della Pietà
D - Terme di Agrippa
B - Tempio di Matidia
E - Stagnum Agrippae
C - Saepta Iulia
F - Terme di Nerone

Solo in seguito la dedica venne estesa a tutti gli dei, come esprime il suo nome Pantheon in greco (pan = "tutto" e theon = "dio"), che all'epoca era la lingua dell'élite culturale.
L'edificio originale però non ebbe lunga vita, perché rimase distrutto in un grande incendio nell'80 dC e, una volta ricostruito, trent'anni dopo, nel 110, bruciò di nuovo, colpito da un fulmine. Il Pantheon attuale è dunque la sua terza versione, che l'imperatore Adriano volle edificare tra il 120 e il 124.
Del primitivo edificio si sa, dalla descrizione di Plinio il Vecchio, che lo descrisse poco prima dell'incendio dell'80, che aveva cariatidi, capitelli di bronzo, e quindi era almeno in parte diverso da quello attuale, che di originale ha solo l'iscrizione sull'architrave.

il Pantheon nel 1860: le "orecchie d'asino", aggiunte da Bernini
nel Seicento, furono rimosse poco dopo questo scatto fotografico
Ormai caduto l'Impero Romano d'Occidente, nel 608 l'imperatore di Oriente Foca, titolare dei monumenti cittadini, in visita ufficiale, donò l'edificio a papa Bonifacio IV in segno di amicizia; il tempio pagano fu così convertito in chiesa, dal titolo di Sancta Maria ad Martyres: furono infatti traslati nel Pantheon dalle catacombe i resti di un enorme numero di martiri cristiani (ben 28 carri pieni, secondo le antiche cronache!), per proteggerli dai saccheggi. Una sessantina di anni dopo, un altro imperatore di Oriente, Costante II, depredò il Pantheon dei fregi del timpano e delle tegole bronzee; solo il margine dell'oculo rimase rivestito di metallo. Il bronzo rimasto sotto il pronao fu rimosso circa mille anni dopo da Gianlorenzo Bernini, per volere di Urbano VIII, per realizzare il famoso baldacchino sopra l'altare di San Pietro (1633). In quella stessa occasione al Pantheon furono aggiunti due campaniletti, che al popolo di Roma non piacquero affatto: furono infatti soprannminati le orecchie d'asino. Rimasero lì fino al 1883, quando furono demoliti.

Il Pantheon ha forme molto semplici, essendo costtuito da un enorme cilindro sulla cui sommità poggia una cupola semisferica della stessa altezza. È proprio quest'ultima che rappresenta la caratteristica più stupefacente dell'edificio: ha infatti un diametro di ben 43.30 metri e vanta il primato, tutt'ora imbattuto, di essere la più grande al mondo costruita in calcestruzzo non armato.
Della cupola sporge all'esterno solo la parte sommitale; il resto è nascosto nello spessore della più alta delle tre sezioni in cui è suddiviso il corpo cilindrico, che sono scandite all'esterno da tre cornici.
Guardando il Pantheon dalla piazza, la cupola è pressoché invisibile perché coperta dal frontone del pronao. Entrando nell'edificio, invece, il visitatore scopre di colpo l'immensa emisfera, un effetto scenografico concepito con maestria dall'architetto di Adriano.
Per resistere all'enorme peso, lo spessore della cupola si assottiglia progressivamente verso l'alto (come si vede in basso), ma alla base misura circa 6 metri, al punto da ospitare un corridoio anulare.
Per la sua costruzione fu usato un calcestruzzo la cui miscela contiene aggregati sempre più leggeri man mano che ci si avvicina all'oculo sommitale (largo quasi 9 m).
All'interno, l'edificio ha solo due fonti di luce: l'enorme oculo e la grata che sormonta il portone di ingresso. Nell'antichità si rendeva quindi necessario un gran numero di torce e di candele; in caso di maltempo, l'aria riscaldata dalle fiamme, risalendo verso la cupola, usciva dell'oculo, in parte vaporizzando le gocce di pioggia. Ciò spiega la ragione per cui gli incendi nel Pantheon fossero tutt'altro che rari. Inoltre il pavimento, leggermente concavo al centro, è provvisto di fori per drenare l'acqua piovana (ciò avviene ancora oggi).

il Pantheon in sezione: il vertice della cupola dista dal pavimento quanto il diametro del
corpo cilindrico, in cui in parte è nascosta; si noti il suo diverso spessore procedendo verso l'alto

Nel medioevo sul grande oculo fiorirono leggende, come quella secondo cui era stato aperto dai diavoli in fuga quando il tempio pagano era stato trasformato in chiesa, o anche la credenza che la grande pigna bronzea rinvenuta nelle Terme di Agrippa (cfr. il paragrafo NOME) un tempo chiudesse l'oculo a mo' di tappo. Una cronaca del XIII secolo che parla del Pantheon si trova alla pagina gli antenati del dialetto di Roma - I).


la cupola del Pantheon vista dall'interno (in alto ↑)
e dall'esterno (a destra →); attorno al bordo dell'oculo
sono rimaste le ultime tracce del rivestimento bronzeo

Il Pantheon è uno dei tre soli edifici dell'antica Roma ad aver conservato le porte di bronzo originali, sebbene in questo caso il loro aspetto fu in parte modificato nel 1563, quando Pio IV le fece sottoporre ad un restauro abbastanza intensivo, nel corso del quale furono apposte decorazioni supplementari.
L'unica vera trasformazione subita dal Pantheon fu l'aggiunta di un campaniletto centrale nel 1270; ne ricorda la costruzione una targa a destra della porta. Attorno al 1625 fu rimpiazzato dalla costruzione delle "orecchie d'asino" di Bernini. Quindi se si eccettua la perdita delle componenti di bronzo e di due grandi statue che occupavano le alte nicchie nel pronao (verosimilmente, quelle di Agrippa e di Ottaviano Augusto), la forma dell'edificio è rimasta sostanzialmente immutata.

il Pantheon alla metà del Cinquecento: il pronao appare murato e →
l'edificio era contornato da botteghe; si noti il campaniletto centrale


Davanti al Pantheon, dov'è ora la fontana (cfr. monografia), sorgeva un arco degli inizi del II secolo, che nel medioevo fu detto della Pietà (cfr. rione Sant'Eustachio).


dettaglio della porta bronzea del Pantheon:
un bullone originale ed uno rinascimentale
Nel Rinascimento, quando questa parte di Roma si ripopolò nuovamente, la piazza divenne sede di un popoloso mercato (illustrazione a destra). Oltre alle bancarelle, piccole botteghe e taverne cominciarono a comparire tutt'intorno all'antico edificio; persino il suo portico venne murato e quasi trasformato in un mercato al coperto. Solo agli inizi del XIX secolo papa Pio VII pose fine a tutto ciò, come viene spiegato anche nella pagina sul rione Sant'Eustachio.

Alle spalle del Pantheon sorgeva una piccola Basilica di Nettuno, che separava il tempio dalle più antiche terme pubbliche di Roma, fatte costruire sempre da Agrippa nel 19 aC, per le quali era stato realizzato appositamente un acquedotto, denominato Aqua Virgo (cfr. la monografia Acquedotti), attualmente ancora in funzione.

↑ in alto, via dell'Arco della Ciambella;
a lato, resti dei Saepta Iulia
sul lato sinistro del Pantheon →
Alla fine dell'Ottocento, il famoso archeologo Rodolfo Lanciani ipotizzò che il Pantheon più antico, prima dell'incendio, guardasse verso le Terme di Agrippa, con l'ingresso orientato all'opposto di quello attuale.
Delle terme non rimane nulla, tranne i resti di una grossa esedra [2], ora completamente circondata da palazzine che la coprono, sorte in larga parte nell'Ottocento. La rovina semicircolare ha fatto sì che la strada su cui si affaccia venisse denominata via dell'Arco della Ciambella.

Sul lato sinistro del Pantheon sorgevano i Saepta Iulia, una struttura multifunzionale consistente in un vastissimo cortile quadrangolare racchiuso da un portico; di quest'ultimo rimangono solo pochi resti, molto al di sotto del livello del suolo attuale.
I Saepta erano stati fatti edificare da Giulio Cesare per tenervi le elezioni; in età imperiale lo spazio fu occupato da un mercato di opere d'arte. Quelli sui lati lunghi del cortile erano noti come Portico degli Argonauti (quello adiacente al Pantheon) e di Meleagro, personaggi della mitologia greca.

Nella vicina piazza la chiesa medievale di Santa Maria sopra Minerva [3] venne edificata sui resti di un'antico tempio dedicato alla dea della sapienza. L'edificio attuale, iniziato alla fine del Duecento e completato alla metà del secolo successivo è uno dei rari esempi di architettura gotica ancora esistenti a Roma, nonostante la semplice facciata in mattoni (ritoccata agli inizi del XVIII secolo) e gli arredi interni seicenteschi in stile barocco. Nel Quattrocento divenne la chiesa della locale comunità di fiorentini. Lo testimoniano le opere in essa conservate di artisti toscani quali Michelangelo, Filippino Lippi, Benozzo Gozzoli e Mino da Fiesole; ma la lista dei nomi dei contributori agli arredi è assai più lunga: Giovanni di Cosma, Melozzo da Forlì, Antoniazzo Romano, Raffaello di Montelupo, Nanni di Baccio Bigio, Gianlorenzo Bernini ed altri ancora, per cui la chiesa è quasi un piccolo museo che copre quattro secoli di storia dell'arte.
In Santa Maria sopra Minerva sono sepolti cinque papi e due importanti esponenti dell'arte del Quattrocento, il pittore Beato Angelico (frate Giovanni da Fiesole) e l'architetto e scultore Andrea Bregno. Inoltre sotto l'altare maggiore sono custoditi i resti di Caterina da Siena, la terziaria domenicana che nel 1376 convinse il papa avignonese Gregorio XI a ristabilire la sede del papato a Roma e fu quindi proclamata santa, nonché patrona d'Italia e Dottore della Chiesa.

Sul lato sinistro dell'edificio un tempo era un convento domenicano, dove nel 1633 Galileo Galilei fu costretto ad abiurare le sue tesi scientifiche, accusate di eresia. Il convento, a sua volta, sorgeva il più grande Iseo-Serapeo di Roma (si veda in proposito la monografia Obelischi), da cui provengono molti piccoli obelischi ed altri reperti frammentari.

Santa Maria sopra Minerva, con il pulcino in primo piano

Al centro della piazza, di fronte alla chiesa, si erge la famosa statua dell'elefantino che sorregge uno dei suddetti obelischi egizi. Fu disegnata da Bernini ed è detta dai romani il pulcino della Minerva (sulla cui storia si veda Curiosità Romane). Essendo questo uno dei punti più bassi di Roma, quando nei secoli passati il Tevere straripava, la piazza era una delle prime a finire sott'acqua; varie targhe sul lato destro della facciata della chiesa ricordano l'impressionante livello raggiunto dai flutti in tali circostanze (cfr. ancora Curiosità Romane).

Sul lato opposto della piazza, in un piccolo slargo dove ha origine via di Santa Chiara, esiste un negozio di sartoria chiamato Gammarelli che produce e vende abiti ecclesiastici. Di negozi analoghi nelle strade adiacenti ve ne sono molti, ma questo ha la prerogativa di essere fornitore ufficiale dei paramenti del papa, addirittura dal 1798.
Durante il periodo di sede vacante, abiti, copricapi, calzature ed altri accessori indossati dal futuro pontefice all'investitura vengono prodotti in tre diverse misure, piccola, media e grande, così da adeguarsi a chiunque salga al soglio pontificio, a prescindere dalla sua corporatura.
Prima dell'elezione del papa, gli abiti sono tenuti per qualche giorno in mostra nella vetrina del negozio, suscitando la curiosità di giornalisti, dei turisti e degli stessi romani.

gli abiti per il papa ancora da eleggere (aprile 2005) →
il signore sulla sinistra è il sarto, Filippo Gammarelli

A breve distanza, lungo il lato settentrionale del rione, sorge la chiesa barocca dedicata a Sant'Ignazio di Loyola [4], fondatore della Compagnia di Gesù, ovvero l'ordine dei Gesuiti.

La Gloria di Sant'Ignazio, lo stupefacente affresco
prospettico della volta dipinto da Andrea Pozzo
La chiesa fu voluta dal cardinale Ludovisi, nipote di papa Gregorio XV, ma edificata con pochi fondi. Infatti la sua costruzione si protrasse per buona parte del XVII secolo e alla fine rimase priva di alcuni elementi, come le statue della facciata e perfino la cupola; questa fu infatti dipinta in prospettiva, con straordinario realismo, ad opera del pittore gesuita Andrea Pozzo, il quale in seguito si dedicò a dipingere la volta della navata con uno strabiliante affresco: la Gloria di Sant'Ignazio (1685 c.ca). L'opera raffigura una veduta del Regno dei Cieli, popolato da numerose figure celesti ed allegoriche, dando all'osservatore l'impressione che l'edificio non abbia di fatto il soffitto. La sua precisa prospettiva, quando apprezzata dal punto giusto, al centro della navata, è uno dei più perfetti esempi di trompe l'oeil barocco.

In una cappella della stessa chiesa è il monumento funebre di Gregorio XV (m.1623), colui che proclamò Ignazio di Loyola santo, un'opera della fine del Seicento in forme tardo-barocche estremamente fastose e movimentate.

Sant'Ignazio sorge sull'area che in epoca antica era occupata dal suddetto tempio dedicato ad Iside e Serapide. Nel tardo medioevo un altro obelisco fu rinvenuto ed eretto presso la piccola chiesa di fronte a Sant'Ignazio, San Macuto [5] (che si trova al di là del confine rionale ed appartiene quindi al rione Colonna). Il popolo chiamava questo monumento "la guglia di mammautte", una corruzione di San Macuto, la cui facciata, non a caso, è decorata nella parte superiore da piccoli pinnacoli a forma di obelisco.
Nel 1711 l'obelisco macuteo fu fatto collocare da Clemente XI sulla fontana nella vicina piazza della Rotonda, davanti al Pantheon (cfr. rione Sant'Eustachio).

L'imponente edificio alle spalle di Sant'Ignazio è il Collegio Romano [6]. Questa istituzione era stata fondata da Ignazio di Loyola attorno al 1540 allo scopo di istruire e preparare i Gesuiti al loro compito di evangelizzazione; ma le prime sedi, reperite in locali di fortuna, si rivelarono insufficienti allo scopo.

la facciata di San Macuto coi suoi pinnacoli


l'ala destra del Collegio Romano,
con la torretta astronomica
Poco dopo la morte di Ignazio (1556) una nobildonna donò a tale scopo alcune case, che attorno al 1580 Gregorio XIII fece ampliare e trasformare nell'edificio attuale: è a lui che si riferisce il drago araldico dei Boncompagni sul portone d'ingresso. Il Collegio Romano disponeva di una ricchissima raccolta di volumi, tanto che costituì il nucleo originale della Biblioteca Nazionale di Roma, che dal 1876 al 1975 fu qui ospitata. Sopra la parte destra dell'edificio si erge la torretta astronomica, di cui si parla in Curiosità Romane.
Dalla stessa piazza, proprio di fronte, origina via della Gatta; prende il nome da un minuscolo felino scolpito nella pietra [7] che adesso si affaccia dal cornicione del massiccio Palazzo Grazioli, all'incirca a metà della via. È anche questo una testimonianza dello scomparso Iseo Campense, tra le cui statue ve ne erano anche alcune che ritraevano i felini sacri agli Egizi.
via della Gatta
il piccolo felino egizio in via della Gatta

Sempre dall'Iseo proviene un enorme piede che calza un sandalo, da cui prende il nome una strada del rione, via Pie' di Marmo; il reperto si trova presso l'incrocio con via di Santo Stefano del Cacco [8]. Quest'ultima deve il suo nome bizzarro ad una chiesa, Santo Stefano de Pinea (cioè della Pigna), chiamata dal popolo Santo Stefano del Cacco, una corruzione di "macaco"; il soprannome era legato alla vicinanza di un frammento di statua raffigurante probabilmente il dio Anubis, ennesimo reperto dell'Iseo. Il popolo credeva di vedere nel rudere le sembianze di una scimmia, da cui il bizzarro titolo della chiesa. Il cacco fu poi rimosso e trasferito nella sezione egizia dei Musei Vaticani, dov'è attualmente esposto.

via Pie' di Marmo

Musei Vaticani (Città del Vaticano)

L'intero lato est del confine rionale corre lungo il tratto più meridionale di via del Corso, nel medioevo chiamata via Lata (cioè "larga", in latino); prima ancora, in età imperiale, era il primo tratto della via Flaminia, la strada che conduceva verso nord, fino a Ariminum (Rimini). Dal Rinascimento in poi divenne fulcro dei festeggiamenti del Carnevale di Roma (cfr. Curiosità romane). Dal tardo Cinquecento in poi molte famiglie aristocratiche vi fecero edificare la propria residenza, che però spesso nel corso del tempo cambiava proprietario.
Tra di essi è l'imponente Palazzo De Carolis [9], una delle residenze più tarde, in quanto risale ai primi del Settecento. I De Carolis lo cedettero dopo appena un ventennio; dopo vari cambi di proprietà, nel 1908 divenne la sede centrale del Banco di Roma, a cui tutt'ora appartiene (pur facendo parte, attualmente, del gruppo Unicredit), infatti è conosciuto soprattutto come Palazzo del Banco di Roma.

All'angolo del palazzo lungo l'attuale via Lata, sotto una delle finestre, si trova il Facchino, una delle popolari "statue parlanti", descritta in dettaglio in Curiosità romane.

← la fontanella del Facchino

L'edificio di fronte alla fontanella è la chiesa di Santa Maria in Via Lata [10], uno dei luoghi che meglio testimonia la stratificazione dei periodi storici degli edifici di Roma.
Sorge infatti sui resti di una grande struttura risalente alla prima età imperiale, che aveva tre navate sorrette da pilastri e si estendeva per ben 100 m, orientata ad angolo retto rispetto all'asse della chiesa attuale. Il livello stradale di allora si trovava a circa 5 metri sotto quello moderno. Si ignora quale fosse la reale funzione della prima costruzione, che attorno al III secolo fu riadattata a magazzino, suddividendo le navate in vari ambienti individuali mediante muri da un pilastro all'altro. Tra la fine del VI e l'inizio del VII secolo, il luogo divenne sede di una diaconia, gestita a quanto pare da monaci di provenienza orientale; gli ambienti furono nuovamente collegati tra di loro e le pareti vennero decorate da più cicli di affreschi a tema religioso. Nel 1049, poi, fu edificata la prima chiesa a livello superiore e gli ambienti sotterranei furono destinati a cripta. Una prima completa ristrutturazione si ebbe alla fine del quattrocento per volere di Innocenzo VIII. Al 1580 risale il campanile, di Martino Longhi il Vecchio. Infine, tra il 1658 e il 1663 Pietro da Cortona ricostruì interamente la chiesa per la seconda volta su commissione di Alessandro VII, dandole le sue attuali forme barocche. La dotò di una nuova facciata e di un elegante atrio, collegato alla cripta da una doppia rampa di scale. In questa occasione, uno degli ambienti sotterranei fu dotato di un altare, con una pala in rilievo di Cosimo Fancelli (allievo di Bernini).
La forte umidità degli ambienti (uno di essi contiene anche un pozzo) ha contribuito al forte deterioramento degli affreschi; nel 1960 ciò che ne rimaneva fu staccato, scoprendo che sotto ve ne erano altri più antichi. Si trovano ora nel Museo Nazionale Romano (sede della Crypta Balbi).
Vuole una tradizione molto viva nel medioevo che gli ambienti della cripta fossero la casa di San Luca e che in essa vi fu ospitato San Pietro, nonché detenuto per due anni San Paolo, oggi di direbbe agli arresti domiciliari; nel pozzo è stata infatti rinvenuta una catena con cui sarebbe stato legato l'apostolo; nello stesso ambiente, un'antica colonna riporta incisa una frase simbolica di Paolo: verbum Dei non est alligatum, cioè "la parola di Dio non è incatenata".

martirio di Sant'Erasmo, affresco dell'VIII secolo, staccato dalla cripta di
Santa Maria in Via Lata (Museo Nazionale Romano, sede della Crypta Balbi)



il cortile principale di Palazzo Doria Pamphilj
Adiacente alla chiesa è Palazzo Doria Pamphilj [11], un'altra dimora nobile, che occupa l'intera rimanente parte dell'isolato. Era stata costruita per gli Aldobrandini; quando Camillo Pamphilj, nipote di papa Innocenzo X, sposò Olimpia Aldobrandini (già vedova di un Borghese), la coppia si trasferì nel palazzo, che cominciò ad essere ampliato, fino a raggiungere le dimensioni attuali. La facciata su via del Corso fu ultimata attorno al 1735. Quando nel 1760 i Pamphilj si estinsero, dato che una figlia di Camillo ed Olimpia aveva sposato un Doria, la proprietà passò in eredità a quest'ultima famiglia, i cui discendenti ne hanno tutt'ora il possesso. Il palazzo ospita un'importante galleria d'arte, con dipinti di maestri del tardo Rinascimento e dell'età barocca.


L'ultimo palazzo di via del Corso, con la facciata su piazza Venezia, è Palazzo Bonaparte, un'opera dell'architetto De Rossi ultimata nel 1677. Anche questo ebbe due proprietari prima che nel 1818 lo acquistasse Maria Letizia Ramolino, madre dell'imperatore Napoleone Bonaparte, che vi abitò per gli ultimi diciotto anni della sua vita. All'angolo con via del Corso, al primo piano, ha un caratteristico mignano (balcone pensile chiuso) da cui la proprietaria e i suoi ospiti potevano godere, al riparo da occhi indiscreti, della vista su via del Corso e su piazza Venezia. Un'altana sul retro reca in alto il nome della famiglia.

Palazzo Venezia; sulla sinistra si intravede la facciata ad archi di San Marco Palazzo Venezia [12] si trova proprio all'angolo sud-orientale del rione. Questo grande edificio fatto costruire dal papa veneziano Paolo II per la propria famiglia attorno al 1465 mostra la transizione da uno stile ancora medievale (il carattere massicio della costruzione, ancora improntata alla difesa, con merli alla sommità e una tozza torre, detta "della Biscia", in un angolo) ad uno già rinascimentale (le finestre disposte ordinatamente su tre ordini e scandite da eleganti cornici bianche di marmo, che si ripetono sui portoni, ornati dallo stemma di famiglia del papa ed altri dettagli architettonici ripresi da monumenti dell'antichità). La struttura di Palazzo Venezia fu di ispirazione per altre dimore nobili romane della seconda metà del XV secolo, quali Palazzo dei Penitenzieri (in Borgo) e Palazzo Capranica (in Colonna).
Fu costruito in questa zona, all'epoca ancora semideserta, perché qui già sorgeva la basilica di San Marco, patrono della città lagunare, che infatti fu inglobata nella costruzione (illustrazione in alto). In seguito vi ebbe sede l'ambasciata della Repubblica di Venezia, finché questa esistì (1797); poi fu ambasciata di Austria e dell'Impero Austro-Ungarico. Solo dal 1916 tornò di proprietà italiana. Oggi ospita un importante museo di antichità ed opere d'arte.

La chiesa di San Marco, incorporata nell'ala sud dell'edificio, è una delle chiese più antiche di Roma, essendo stata fondata nel IV secolo; possiede un mosaico absidale risalente all'833, anno in cui il primitivo edificio fu profondamente ristrutturato a causa delle pessime condizioni in cui ormai versava.

busto di Paolo II, Pietro Barbo
(Paolo Romano, 1470 c.ca)

la lapide di Vannozza Cattanei
Sulla parete destra sotto il portico della chiesa è affissa una grossa pietra tombale piuttosto malridotta: è quella di Vannozza Cattanei (m.1518), amante del cardinale Rodrigo Borgia (poi papa Alessandro VI), con cui ebbe quattro figli, tra cui la celebre Lucrezia. La donna era stata originariamente sepolta assieme al primogenito Juan (Giovanni) in una cappella di Santa Maria del Popolo; durante il sacco di Roma (1527) le due tombe furono vandalizzate dai lanzichenecchi, al punto che si salvò solo questa lapide, poi trasferita a San Marco.

In un angolo della piazza su cui guarda San Marco si può vedere un'altra delle "statue parlanti", conosciuta come Madama Lucrezia, un grosso busto muliebre, ennesimo residuo dell'Iseo Campense citato in precedenza; la figura viene interpretata come la stessa divinità egizia Iside, oppure una delle sacerdotesse del suo culto.


piazza Venezia in una foto di Ettore Roesler Franz del 1885 circa: sulla destra è
Palazzo Venezia, al centro Palazzetto Venezia, a sin. Palazzo Bolognetti-Torlonia
(poi demolito) e sullo sfondo l'ombra della torre di Paolo III (anch'essa demolita)
Il palazzo merlato a sinistra della statua è Palazzetto Venezia [13], che fino alla fine dell'Ottocento sorgeva al centro dell'attuale piazza Venezia.
Era disposto ad angolo retto col più grande palazzo omonimo, con cui comunicava. Quando fu avviata la costruzione del Vittoriano (cfr. rione Campitelli), per ampliare la piazza l'edificio fu smontato e ricostruito nell'attuale sede, a circa 50 m di distanza.
la fontanella rionale della Pigna

Davanti a Palazzetto Venezia si trova la Fontanella della Pigna (1927, in alto), che riproduce il simbolo del rione.

Un altro luogo di Pigna legato ad Ignazio di Loyola è la chiesa del Gesù [14] (ufficialmente, Santissimo Nome di Gesù all’Argentina), nella piazza omonima. È la chiesa madre dei Gesuiti, il cui fondatore Ignazio volle edificare presso la prima sede dell'ordine, commissionandone il progetto attorno al 1550. Tuttavia i fondi per la costruzione furono trovati solo qualche anno dopo la sua morte e il completamento dell'edificio si ebbe nel 1584. Alla seconda metà del secolo successivo, invece, risalgono le decorazioni dell'interno.
La volta dell'unica ampia navata è dipinta con un altro scenografico esempio di trompe l'oeil barocco: un ampio affresco del Baciccio (Giovan Battista Gaulli) con effetto prospettico, non dissimile nella concezione a quello in Sant'Ignazio, ma con figure di cartone dipinto appese negli angoli, che aumentano la percezione tridimensionale della composizione. Qui il santo fu anche sepolto, ai piedi di un altare enorme, splendente di marmi e bronzo dorato, progettato da Andrea Pozzo (1700 circa); la sua particolarità, più che nello sfarzo, consiste nel fatto che ogni giorno alle 17:30 in punto, tra musica e luci, grazie ad un meccanismo la pala d'altare scivola in basso fino a scomparire, svelando sul retro una statua d'argento del santo: una perfetta macchina tardo-barocca ancora in funzione ai nostri giorni.
l'altare dov'è sepolto Sant'Ignazio e la statua d'argento celata dalla pala d'altare


All'angolo sud-occidentale del rione, in largo di Torre Argentina, si estende un'importante testimonianza della Roma repubblicana, la cosiddetta Area Sacra [15]. È un grosso complesso archeologico risalente al III secolo aC circa, che riempie l'intera parte centrale della piazza e che fino al 1927 era in larga parte sepolto sotto il livello stradale, con numerose case addossate ai resti in superficie.
Comprende ciò che rimane di quattro templi edificati a pochissima distanza l'uno dall'altro e identificati, da nord a sud, con le lettere A, B, C e D; quest'ultimo è per la quasi totalità ancora nascosto sotto la sede stradale.

← Area Sacra, il tempio B (in primo piano) e quello A

Prima degli scavi, sul tempio A sorgeva la chiesa medievale di San Nicola dei Cesarini; era così detta dalla vicinanza con Palazzo Cesarini, anch'esso scomparso, appartenente alla potente famiglia romana, le cui proprietà si estendevano oltre la piazza (cfr. rione Sant'Eustachio).
In precedenza era detta San Nicola de Calcararis, perché nell'alto medioevo esisteva nei pressi una fornace dove gli antichi marmi venivano bruciati per ottenerne calce da usare in edilizia. Della chiesa rimangono due piccole absidi, con tracce di affreschi.
Immediatamente dietro questi resti sono le tracce di due latrine pubbliche risalenti all'età imperiale; ciò indica che a 300-400 anni dalla loro costruzione, i templi erano ancora frequentati.
Alle spalle del tempio C, sul confine tra questo rione e Parione, in epoca antico-romana sorgeva una grande aula, la Curia di Pompeo, che veniva usata come luogo di raduno alternativo per i senatori; nel 44 aC, infatti, la sede ufficiale del Senato, nel Foro Romano, non era agibile a causa dei lavori in corso imposti per fare spazio al Foro di Cesare. Questo è dunque il luogo dove alle idi di marzo (il 15 di marzo) dello stesso anno Giulio Cesare fu pugnalato a morte da Bruto e dai suoi congiurati.

L'Area Sacra non è accessibile al pubblico; al suo interno è ospitata la principale colonia felina protetta di Roma, dove i gatti randagi sono curati e seguiti da un'equipe di volontari e di veterinari. L'ufficio ha sede ai margini della zona archeologica, dov'è possibile rivolgersi per adottare un ospite della colonia, o anche acquistare simpatici gadget gatteschi; per maggiori dettagli si veda il loro sito.

uno degli ospiti della colonia felina